"Introduzione"

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Non mi ero nemmeno accorta di essere sveglia.
Non so da quanto, ma continuavo a fissare il vecchio e lesionato soffitto della mia camera d'orfanotrofio.

La pioggia continuava a battere insistentemente sulla finestra scheggiandone il vetro come a voler entrare, ed era così ipnotizzante guardarla tanto da tentarmi ad aprire la finestra ed invitarla ad accomodarsi.
Consideravo la pioggia una quasi compagna di stanza che si faceva viva soltanto quando si sentiva triste, quando aveva bisogno di qualcuno che l'amasse dopo aver impedito impegni importanti d'un uomo d'affari, una passeggiata al parco in famiglia o un qualsiasi evento che non ne desiderasse la presenza

Immaginai che anch'essa avesse bisogno di un'amica.

Non parlavo molto con gli altri ragazzi dell'orfanotrofio.
Erano tutti molto lontani dal pensiero che avevo io sul mondo, tutti molto lontani da quella che ero io.
Stranamente la direttrice, la Signorina Roy, ci consentiva di usare i cellulari a patto che fossero una nostra responsabilità e che non venissero utilizzati per scopi, come diceva lei, "illegali o pericolosamente nocivi alla psicologia bambinesca o adolescenziale".

Io ne avevo uno, ma non lo usavo per scopi sociali, anzi, non avevo neppure un contatto o un social.
Principalmente lo utilizzavo per studiare o approfondire ciò che spiegava Miss Perez, l'insegnante dell'orfanotrofio che si occupava di istruire ragazzi e bambini.
Non ero depressa anche se per gli altri sembravo esserlo, ero solo stanca, stanca di dover guardare il mondo attraverso una finestra e non poterlo visitare millimetro per millimetro.
Ho sempre sognato di viaggiare e girare il mondo, visitare e fotografare i posti più famosi e conosciuti, scoprire storie e leggende di popoli esistiti ma che sui libri di storia non vengono citati.
Mancavano due anni, solo due anni e avrei potuto realizzare tutto questo, ma per me e la mia curiosità di sapere cosa volesse dire "vivere" era anche troppo, per questo decisi di scappare.

Volevo bene alla Signorina Roy, mi aveva cresciuta e per un periodo provò a smuovermi e cercò di farmi fare amicizia, ma dopo un pò perse le speranze lasciando che il tempo facesse il suo corso, lasciandomi a convivere e affrontare da sola le mie difficoltà e paure, proprio come avevano fatto i miei genitori.
Poi, un giorno all'improvviso, lei cambiò. Tutto d'un tratto il suo atteggiamento nei miei confronti divenne cupo, lontano e distaccato e questo mi portò a smettere di credere in lei e al suo modo di presentarci il mondo.

Sospirai, spostando le lenzuola color mogano dal mio corpo per poi alzarmi e dirigermi verso l'armadio.
Presi tutto il necessario e mi diressi poi verso i bagni femminili dove come ogni mattina avrei dovuto subirmi i fastidiosi schiamazzi delle solite ragazze euforiche per i nuovi gossip che circolavano in giro, ma fortunatamente quella mattina era tutto silenzioso.

Probabilmente era ancora troppo presto.

Girai la manovella della doccia per far uscire l'acqua calda e nel mentre mi spogliai dai miei indumenti.

Lasciai che l'acqua mi bagnasse la pelle. Lasciai che mi spogliasse,anche se per poco tempo, da ogni preoccupazione e dubbio.
Da ogni paura.
Da ogni demone che mi impediva di vivere come una normale ragazza, tuttavia la normalità è un qualcosa di puramente soggettivo.

Uscii dalla doccia avvolgendomi in un morbido asciugamano bianco, mi avvicinai a piedi nudi ad uno degli specchi appannati e ci passai una mano sopra, lasciando che i miei occhi verdi s'incontrassero nel riflesso.

I dubbi che poco fa l'acqua aveva fatto scivolare via dal mio corpo e dalla mia mente attraversarono il mio viso e i miei occhi stanchi.
Erano tornati a galla in un battito di ciglia.
Difficili da cancellare, difficili da combattere.

Mi guardai per altri pochi secondi per poi rilasciare un sospiro e continuare ciò che avevo interrotto.
Il tempo avrebbe fatto il suo corso, proprio come aveva fatto per tutti quegli anni.

"Posso farcela" sussurrai a me stessa.
Ed era vero perché io, Elizabeth Holmes, fuggii da ciò che avrei sempre dovuto chiamare "casa" per cercare qualcosa che mi aveva abbandonata come in passato fecero i miei genitori davanti quel portone.
Fuggii per cercare la felicità.

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