Capitolo 6 "Piccoli passi verso grandi cose"

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Christopher's Pov
Era da circa venti minuti che alloggiavamo seduti sul davanzale in marmo della finestra in biblioteca. Appena usciti dalla nostra classe ho visto Elizabeth camminare spedita verso questa direzione e da quando è arrivata, sedendosi con le gambe al petto e osservando il sole mattutino, non ha spiccato parola.

Neanche io l'ho fatto.

Ho pensato che forse sarebbe stato meglio tacere, il silenzio parlava già per entrambi.
Avevo cominciato a disegnare il suo volto concentrato a guardare il sole che di rimando la baciava, facendo splendere il rosso dei suoi capelli.
Un disegno fatto da grafite, privo di colori accesi o armoniosi.
Ma non sempre per descrivere un disegno c'è bisogno dei colori.
Un disegno può trasmettere anche se in bianco e nero, Elizabeth ne era l'esempio.
Era davanti a me in carne ed ossa eppure riuscivo a capirla di più guardando la sua faccia stampata sul foglio di carta giallognolo. Era furiosa per ciò che era successo poco prima, ma si vedeva anche l'orgoglio che forse, per la prima volta, provava per se stessa.
Non era da molto che la osservavo, e pur avendolo fatto poco c'era qualcosa che mi spingeva ad avvicinarmi. Ma c'era anche qualcosa che mi diceva di aspettare e andarci piano. Io ed Elizabeth saremmo potuti essere amici sin dal primo giorno in cui le parole si fecero spazio nel nostro animo, ma evidentemente il destino non voleva che legassimo così presto. Sarebbe nato qualcosa, che con i sedici anni a venire si sarebbe ingigantito troppo. Le ombre le vedevamo entrambi, avevano preso di mira sia me che lei e per qualche motivo, esse andavano contro il destino e l'unica cosa per farci legare, probabilmente erano proprio loro. Erano insistenti, fastidiose e poco amichevoli, riuscivano sempre ad avere un posto nella mia giornata.
Che idiozia, direbbe qualcun'altro.
Ed infatti lo era perché ero consapevole del fatto che queste ombre non esistessero e che l'unica cosa a provocare sensazioni come disagio, malumore e rabbia erano quelle maledette mura. Sedici anni passati a vedere sempre gli stessi scenari, dove l'esterno era solo una comparsa.
Continuai a passare la punta della matita sul volto di Elizabeth impresso sul foglio e di tanto in tanto alzavo lo sguardo verso di lei per osservarne i tratti.
Era una ragazza splendida, di una bellezza astrale e il sole, che le illuminava il viso e le faceva brillare gli occhi, sembrava essere d'accordo.
Riposi il foglio di carta nell'album in mezzo ad altri fogli consumati, mettendolo poi nella borsa nera a tracolla che portavo sempre dietro. Appoggiai la testa alla finestra chiudendo gli occhi, lasciando che il sole mi colpisse la pelle.
Il silenzio era così bello e piacevole. Le uniche cose che si sentivano erano il cinguettio degli uccelli e le macchine che sfrecciavano veloci sulla strada davanti l'orfanotrofio.

C'erano persone che non riuscivano a rimanere zitte, ascoltando il silenzio, non lasciavano del tempo anche ad esso per parlare.
Elizabeth non sembrava essere una di quelle persone, però quando si girò a guardarmi preparai me stesso alla lunga chiacchierata che ci avrebbe portato ad unirci, forse, un pò di più. Come era giusto che fosse. Perché era questo che volevo per lei, che si unisse con qualcuno. E lo stesso volevo per me.

"Perché hai detto quella cosa a Miss Perez? Ora anche tu sei nei guai." mi chiese, toccando il ciondolo a margherita appeso ad una catenina che pendeva dal suo collo.
"Ho detto solo la verità." feci spallucce "Ora ne pagherò le conseguenze. Tu piuttosto, eri nervosa già di tuo oppure quel discorso sull'orientamento sessuale di William Beckford ti ha portato ad esserlo?" vidi i lati delle sue labbra alzarsi
verso l'alto e quella cosa mi stupì molto.
Stava sorridendo. Anche se poco, lo aveva fatto.
Mi stupì perché non avevo mai fatto sorridere qualcuno, nè tanto meno con una frase così semplice.
"Quando si tratta di queste cose non riesco proprio a stare zitta. E poi ho sempre pensato che Miss Perez mettesse loro in testa cose del tutto pazzesche e prive di senso."
"Perché ti riferisci solo agli altri? Non credi possa influenzare anche me con le sue cose pazzesche e prive di senso?"
"Non credo che tu sia il tipo che si fa manipolare così facilmente, Christopher"
Tornò a guardare fuori dalla finestra, ma io non ero soddisfatto.
Le tesi la mano destra, era meglio cominciare di nuovo. E quella volta bisognava farlo per bene.
"Puoi chiamarmi Chris, se vuoi. Cominciamo da qui Elizabeth, che ne dici?" lei guardò la mia mano scettica, come indecisa se dar inizio a qualcosa che, come molte altre amicizie, non avrebbe mai avuto fine.
Dopo poco strinse la mia mano, sorridendo
"Puoi chiamarmi Beth, gli amici lo fanno".
"Oh, hai altri amici quindi!" dissi sorpreso
"Beh in realtà uno solo."
"Mh, capisco"
"Non vuoi sapere chi è questo amico?" colpì scherzosamente la mia gamba destra con il suo piede sinistro, coperto dalla Converse nera.
"Sputa il rospo, rossa"
lei ridacchiò mettendo una mano davanti la bocca
"È il Signor Finnick" girò la testa di lato
"Il Signor Finnick? Quello che sistema i libri qui in biblioteca?"
"Beh sì, è lui"
"E come mai siete amici?"
"Siamo molto più che amici, lui per me è come un padre. C'è sempre stato per me da quando avevo tre anni, lui e la Signora Maries, sua moglie, mi hanno sempre amata e trattata come una figlia; non ho mai capito, però, perché non mi abbiano adottata." disse torturandosi le mani.
"Avranno di certo avuto i loro motivi, sono sicuro che anche loro vorrebbero adottarti."
"Forse volevano, una volta. Prima che Maries morisse."
Si stava innervosendo e questo lo si capiva dal suo tono di voce che lentamente cambiava.
Sarebbe stato meglio cambiare argomento.
Così mi tornarono in mente le ombre, che ero riuscito a dimenticare in questo lungo accadere di fatti e conoscenze.
Le avevo detto io stesso di vedere ciò che vedeva anche lei.
Però non sapevo se le mie ombre fossero uguali alle sue.
Quindi glielo chiesi.
"Come sono le tue ombre?" dissi, passando le mani sui miei jeans neri.
Lei esitò, passarono dei secondi in cui sospirò e dopo parlò.
"Dipende da cosa vuoi sapere tu. Ti interessa sapere cosa dicono su di me? Oppure il loro carattere?"
"No Beth, voglio sapere come si comportano. Ti seguono tutto il giorno? Perché le mie non smettono mai, neanche durante la notte mi lasciano in pace. Anche adesso sono qui, e ci stanno guardando. Ci sono anche le tue?"
Si alzò dal davanzale in marmo piegandosi per aggiustare le converse leggermente più grandi della sua taglia ideale, rialzò il busto e aggiustò i ricci capelli rossi inchiodando i nostri sguardi.
"Forse non è ancora il momento di parlarne, Chris."
"Come vuoi." Sospirai alzandomi e mettendo sulla spalla la tracolla della borsa
"Quando vorrai parlarne io sarò pronto ad ascoltarti, Elizabeth. Dopotutto siamo amici, no?" le dissi tendendole la mano destra che strinse dopo pochi attimi, sorridendomi.
"Già, siamo amici adesso." Lasciò la stretta di mano e si avviò verso la porta, facendo oscillare i lunghi capelli.
"Ci vediamo a pranzo, allora." Io annuii e lei lasciò la biblioteca, sparendo dietro la porta in legno.
È vero, la biblioteca l'aveva lasciata. Ma qualcos'altro era rimasto, sparso nell'aria.
Era stata lei a lasciarlo lì da me quel pizzico di felicità, che era solo l'inizio di tanti pizzichi che avrebbero riempito un intero vaso in grado di contenerne abbastanza per far vivere Elizabeth. Perché in fondo la felicità è vita, senza di essa è impossibile vivere.
Dopo tanti anni ero riuscito anche io per la prima volta a trovare un punto di partenza, dove quel pizzico di felicità che aveva lasciato Elizabeth gareggiava per arrivare al traguardo più grande che mai.
Sorrisi.
Sorrisi perché anche io avevo trovato un po' di felicità.
E l'avevo trovata in lei, che dopo tutti quegli anni, era riuscita a trovarmi.
Quelli erano solo piccoli passi, piccoli passi verso quelle che in futuro sarebbero state grandi cose.

Finnick's Pov
Camminavo per il corridoio che conduceva alla biblioteca e i numerosi quadri con volti di ogni tipo e provenienza appesi ai muri circostanti sembravano osservami. Una sensazione che provavo da anni, oramai.
Procedevo con la testa china, controllando e leggendo qualche spezzone di un nuovo romanzo che proprio in quel momento stavo portando in biblioteca.
Era piena di libri, ed erano così tanti da occupare persino alcuni spazi sul pavimento; l'avevo vista vuota, appena costruita e sistemata con librerie e scaffali, e pian piano l'ho vista crescere e farsi sempre più piena e importante. La Signorina Roy l'aveva fatta costruire apposta per i ragazzi che, non potendo uscire a causa delle dure regole imposte da lei stessa, non sapevano come passare il tempo. Studiavano e parlavano tra di loro, ma oltre questo le loro giornate erano riempite di puro ozio. Ma questo prima che lei permettesse di acquistare cellulari e oggetti elettronici. Erano pochi i ragazzi rimasti a visitare la biblioteca e tra essi c'era anche Elizabeth, che oramai conosceva ogni angolo di quel luogo.
Infatti era stata proprio lei a trovare La Tana. Era piccola quando la trovò, camminava passando in mezzo alla librerie e agli scaffali molto più alti di lei e, avvicinandosi ad muro bianco un pò più rovinato degli altri, notò dietro una libreria un piccolo spazio aperto che portava a questa stanzetta polverosa, con una finestrella in legno e qualche scaffale contenente scatole e altri libri. E molti, molti insetti.
Avevamo fatto nostro quel luogo pulendolo e sistemandolo, ritrovandoci poi lì per mangiare deliziosi biscotti a limone e fare due chiacchiere.
La maggior parte delle volte però finivamo sempre per parlare di Maries, e ci arrivavamo quando Beth tirava fuori il discorso del "Cose che avrei voluto fare se non fossi stata orfana".
Elizabeth non soffriva quando si parlava dei suoi genitori e questo perché non aveva avuto la possibilità di conoscerli o di scambiarci qualche parola, però sapeva in cuor suo che erano brave persone e che dietro al suo abbandono c'era sicuramente un motivo valido.
Non li incolpava di nulla.
Non provava rancore verso di loro.
In quelle occasioni in cui chiacchieravamo diceva solo che se un giorno li avesse rincontrati, faccia a faccia o dalla foto su una tomba, li avrebbe perdonati. Ovviamente però, se fosse stato possibile, chiedendo spiegazioni. Perché Elizabeth era fatta così, preferiva perdonare chi le aveva fatto del male e continuare a vivere in pace piuttosto che litigare o avere conflitti con qualcuno.

Stavo per aprire la porta della biblioteca quando essa venne spalancata di colpo, trovandomi davanti colei che in quel momento era protagonista dei miei pensieri.
"Beth" dissi guardandola, entusiasta
"Ciao Robert, come va?" era stranamente più felice del solito, i suoi occhi brillavano e il suo sorriso non era forzato come quasi tutte le volte.
"Io bene, e a quanto pare stai bene anche tu" la indicai
"Si hai ragione, sto bene anch'io"
"Stavi andando nella tua stanza?" le domandai
"Già, ci vediamo a cena?" disse allontanandosi nel corridoio
"Certo tesoro, a dopo" La guardai mentre continuava a camminare, con lo zaino in spalla. E proprio in quel momento mi ricordai dell'orario, le lezioni non erano ancora finite quindi cosa ci faceva lei fuori dalla classe?
Entrai nella biblioteca e fischiettando raggiunsi gli scaffali dove tutti i romanzi erano conservati e solo quando sentii un colpo di tosse alla mia sinistra mi girai.
"Hai bisogno di qualcosa?" chiesi a quel ragazzo alto, vestito completamente di nero con una tracolla sulla spalla.
"Lei è il Signor Finnick, giusto? Molto piacere sono Christopher, Beth mi ha parlato tanto di lei."
Beth? Cos'era tutta quella confidenza?
"Avete parlato?"
"Si...siamo diventati amici e mi piacerebbe se lo fossimo anche noi, Signore."
Il suo sguardo era molto speranzoso, aveva l'aria di uno che aveva appena cominciato a socializzare e che di amicizie non ci capiva proprio nulla.
"A-Amici?Eri con lei...p-poco fa?" chiesi
"Si, è appena andata via. Stavo per andare anche io."
"Beh, vai allora" dissi a disagio
"Bene...allora arrivederci, Signor Finnick" si mosse verso la porta e proprio quando stava per uscire lo fermai
"Aspetta, Christian...aspetta"
"Christopher...Mi chiamo Christopher, Signore" mi sorrise
"Christopher....cosa ci fate a quest'ora fuori dalla classe tu ed Elizabeth?"
"Oh Miss Perez ci ha cacciati dalla classe, siamo intervenuti durante la lezione" fece spallucce
"Ho capito...puoi andare ora."
"Arrivederci e buon lavoro." Se ne andò chiudendo la porta alle sue spalle e portando con sé quel poco di felicità che, non sapevo come, era riuscito a trasmettere anche ad Elizabeth.
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