Capitolo 5 "Segugio Infernale"

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Le lenzuola coprivano il mio corpo fino al collo, non più sopra.
Era ormai l'alba e mai come quella mattina mi era capitato di voler rimanere sotto le calde coperte, quelle potevano essere considerate come una casa, anche se piccola.
Per tutta la notte avevo sentito rimbombare nella testa ciò che aveva detto Christopher la sera precedente a cena; quelle parole rimbalzanti galoppavano per tutta la mia testa senza mai fermarsi un attimo.

Non mi davano pace.

Io non mi davo pace perché ero curiosa di sapere cosa provasse lui nel sentire le ombre prigioniere delle mura.
Volevo sapere come si sentisse a convivere con loro e se, a differenza mia, fosse riuscito ad andarci daccordo.

Le ombre erano qualcosa con cui non riuscivo a dialogare, non riuscivo a stringere rapporti pacifici con esse.
Mi spiavano ogni ora, ascoltavano i miei silenzi e ogni giorno continuavano a studiarmi perché sapevano, in cuor loro se pur contorto e terso, che nascondevo qualcosa dentro di me.
Qualcosa di imprevedibile.
Però avevamo una cosa in comune.

Una sola.

Ovvero loro, proprio come me, non potevano essere libere.
Anch'esse strette nello spazio che divideva le mura, per loro trasparenti, si sentivano in trappola.
Si spingevano per vedere, battibeccavano per assistere ogni giorno ad un nuovo spettacolo a cui solo loro avrebbero potuto dare un verdetto esatto.

Non era pazzia la mia, era solo una sensazione; se così la si può chiamare.
La donna di solito viene sottovalutata, ma una delle cose per cui non dovrebbe esserlo è il suo sesto senso, che a differenza del maschio, è molto più elevato.
O almeno la scienza lo dice, non è detto che sia vero.
Ma mi piaceva credere di avere qualcosa in più degli altri.

Allora perché non fare affidamento su ciò che mi diceva lui?

Potevo crederli quando diceva che non dovevo dare retta a quelle squilibrate impiccione, che dovevo ignorarle.
Ma come potevo farlo se in qualunque momento erano pronte a torturarmi con i loro sguardi seri, e sotto sotto anche un pò tristi?
La cosa positiva era che proprio i loro sguardi tristi mi impedivano di cedere, riuscivo a non cadere nella tentazione di poter pensare, anche se per poco, all'idea di rimanere in orfanotrofio e non abbandonarle.
Non sapevo se sarebbero scomparse o se mi avrebbero seguita, ma se le mura impedivano loro di girovagare allora, probabilmente, sarebbero state solo un brutto ricordo durato troppo tempo.

Spostai le coperte mettendomi a sedere e portai una mano fra i capelli scompigliati portandoli indietro, liberando il viso.

Mi girai e guardai oltre il vetro della finestra dietro il mio letto spostando con una mano la tenda lilla che mi impediva la piena vista del panorama.
Era una bella giornata fuori, poche nuvole coprivano l'azzurro e il debole sole della mattina presto era pronto per prendere servizio.
Ma chissà se sarebbe stata una bella giornata anche all'interno.
Probabilmente sarebbe stata la stessa giornata di sempre, lunga e noiosa.
Ma comunque, indossai delle calzette rosse e dopo aver preso tutto il necessario uscii dalla mia camera per dirigermi in bagno.
Ovviamente tutto ciò accompagnato da continui sbadigli.
Entrai e purtroppo quella mattina, a differenza della precedente, il bagno pullulava di ragazze.

Qualcuna lavava il viso e chiacchierava interpellando rimedi facili e naturali per una pelle perfetta,altre invece entravano in doccia cercando di far sparire il sonno.
Ma in alcune il sonno prendeva il sopravvento tanto da farle chiudere gli occhi e riposare con la testa appoggiata al muro umido.
Raggiunsi l'unico lavabo disponibile, cosparsi le setole del mio spazzolino di dentifricio e dopo lo passai sui denti. Mantenni lo sguardo saldo verso il ghiotto, come lo chiamavo io, dove tutta l'acqua continuava a scomparire; se avessi alzato lo sguardo verso lo specchio avrei incontrato quegli occhi che la sera prima avevo sentito bruciare sulla mia figura.
E che purtroppo anche in quel momento non sembravano voler smettere.

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