Capitolo 4 "Anima magnetica"

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Elizabeth's Pov

Da quando la Roy e Finnick avevano lasciato la mia stanza continuavo a guardare il soffitto con gli occhi colmi di lacrime, stesa sul mio letto con le mani incrociate sul ventre.

Mi aveva guardata negli occhi fingendosi preoccupata.
Mi aveva fatta credere di essere stata adottata.

Sarei dovuta essere felice di non esserlo stata, e infatti lo ero.
Ma la cosa che più mi fece provare rabbia e che continuò a far cadere quelle lacrime, fu la paura.
Avevo avuto paura di poter perdere quelle poche cose che riuscivano a farmi sorridere; Finnick e i suoi biscotti al limone del supermarket, ad esempio.
Ma fu proprio lì, con gli occhi puntati sul soffitto, che capii che era giunto il momento per me di darsi una svegliata, di aprire gli occhi e cominciare a preparare tutto il necessario, almeno l'indispensabile, per andare via da quel posto.

Ciò non significava prendere uno zaino, buttarci dentro qualcosa e saltare dalla finestra a mo' di ninja.
Se lo avessi fatto chi lo avrebbe avvisato Finnick al posto mio?
E poi probabilmente mi sarei spiaccicata al suolo.

Eccolo uno dei tanti problemi delle fughe. La via d'uscita.

Il problema era che la mia voglia di fuggire veniva tutto d'un tratto ogni volta che ci pensassi, bloccata dal mio istinto.
Lui continuava a rimandare, diceva che non era ancora giunto il momento di agire. Mancava qualcosa a completare l'opera, o forse qualcuno.

Nel mio piano di fuga non erano previsti complici al di fuori di Finnick, né tanto meno aiutanti.

Ma anche se avessi deciso di non scappare da sola, con chi avrei potuto farlo?
Non avevo nessuno di cui fidarmi in orfanotrofio.
Non avevo mai avuto nessuno con cui poter fare amicizia o chiacchierare e tutto ciò era proprio per colpa mia, non degli altri e della loro dipendenza dallo smartphone.

La colpa era mia perchè ero diversa dai ragazzi lì dentro.

Preferivo leggere un libro fino alla sera tardi e andare a dormire fantasticando su come sarebbe stata la mia vita se fossi stata un personaggio della storia che avevo appena finito di leggere, piuttosto che ascoltare le canzoni del momento e farmi mille foto da postare sui social.
Invece che giocare ai videogiochi preferivo disegnare e rappresentare ciò che vedevo dalla finestra o che imparavo a lezione, magari con caratteristiche di un immagine di un libro Fantasy in cui la protagonista, fortunata e spensierata, ero io.

Preferivo farmi del male sapendo che quelle cose non sarebbero mai diventate reali, piuttosto che vivere in quella che era la monotona realtà.

Si può dire che rispetto a tutti gli altri, ero molto indietro.

Girai la testa ancora appoggiata al cuscino verso l'orologio, era l'ora di cena ma la mia voglia di mangiare era pari a zero. O meglio, la voglia di stare in mezzo ad una confusione di persone lo era.

Tuttavia ero obbligata ad andare in mensa.
La scusa del mal di stomaco non avrebbe retto ancora per molto quindi non avevo altra scelta.
Mettendomi a sedere sul bordo del letto passai una mano fra i miei capelli rossi e dopo un sospiro tremolante mi alzai, cancellando le ultime lacrime che albergavano sul mio viso.
Camminai verso la porta e aprendola lasciai che quel poco di luce che essa lasciava entrare abbracciasse l'oscurità della camera.
Prima di chiudere la porta strinsi la mano sulla maniglia d'ottone e portai lo sguardo alle mie spalle, dove il cristallo dello specchio circondato da nastrini colorati di un pacco regalo mi permetteva di vedere la mia figura illuminata solo per metà che lentamente spariva dietro una porta che divideva il tutto dal niente.

Scesi due rampe di scale e attraversai il salone principale dove di solito si ci riuniva per fare due chiacchiere o guardare la tv.
Superai le porte della mensa già spalancate.
Non era molto grande; numerosi tavoli in ferro rossi da otto posti con sedie del medesimo colore erano disposti in giro per la sala; due colonne circolari occupavano una piccola parte di spazio libero che permetteva di ospitare carrelli dove lasciare i vassoi una volta terminato il pasto, e bidoni dell'immondizia.
Esattamente accanto al muro, invece, vi era il lungo bancone che, a seconda del giorno della settimana presentava cibi diversi.

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