Capitolo 1 "Il dolore di un deja-vu"

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Beato chi può permettersi di sorridere senza pensare a nulla.
Beato chi come volto ha un velo trasparente privo di diffidenza e codardia.
Il sorriso è raro, e quando nasce sui nostri volti, riusciamo a dimenticare tutto pur di non farlo scomparire. Finché pian piano, esso scompare.

Considero vero un sorriso quando non ne siamo gli artefici.
Quando sorridiamo involontariamente o a volte senza nemmeno accorgercene.

Quando nel nostro petto comincia ad espandersi una sensazione di pacatezza e che a causarla sia una persona, un film o qualunque cosa possa trasmettere emozioni.
Quando non riusciamo a trattenerlo.

Ho sempre utilizzato quel gesto per far tacere chi ogni volta commentava la mia inesistente "depressione".
Chiunque mi avesse vista da fuori avrebbe detto che ero una ragazza abbastanza chiusa, che se ne stava per le sue.
E in effetti era così.
Non ho mai parlato apertamente con qualcuno raccontando segreti o cose di questo tipo, insomma, non a tutti importa.

Per alcuni l'importante è saperli per poi condividerli con altri e ricavarne ammirazione.

Quasi tutte le mattine in cui mi svegliavo prima di tutti gli altri rimanevo seduta sul davanzale della finestra dei bagni ad osservare la luce del sole appena sorto che lentamente si innalzava prendendo il suo posto in cielo.
Di solito tutto ciò lo facevo in religioso silenzio finché poi non decidevo di tornare in camera e aspettare l'ora della colazione.

Quella mattina però qualcuno cambiò i miei piani.

"Elizabeth" mi girai di scatto e con gli occhi colmi di sonno, notai una figura oscurata avanzare verso la mia direzione, affrontando il buio che avvolgeva il fondo dei bagni femminili.
"Buongiorno"
"Ciao Rosaly" dissi quando si mostrò sotto la luce mattutina che entrava dalla finestra, tornai poi a guardare i grattacieli di Londra.

Rosalinda Ortega, si chiamava, ma tutti la chiamavamo Rosaly.
Aveva origini spagnole e i suoi genitori erano morti in un incidente mentre erano diretti qui a Londra.
Non so dove si trovasse lei in quel momento, ma per fortuna non andò incontro a quel destino.
Era poco più alta di me; capelli ricci color nocciola le contornavano il viso, mentre un naso a patata ricoperto da qualche lentiggine, occhi da cerbiatto del medesimo colore dei capelli e labbra sottili, rosee e accompagnate da un neo alla loro destra, completavano il suo volto stanco e assonnato, di solito però coperto da un dolce sorriso.

Aveva la mia stessa età quindi nei giorni di lezione ci trovavamo insieme.

Non ci eravamo mai rivolte molte parole, e quelle poche volte che lo avevamo fatto erano per discutere gli argomenti delle lezioni.

Come ho già detto,ero una ragazza abbastanza chiusa.

Lei invece riusciva ad aprirsi con tutti. Forse per il suo essere gentile, spiritosa e insistente.

Ciò che la rendeva diversa dagli altri era la sua continua voglia di tentare. Non mollava mai la presa e se voleva qualcosa, la otteneva. Spesso, infatti, litigava con la Signorina Roy per convincerla a farla uscire e, nonostante lei glielo negasse ogni volta, Rosaly continuava a chiederglielo.

La Roy non ha mai voluto che uscissimo, anche solo per fare una passeggiata.
Riteneva fosse troppo pericoloso per dei ragazzi che non avevano mai avuto a che fare con il mondo al di fuori dall'orfanotrofio, ma probabilmente cercava solo di non perdere quel lavoro che le portava tanto profitto.

Pensiero stupido per una donna come lei.

Spesso, mentre mi dirigevo in biblioteca, mi capitava di origliare qualche loro discussione davanti il portone principale, che contenessero minacce legate al sequestrarle il cellulare, o alcune volte, a trasferirla in un orfanotrofio più severo. Come se il nostro non lo fosse già, mi ripetevo io.

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