I

5.4K 274 18
                                    

Erin Fenya Ivanov, Villa Ivanov, Mosca-Russia.

Discorrevo con un ragazzo della Drakta, che ben presto avrebbe iniziato ad impiegare il suo tempo come secondo legale di fianco a mio zio Mikhail, ma non lo stavo davvero ascoltando; a dire il vero, non mi stavo godendo per nulla quel ricevimento: ero ansiosa, così ansiosa da far tremare il bicchiere di champagne che avevo tra le mani e rischiare di macchiarmi il bel vestito.

Adoravo quel vestito: ogni porzione della seta che fasciava il mio corpo brillava e i diversi colori marini sembravano replicare una bellissima collezione Swarovski, ma nonostante la sua peculiare nota di eccentricismo, non ero felice. Avevo bisogno di allontanarmi da quel salone affollato per poter raccogliere le idee e prepararmi all'entrata di Aleksei, o forse volevo solo scappare. Forse volevo davvero scappare.

Scappare lontana.

Erano trascorsi sei lunghi mesi, sei mesi in cui avevo toccato il baratro per poi risalire lentamente. Non avevo chiesto aiuto a nessuno, nemmeno a mia madre, ma non l'avevo ingannata. In quei sei mesi avevo perso peso e mi ero sentita estremamente sola, perché a parte la mia famiglia non conoscevo nessuno. A parte Aleksei mi ero resa conto non avessi nessuno. Viktor era partito in tournée con la band, i miei cugini erano tutti più piccoli e non mi era rimasto nessuno con cui relazionarmi; anche Ilya non aveva più voluto avere a che fare con me, dopo che avevo deciso di chiudere la nostra frequentazione mesi addietro.

Avevo deciso di lavorare nello studio di mia madre come segretaria, ma non mi aveva aiutato ad allontanare il vuoto che avevo provato e che continuavo a provare; più volte mio padre aveva cercato di parlarmi, di comprendere quale fosse la vera ragione per cui detestavo così tanto rimanere chiusa nella villa, ma nessuno aveva realmente compreso il nocciolo della questione: non che mi fossi applicata molto a esprimere i miei disagi, a dire il vero avevo preferito sorridere e torturarmi in silenzio.

"Aria, ho bisogno di aria."

Aprii la porta che dava sul giardino e corsi di volata giù dagli scalini in marmo. Era sbagliato riporre tutta la propria felicità in un ragazzo ed io di certo non ero stata la classica ragazzina infatuata e tormentata, ma la mancanza di un sostegno aveva avuto delle conseguenze ben peggiori di un cuore infranto. E maledetti erano i pettegolezzi che dipingevano Aleksei sempre più vicino a Kara.

In quei sei mesi non mi aveva chiamata. Non mi aveva mandato nessun messaggio, ma zio Dimitri mi aveva più volte rassicurato sul fatto che stesse bene ed in ott-

"Erin?" La voce melodiosa di Aleksei mi bloccò a metà della mia corsa; la assaporai solo per un secondo, come un vecchio ricordo sbiadito nel tempo. "Erin, sei tu?" Aveva una nota più profonda, più simile all'oscurità che avvolgeva il giardino. "Erin?"

Mi voltai con lentezza e mi ritrovai di fronte un uomo, un uomo nel quale però si potevano riconoscere dei tratti collegati all'Aleksei di sei mesi precedenti: gli occhi pieni di vita e quel mezzo sorriso che non lo abbandonava.

"Erin." Corrugò le sopracciglia e fece un passo verso di me, ma indietreggiai. "Erin?"

Indietreggiai affranta e avvilita. Lui era sbocciato, mentre io ero quasi morta soffocata a causa del mio disturbo d'ansia da separazione e questo lui non doveva capirlo. Sollevai la gonna e feci per scappare dal nuovo Aleksei, ma fu troppo veloce: mi agguantò per il polso ed evitò la mia ritirata. Non parlò subito e quando lo fece la mia cassa toracica sanguinò.

"Sei dimagrita." I suoi occhi azzurri si posarono su tutto il mio corpo. "Erin, tu sei dimagrita."

Non risposi. Cosa potevo rispondere? Non mi sarei mai umiliata di fronte all'oggetto della mia disperazione.

Finti legami di sangue|THE NY RUSSIAN MAFIA #5Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora