XV

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Erin Fenya Ivanov, aereo privato Ivanov, Russia.

Guardai fuori dal finestrino dell'aereo privato e sospirai, perchè nonostante mio padre si fosse, in un certo qual senso, aperto circa le sue paure, di certo non aveva modificato il suo atteggiamento. Era scostante, freddo, burbero e rigido, ma non potevo contraddirlo.

A parte questo suo continuo atteggiamento da genitore ferito, sembrava aver compreso le mie motivazioni e, a quanto mi era dato sapere, i miei genitori non avevano ancore deciso se farmi seguire un percorso terapeutico o meno, a mio avviso inutile. Mia madre aveva tentato di giustificare la loro propensione per tale scelta con i miei attacchi di panico e l'ansia da stress da separazione, ma non mi sembrava una scusa interessante e così avevo lasciato perdere.

"Erin." Aleksei mi appoggiò una mano sulla mia. "Basta pensare."

Allungai il collo e fui felice che i miei zii e mio padre fossero intenti a parlare nei posti disposti nella parte anteriore dell'areo e le nostre due madri dalla parte opposta. Non volevo che orecchie indiscrete avessero potuto udire tutto ciò che io e Aleksei avremmo avuto voglia di confidarci.

"Non riesco a smettere." Chiusi gli occhi e appoggiai la testa sullo schienale del soffice sedile. "Perchè mi mangia viva sapere che fanno i moralisti, quando sono stati i primi ad utilizzare le armi e sacrificarsi nel momento del bisogno."

Il mio orgoglio? La mia più grande pecca.

"Mh." I suoi polpastrelli accarezzarono il dorso della mia mano. "Lo sai che per loro è stato diverso"—si girò di più verso di me—"nostro nonno era dispotico e nostra nonna è morta di depressione, sono cresciuti da soli ed hanno cercato di fare tutto il possibile per aiutarsi a vicenda."

Studiai i suoi occhi e la sua sincerità.

"Stai scherzando, Aleks?" Bisbigliai ferita. "Cosa importa di quale sia stata la loro infanzia, quello che importa è che abbiano fatto comunque quello che hanno fatto."

"No, Erin, il tuo ragionamento non è giusto." Si avvicinò di più per evitare che udissero il nostro battibeccare. "Erano quattro ragazzi spezzati, martoriati e con dei seri problemi, buttati in una società che avevano intravisto a malapena senza comprenderne i meccanismi. Erano dei sopravvissuti disperati, Erin. Noi non siamo disperati, noi possiamo salvarci aiutandoci a vicenda," si infervorò come se lo avessi offeso nei più brutali dei modi. "Se solo tu mi avessi svegliato, avremmo potuto optare per un piano più sensato e coinvolgerli, perchè è lampante che si siano sentiti tagliati fuori da tutto questo." Le sue labbra furono praticamente sopra le mie. "Sai che hai riaperto una faida chiusa da tempo? Pensi che dodici ore di volo potranno impedire a dei sicari di raggiungerti?"

"Non sto dicendo questo," scattai.

"Stai proprio dicendo questo."

Stufa anche di quella patetica ramanzina, mi sganciai la cintura e mi diressi nel bagno dell'aereo, senza prestare attenzione ai tentativi di Aleksei di concludere quel dannato discorso.

"Non vi preoccupate, non tenterò di ammazzarmi nel bagno dell'aereo."

Mi chiusi la porta alle spalle, infastidita dalle occhiate che la mia famiglia mi riservò e mi accomodai sul water. Purtroppo, quella situazione non si sarebbe arginata molto presto e comprendevo le preoccupazioni di Aleksei circa la mafia di Chicago, perchè sapevo che non avrebbero desistito a sferrare un secondo attacco, ma zio Mikhail era stato prudente, aveva nascosto il corpo dentro al Lago e tutti avrebbero pensato che il giovane neo boss fosse fuggito perchè codardo. Non ero molto positiva, sapevo per certo che nesuno degli uomini di Tommaso Bruno fosse a conoscenza dei nostri incontri, ma risultava ancora sospetto il suo ritrovamento in Russia, se mai avessero rintracciato il corpo sul fondo del Lago Baikal.

Finti legami di sangue|THE NY RUSSIAN MAFIA #5Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora