XI

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Erin Fenya Ivanov, strada statale russa, Russia.

Cercai di tenere a freno la paura per Tommaso Bruno e mi accomodai sul sedile del passeggero, quando la portiera della berlina nera, che attendeva proprio fuori la baita, si aprì.

"Buona sera." Mi accomodai e appoggiai le mani in grembo; indossavo ancora il pigiama, ma non mi interessava, il riscaldamento della macchina sarebbe bastato ed in più avevo carpito quanto più possibile dalle abilità di mio padre, per poter condurre quella spedizione da sola e con successo. "Vedo che sei solo." E come poteva essere altrimenti? Quale boss mafioso avrebbe rivelato ai propri uomini di essere stato messo nel sacco da una donna, per giunta a malapena maggiorenne? "Nessuno dei tuoi?"

Un lieve guizzo alla mascella di Tommaso confermò i miei sospetti, ma tentai di non rendere troppo evitandente la mia euforia, perché Tommaso Bruno era comunque un ragazzo pericoloso e questo non dovevo dimenticarlo.

"Regale anche durante un rapimento." Mi sollevò il mento con un dito e sorrise a discapito della rabbia che potevo percepire nei suoi occhi neri. "Saresti proprio perfetta nei panni della moglie del boss di Chicago."

"Lo so, ma purtroppo"— sorrisi tagliente—"il mio cuore non ti appartiene, Tommaso." Quasi sputai il suo nome. "Mi dispiace."

"A questo possiamo rimediare." Girò la chiave nel quadro della macchina e fissò lo specchietto retrovisore. "Tutto ha una soluzione, Erin Fenya."

"Io non credo." Guardai dritta di fronte a me. "Non si può scegliere di chi innamorarsi."

"Ma si può scegliere a chi appartenere."

La macchina iniziò ad incamminarsi e allontanarsi dal vialetto della nostra baita.

"Non sono un animale domestico, non appartengo a nessuno."

Fui sicura che quell'affronto non gli piacque per nulla, perché le sue mani si arricciarono sul volante e lo strinsero con foga.

"Perché lui?"

Mi voltai a guardarlo di scatto.

"Come?" Non mi ero attesa tale domanda, di certo non una psicoanalisi durante un rapimento. "Lui?"

"Perché lui e non chiunque altro?" Staccò gli occhi dalla strada solo quanto bastò per fissarmi negli occhi. "Perché Aleksei?"

"Avrebbe fatto differenza?"

"No," ammise. "Ma vorrei comprenderne il motivo."

E io non ero di certo tanto stupida da farlo arrabbiare, così chiusi le dita intorno alla seta del mio pigiama per nascondere il tremore e gli risposi: "perché c'è sempre stato."

"Che inutile giustificazione."

"Sarà anche inutile." Scossi la testa. "Ma è così. Ogni volta che cadevo era su di lui che mi appoggiavo, ogni volta che non sapevo quale strada prendere, era lui che seguivo. Ogni volta che tentennavo, lui mi prendeva per mano." Guardai fuori dal finestrino e rimasi stoica, di ghiaccio, una Ivanov. "Aleksei c'è sempre stato, ma non mi aspetto tu possa capire."

"Questo non è amore."

"Hai ragione," ribattei. "Non è amore, Tommaso, ma pura devozione per l'unica persona al mondo che mi abbia mai pienamente compresa."

"Ed io che pensavo fossi una Ivanov," mi schernì con parole dure e severe, ma comprendevo bene il perché: stavo minando la sua virilità e se solo avesse saputo fin dove avevo intenzione di scardinarlo questa volta, i suoi affronti sarebbero stati ben peggiori. "Invece mi hai mentito."

Finti legami di sangue|THE NY RUSSIAN MAFIA #5Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora