Mesi

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La prima cosa che Emmanuel notò dopo aver ripreso conoscenza fu l’uomo seduto accanto a lui su una poltroncina, una mano a coprirgli parzialmente il volto stanco.
Si guardò un attimo attorno realizzando di essere in ospedale, accecato dalle forti luci di quell’ambiente asettico che gli rendevano difficile tenere gli occhi aperti.
Provò a pronunciare il nome di Giuseppe ma aveva la gola tanto secca da non riuscire neanche a deglutire, nonostante ciò dopo pochi secondi Giuseppe si accorse di lui e subito gli si fece vicino con gli occhi pieni di gratitudine e commozione.
“Straniero” esclamò stringendogli la mano “Ero così preoccupato”
“Niccolò dov’è?” domandò guardandosi attorno
“Con Valentina, non preoccuparti”
“Mi dispiace di aver-”
Giuseppe lo interruppe con un bacio “Non ti devi scusare di niente, sei qui, sveglio, il resto non conta”
Dopo qualche minuto vennero interrotti dall’ingresso della dottoressa che li aveva accolti in pronto soccorso “Buongiorno signor Macron” esordì con un sorriso rassicurante “Sono la dottoressa Costa” e dopo la breve presentazione si avvicinò al suo paziente per controllare tutti i parametri che andava poi inserendo nella cartella che teneva in mano.

“Cosa mi è successo?” domandò Emmanuel
La dottoressa lo scrutò con aria leggermente allarmata “Qual è il suo ultimo ricordo?”
“Sono svenuto in bagno”
“Ah bene, le abbiamo fatto delle analisi preliminari e non avevamo riscontrato alcun trauma cranico, temevo avesse dei vuoti di memoria”
Giuseppe prese immediatamente la parola “Sapete già cos’ha?”
La dottoressa prese un respiro profondo, il sorriso si affievolì un poco, ma Giuseppe tentò di levarsi quell’immagine dalla testa “Per esserne certi dovremo fare una gastroscopia, da quante ore non mangia?” domandò rivolgendosi a Emmanuel “Da ieri sera”
“Perfetto” rispose la dottoressa “Allora la portiamo di sopra per la gastroscopia” e detto ciò fece cenno a due infermieri che portarono via il letto di Emmanuel, Giuseppe gli lasciò la mano malvolentieri per poi alzarsi e raggiungere la dottoressa
“Mi dica signor Conte”
“Ha un’idea di cosa potrebbe aver provocato quel sangue?”
La donna gli sorrise amabilmente accarezzandogli un braccio in modo estremamente avvezzo nonostante la sua età giovanissima, chissà quante persone disperate come lui avrà visto nel corso del tempo susseguirsi su quelle poltrone, guardarla con gli occhi colmi di speranza e preoccupazione
“Non posso dire niente di certo prima di aver eseguito un esame più accurato, ma…” si interruppe per un attimo forse alla ricerca delle parole adeguate “...Il vomito ematico non è mai un buon segno” lo lasciò lì dopo avergli rivolto un dolce sorriso, in piedi con le braccia abbandonate lungo i fianchi e il cuore impazzito nel petto.

Uscì dall’ospedale, oppresso da quel luogo, soffocato da tutte le persone al suo interno e quando arrivò finalmente all’uscita poté respirare a pieni polmoni l’aria gelida di gennaio capace di spezzargli il fiato eppure così necessaria in quel momento.
Notò quasi subito che accanto a lui c’era una donna avvolta in un elegante cappotto nero
“Olivia?”
“Ciao Giuseppe”
“Che ci fai qua?”
“Mi ha chiamata Niccolò” rispose stringendosi le spalle nel cappotto per proteggersi da una folata di vento più forte delle altre “Aveva paura che tu fossi solo, ti vuole molto bene”
“Non eri costretta” replicò Giuseppe incapace di guardarla in viso sapendo quanto lei fosse giustamente arrabbiata
“Lo faccio volentieri, mi dispiace che Emmanuel non stia bene”
“Dev’essere difficile per te avermi sempre in mezzo, capisco se sei furiosa e vuoi andartene”
Olivia scosse la testa con un sorriso appena accennato “Sono arrabbiata con te perché sei la persona più facile da incolpare” tornò a far incontrare i loro sguardi “La verità è che per quanto io possa maledire il giorno in cui hai incontrato Beatrice, tu hai solo velocizzato i tempi, ma prima o poi tutto sarebbe venuto a galla”
Giuseppe si appoggiò al muro curioso di sentire ciò che aveva da dirgli
“Posso arrabbiarmi con te, con quella ragazza che vuole ricostruire un pezzo della sua vita, ma la colpa di tutto è solo di Adam e mia che mi sono fidata ciecamente di quello stronzo”
Quell’ultima parola strappò un sorriso a Giuseppe, ma non la interruppe per sottolineare quanto fosse d’accordo con lei.
“Fra tutte le città ha scelto Firenze, sa dove vivo, dove lavoro, che luoghi e che persone frequento. Eva adesso è piccola ma tornerà a chiedermi di lui quando sarà più matura, scoprirà di Beatrice prima o poi, che io tenti di impedirlo o no”
“Ancora non sa nulla?”
“Si sono mandati un paio di messaggi e basta”
“Forse anche Beatrice non sa che dire”
“Probabile, nemmeno io lo saprei”
“E poi non riesco a rimanere in collera con te” sospirò Olivia accompagnando quella frase con un sorriso
Giuseppe annuì lieto di sentire quelle parole e soprattutto felice che la sua ira si fosse placata, dopotutto era lì con lui a morire di freddo di fronte ad un ospedale.

“E Antonio?” domandò con un sorriso sornione che aumentò di grandezza quando vide Olivia alzare gli occhi al cielo
“Ti prego di non infierire”
Giuseppe si abbandonò ad una risata “La situazione è tanto drammatica?”
“Ha totalmente frainteso le mie intenzioni” rispose Olivia alzando le spalle “Lo trovo un uomo interessante e piacevole, è successo qualcosa tra noi ma credevo di essere stata chiara al riguardo”
“Lui non la pensa così, quando sei sparita è venuto a casa mia per sapere dove fossi”
Olivia scosse la testa facendo cadere qualche ciuffo biondo sul suo viso “Che imbarazzo!”
“Lo hai lasciato come si deve?”
“Ho provveduto” rispose portandosi una mano sul viso come a nascondere l’improvviso rossore sulle sue guance
“Non ti meritava”

Per qualche secondo rimasero in silenzio fin quando Olivia non riprese a parlare “Vuoi entrare?”
Giuseppe si voltò verso le porte a vetri del pronto soccorso, la voglia irrefrenabile di correre da Emmanuel e la spietata consapevolezza che varcare quella soglia significava andare incontro all’inevitabile verità.
“Vorrei restare qui fuori per sempre”
“Come mai dici così?” domandò la donna accarezzandogli il viso con la mano guantata
“Finché resto qua fuori non devo affrontare ciò che succede là dentro… Voglio rimanere qualche minuto in un luogo in cui la persona che amo non sta male”
Olivia lo abbracciò istintivamente muovendo le sue mani lungo la schiena di quell’uomo capace di tanto stoicismo eppure di altrettanta fragilità
“Non viverla così, perché dev’essere per forza qualcosa di grave?”
Giuseppe prese un lungo respiro per ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di solcare il suo viso già profondamente segnato “Ho paura, e finché resto fuori dal pronto soccorso mi sento come nel paradosso del gatto di Schrödinger”
Olivia sorrise di quell’affermazione “Solo tu potevi fare un simile esempio, tu e quel filosofo del tuo fidanzato”

Si decise a entrare, Olivia di fianco a lui fino alla sala d’attesa dove poi lo lasciò proseguire solo, il cuore pulsava così velocemente da spezzargli il fiato mentre a passi poco decisi si recava verso la stanza di Emmanuel.
Lo trovò di nuovo lì, reduce dell’esame, e subito gli si fece vicino stringendogli la mano con dolcezza “Com’è stata la tua gastroscopia, straniero?”
Emmanuel lo guardò in tralice assottigliando gli occhi “Sei in vena di ironie, professore?” e Giuseppe lo baciò perché non aveva bisogno che di quello
“Ti sono mancato così tanto?” domandò Emmanuel sorridendo
“Tu mi manchi sempre”
Quel piccolo idillio venne interrotto dall’ingresso della dottoressa Costa seguita da un altro dottore più anziano di lei con i capelli candidi e un gran paio di occhiali sul naso “Ho valutato la sua gastroscopia assieme al dottor Ferrari” la voce della dottoressa era decisamente più grave rispetto a quando l’aveva sentita l’ultima volta, sperò di sbagliarsi, ma tutto nel suo atteggiamento tradiva la venuta di cattive notizie.
“Signor Macron” esordì il medico stringendo la mano di Emmanuel “A seguito delle analisi e dell’esame abbiamo riscontrato la presenza di un linfoma gastrisco, abbiamo dovuto ricontrollare le analisi data la sua giovane età, ma purtroppo…”
“Cos’è?” domandò Giuseppe balzando sulla sedia, gli occhi spalancati e il respiro spezzato
“Un tumore” replicò il dottore “Per questo è stato sottoposto alla mia attenzione: io sono un oncologo”
Giuseppe si portò una mano davanti alla bocca incredulo di quanto il dottore stava dicendo
“Nell’ultimo periodo lei ha vomitato molto, perso peso… Sono tutti sintomi di un tumore allo stomaco”
Giuseppe si voltò verso il suo compagno evidentemente turbato tanto da non avere il coraggio di guardare in faccia il medico che stava pronunciando la sua sentenza.

“Quanto mi resta?” domandò prossimo alle lacrime
“Signor Macron, è presto ancora per dirlo, dobbiamo ancora effettuare le biopsia”
“Me lo dica” ribatté Emmanuel stringendo i pugni e faticando a trattenere le lacrime che invece già scendevano copiosamente sul viso di Giuseppe nonostante l’infantile tentativo di nasconderle con una mano.
“E’ evidente che lei sia sconvolto signor Macron” replicò il dottore “Vi lascio soli per poi discutere insieme le varie opzioni per la cura”
“La scongiuro” replicò Emmanuel con la voce contrita, i singhiozzi che già gli sconquassavano il petto “Mi dica quanto tempo ho”
Il medico sospirò e si tolse gli occhiali per pulirli col suo fazzoletto, forse per non dover continuare a guardare gli occhi colmi di lacrime del suo paziente.
“Dobbiamo ancora decidere come trattare il tumore, ma il suo è molto aggressivo e soprattutto… In stato avanzato”
“Quanto, dottore?” supplicò Emmanuel ancora una volta lasciandosi sfuggire un singhiozzo e chinando la testa, incapace di sostenere ancora lo sguardo del medico
Pochi mesi, signor Macron. Mi dispiace”

I medici uscirono dalla stanza per lasciare ai due qualche momento di intimità e Giuseppe immediatamente corse ad abbracciare il suo compagno scosso dai singhiozzi, Emmanuel si abbandonò al pianto con lui.
“Non voglio perderti” sussurrò Giuseppe prima di baciarlo mischiando le loro labbra e il sale delle loro lacrime.

Omnia vincit amor || Macronte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora