Legami di sangue

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Non si sarebbe aspettato che Emmanuel reagisse con tanta positività alla notizia e, nonostante più volte gli avesse spiegato che sarebbe stato un incontro estremamente complesso, il suo compagno continuava a sorridergli e a rassicurarlo.
“La mia famiglia non è come la tua” aveva ripetuto tutta la sera Giuseppe mentre preparava il letto in cui avrebbe dormito suo figlio, Emmanuel rispondeva con un sorriso “Sono pronto, sta tranquillo” “Sono io a non esserlo” pensava Giuseppe tra sé e sé proiettando nella sua mente gli scenari più disastrosi. Quella notte gli fu molto difficile prendere sonno, le parole che aveva pensato per Nicco gli rimbalzavano nella testa e più le ripeteva meno senso queste sembravano avere. Come avrebbe potuto spiegare a suo figlio che si era innamorato di un uomo? Come poteva deludere ancora quel ragazzino che già si rapportava a lui con tanta difficoltà, provato dalle sue assenze e dalle parole di una madre troppo rancorosa.
Come se questi pensieri non bastassero c’era anche Emmanuel la cui influenza, o qualsiasi cosa fosse, pareva non migliorare, lo sentiva rigirarsi nel letto, il corpo madido di sudore e delle tremende fitte a farlo contorcere. Si sentì ancora più in colpa nel doverlo sottoporre a quella stressante situazione in un momento in cui i dolori allo stomaco non lo facevano dormire.
“Possiamo andare in hotel” sussurrò Giuseppe nel cuore della notte appoggiandosi contro il corpo caldo di Emmanuel, avvolgendolo con cura
“Tu e tuo figlio non dormirete in albergo”
“Non ti senti bene, vorrai stare in pace…”
“Tenterò di non vomitare di fronte a tuo figlio” replicò Emmanuel cercando di scucire una risata al suo compagno
“Credo che dovremmo chiamare il medico”
“Per un’influenza intestinale? Figurati”
“Ema…”
In tutta risposta strinse le mani di Giuseppe che gli cingevano la vita “Basta che tu rimanga abbracciato qua con me”
“Non mi pare una cura sufficiente” rispose baciandogli una guancia sulla quale facevano capolino un filo di barba
“Certo che lo è, più di quanto credi. Ora dormi, domani è una giornata importante”

Giuseppe nella sua vita aveva dovuto fronteggiare innumerevoli situazioni che avevano messo a dura prova i suoi nervi, il suo lavoro come avvocato per esempio era una partita sempre aperta che lo costringeva a prevedere le mosse dell’avversario, a creare nuove strategie di attacco e di difesa, un lavoro che richiedeva velocità d’esecuzione, intuito e nervi saldi. Quella mattina, mentre attendeva che il campanello suonasse, si sentiva di fronte all’immenso edificio di un tribunale, ma stavolta ad essere sotto processo era lui, avrebbe combattuto di fronte al giudice più importante, la sua battaglia più dura.
Paradossale, pensò, che il rapporto con suo figlio assomigliasse sempre di più ad una causa civile.

Dopo un'attesa che gli parve infinita il campanello suonò e lui corse ad aprire trovandosi di fronte Valentina, elegante e agghindata come suo solito, e Niccolò con una valigia rossa in mano e due enormi cuffie bluetooth appoggiate dietro al collo. 

Dopo un breve saluto Valentina spiò dietro le spalle di Giuseppe "Sei solo?" 

"Tu non devi andare via?" rispose con un filo di acidità nella voce che non riuscì a celare

"Ho lasciato a Niccolò nome e numero dell'hotel in cui starò" borbottò la donna stringendosi nel suo cappotto marrone, contrariata dai modi di Giuseppe. 

Fece entrare suo figlio e rimase sulla porta con la madre che ancora scrutava l'interno dell'appartamento come un rapace alla ricerca della sua preda

"Hai finito di ficcare il naso?" domandò Giuseppe appoggiando il braccio allo stipite della porta 

"Gli dirai finalmente la verità?" 

"Ho altra scelta?" 

"È tuo figlio, se lo merita" 

Giuseppe rivolse un'occhiata veloce a Niccolò per assicurarsi che non si stesse curando della loro conversazione, difatti di stava guardando intorno con curiosità ignorando quello che i suoi genitori stavano dicendo. 

Omnia vincit amor || Macronte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora