Roma

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In cuor suo aveva sperato che qualcosa facesse miracolosamente cambiare idea a Valentina, che la partenza per Roma venisse posticipata, che accadesse un imprevisto, eppure si era dovuto scontrare con l’inevitabile realtà.
La vigilia della partenza, un freddo pomeriggio di inizio dicembre, Giuseppe andò a trovare suo figlio, l’ultima volta in cui vederlo avrebbe significato percorrere une ventina di chilometri, non trecento.

Una volta entrato in casa osservò tutti quegli scatoloni, il salotto quasi del tutto spoglio, i loro affetti personali messi in valigia, il caminetto di fronte al quale aveva tenuto suo figlio in braccio tante volte per farlo addormentare cullandolo con dolcezza, i segni sulle porte per indicare l’altezza di Niccolò fatti quando credevano che sarebbe stato per sempre, che Firenze sarebbe stata la loro nuova casa, un nuovo capitolo della loro vita insieme.
Non c’era più niente di tutta quella gioia, pensò Giuseppe osservando alcuni scatoloni impilati e contraddistinti dalla calligrafia rapida di Valentina, tutti i loro ricordi, la famiglia che erano stati, era tutto imballato, chiuso, finito.
Non avrebbe mai voluto tutto ciò, pensò mentre si guardava intorno, osservando per l’ultima volta la casa che aveva visto tanta gioia e speranza, ma altrettante lacrime e dolore.

Si fece coraggio e bussò alla porta della camera di Niccolò trovandolo intento a giocare alla playstation con un’aria particolarmente concentrata, il labbro inferiore intrappolato da un morso, gli occhi che saettavano rapidi da una parte all’altra dello schermo, si accorse solo dopo qualche secondo dell’intrusione e si tolse le cuffie.
“Se vuoi aspetto” disse Giuseppe appoggiato allo stipite della porta, abituato alle infinite partite del figlio, a volte giocavano insieme e Niccolò gli insegnava alcuni trucchi, e pensare che era stato Giuseppe ad insegnargli a giocare.
“No” rispose Niccolò interrompendo prontamente “Siediti pure lì” indicò il letto e Giuseppe eseguì.
Rimasero qualche istante in silenzio, non trovando le parole adeguate a quel momento, fu quindi Giuseppe a prendere l’iniziativa “Sei contento di tornare a Roma?”
Niccolò sospirò consapevole del peso di quella domanda, ancora piccolo per comprendere certe dinamiche, ma ormai abbastanza grande per intuirle.
Lo vide abbassare lo sguardo e giocherellare col filo delle cuffie che gli cadeva mollemente sulle gambe “Non sono né triste né felice”
“Cosa intendi?” domandò Giuseppe avvicinandosi a lui col busto, i gomiti poggiati sulle ginocchia “Intendo che non mi piace che tu e mamma litighiate”
“Lo so” ammise Giuseppe “Non dev’essere facile per te pagarne sempre il prezzo”
“A Roma c’è la nostra famiglia, ma…”
“Ma?”
“Tu mi mancherai” rispose Niccolò con gli occhi rivolti verso il basso.
Quella immagine fece stringere il cuore di Giuseppe pienamente consapevole che tutti i suoi attriti con Valentina, tutte le loro ripicche e il loro astio si riversavano su Niccolò, vittima innocente di quel triste gioco.
“Verrò a trovarti spesso, se lo vorrai” rispose Giuseppe regalandogli un ampio sorriso
“Vieni a Roma con noi” disse Niccolò rivolgendogli uno sguardo speranzoso, gli occhi castani leggermente umidi
“Non posso” rispose Giuseppe con un terribile dolore alla gola che gli rendeva difficile articolare adeguatamente le parole
“Perché?” domandò Niccolò con voce allarmata, un tono di supplica incastrato tra le sue parole
“Perché a Firenze ho la mia vita, la mia carriera”
“E’ per la tua nuova fidanzata?”
A Giuseppe mancò un battito e probabilmente Niccolò intuì qualcosa dalla sua faccia stupita
“Allora ha ragione la mamma, non vieni a Roma perché stai con qualcuno”
Giuseppe sentì tutta la delusione e l’astio di quelle parole travolgerlo con violenza, furioso con Valentina che riempiva la testa di suo figlio di quei ragionamenti assurdi e paranoici, di quelle conclusioni affrettate.
“Cosa ti ha detto la mamma?”
“Che sei fidanzato, ancora” e marcò l’ultima parola con disgusto
“Tesoro” Giuseppe prese un respiro profondo “Non credere a tutto ciò che ti dice tua madre”
“Perché?”
“Perché una storia ha sempre due verità”
“Ti sei fidanzato?”
“Frequento una persona” ammise Giuseppe rassegnato, consapevole che spiegarsi dopo tutto ciò che aveva raccontato Valentina sarebbe stato quasi impossibile
“Ed è per lei che non vieni a Roma? Ami più lei di me?”
“Nicco…”
“Io sono tuo figlio!” gridò con le lacrime agli occhi e i pugni stretti, incredibilmente così piccolo e così uomo al tempo stesso
“E io ti amo, Nicco, non sai quanto”
“Allora perché non vieni a Roma?”
Giuseppe sospirò, non aveva intenzione di screditare Valentina, non era mai voluto ricorrere a certi mezzucci, ma di fronte a lui c’era suo figlio furioso per tutte le bugie raccontategli dalla madre “La mamma ha deciso da sola di partire per Roma, non ne ha mai parlato con me”
“Bugiardo” rispose Niccolò aggrottando le sopracciglia, abituato a credere ad ogni parola di sua madre, Giuseppe scosse la testa rassegnato “Non ha deciso niente con me, mi ha solo detto ciò che aveva deciso”
“E… E tu non puoi venire comunque?”
“Abbiamo vissuto nella stessa città per anni e come sono andate le cose?”
Niccolò non rispose, si rimise a sedere con le braccia conserte
“Voglio bene alla mamma, ma le cose non vanno bene neanche qui a Firenze. Io non posso inseguirla ovunque lei decida di portarti, lo capisci?”
Niccolò parve riflettere un attimo sulle parole di suo padre e poi rispose
“Ma lei a Firenze c’è venuta”
“Eravamo sposati”
“Vabbè, ma…” abbassò la voce e si fece piccolo contro la sedia “Sono stanco di essere il motivo per cui litigate sempre, a volte penso che sarebbe stato meglio se non fossi mai nato”
Giuseppe sentì qualche lacrima pungergli gli occhi, irrimediabilmente colpito da quelle parole così dolorose, si inginocchiò accanto a suo figlio, il suo ometto, per guardarlo bene oltre quella tenda di capelli indomabili con cui tentava di nascondersi il viso.
“Sei la cosa più bella della nostra vita” gli disse accarezzandogli il braccio con dolcezza sforzandosi di trattenere le lacrime “Non sarei niente senza di te, mio figlio. Io e la mamma ti amiamo da impazzire, non devi neanche pensarle certe cose”
“Ogni volta che parlate di me siete sempre arrabbiati. So che siete andati da un giudice per l’affidamento, per il trasloco a Roma”
Giuseppe scosse la testa “Chi te l’ha detto?”
“Ho trovato le pratiche in salotto, dentro una cartellina”
“Si tratta di formalità, cose burocratiche. Non c’entri niente, se noi litighiamo è perché siamo testardi, non è colpa tua”
“Mi sento come se mi aveste spaccato a metà”
Giuseppe lo strinse immediatamente a sé, ormai incapace di trattenere alcune lacrime troppo amare per essere celate, lo abbracciò forte, come quando era piccolo e veniva a svegliarlo nel cuore della notte perché aveva fatto un incubo.
Stavolta non sarebbe bastato tornare a letto e girarsi dall’altra parte, accendere una lucina colorata per scacciare via la paura.
“Ci vediamo presto, campione”
Niccolò annuì “A presto”. 

Guidare fino a casa fu un'operazione estremamente meccanica, Giuseppe neanche si rese conto di averlo fatto, tanto i suoi pensieri lo assillavano, e un'irrefrenabile malinconia lo pervadeva a tal punto da farlo quasi estraniare. 

Quando aprì la porta d'ingresso trovò Emmanuel seduto sul divano con un libro che immediatamente venne dimenticato "Come stai?" gli domandò mentre Giuseppe si toglieva il cappotto lasciandolo cadere malamente ai suoi piedi "Non lo so" rispose passandosi una mano sul viso e lasciandosi cadere sul divano, completamente sfinito. 

"Valentina riempie la testa di Nicco di stronzate" 

Emmanuel gli accarezzò un braccio con premura, lui che coi suoi tocchi delicati rischiarava sempre l'animo turbato di Giuseppe "Gli ha detto di noi" 

"Davvero?" 

"Sì cioè… Non proprio di noi, gli ha detto che mi sono messo con un'altra persona, ma giustamente Niccolò crede sia una donna" 

"L'ha presa male?" 

"Mi ha chiesto di andare a Roma con lui, è molto dispiaciuto. Indubbiamente questa situazione lo fa soffrire" 

"Tu cosa gli hai risposto?" domandò Emmanuel trattenendo il respiro qualche istante, temendo che la risposta di Giuseppe lo avrebbe colpito con una brutalità tale da provocargli un dolore quasi fisico. 

"Che non posso, Ema" 

Ci fu qualche attimo di silenzio, Emmanuel guardava in basso, agitato "È per colpa mia?" 

"Cosa?" 

"Per colpa mia non vai da tuo figlio a Roma?" 

Giuseppe si fece più vicino e prese il viso del compagno tra le sue mani facendo toccare le loro fronti "No, non dirlo mai" 

"Però…" Emmanuel si staccò dalla dolce presa di Giuseppe "Non voglio che tu stia male per colpa mia. Se vuoi andare a Roma da tuo figlio lo posso capire, non mi permetterei mai di privarti di…"

"Smettila" rispose Giuseppe per poi lasciarsi andare a un lungo sospiro sconsolato "Emmanuel, ti prego smettila" gli prese una mano con dolcezza "Non potrei mai fare a meno di te, capisci?" 

"Ma…"

"Sai cosa succederebbe se andassi a Roma? Valentina troverebbe un'altra scusa per non farmi stare con nostro figlio. Lei non vuole darmi pace"
“Perché dici questo?”
“Non ha motivo di tornare a Roma. Non ha un nuovo lavoro né motivi personali, lo fa solo perché vuole che la mia vita dipenda da lei, che io viva accanto a lei senza poter andare avanti"

"Quindi?" domandò Emmanuel

"Quindi intendo restare" sussurrò Giuseppe prima di premere le sue labbra contro quelle del compagno. 

Vennero interrotti da una notifica proveniente dal cellulare di Giuseppe, tirò fuori il telefono dalla tasca e sul display gli apparve il nome della mail universitaria di Beatrice. 

"Che succede?" domandò Emmanuel vedendolo così perplesso 

"È Beatrice, Beatrice Lundberg" 

"E?" 

"Dice che vorrebbe parlarmi" 

Omnia vincit amor || Macronte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora