Di esami e notti in ospedale

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Quelle che seguirono furono ore tremende: le lacrime che scorrevano sulla loro pelle senza che potessero impedirlo, le promesse di Giuseppe sussurrate con le labbra premute contro quelle del compagno “Ti porterò anche dall’altra parte del mondo, troveremo il dottore più bravo” non faceva che ripeterlo in una cantilena che serviva a fare ordine nella sua testa affollata di pensieri confusi.
Le parole del medico li tormentavano come uno strano eco, cercavano di comprendere tutte quelle terribili parole pronunciate con una voce tanto colma di rammarico da apparire già arresa. Il medico si rivolgeva a Emmanuel come si parla ad un condannato a morte e questo fece impazzire Giuseppe che rimase in silenzio ad ascoltare tutto.
L’unica cosa che riuscì a capire fu che Emmanuel avrebbe iniziato la radioterapia quello stesso giorno e ammirava immensamente la compostezza con cui il suo compagno affrontava le parole del medico, uno stoicismo di cui lui non sarebbe mai stato capace.

Ma nonappena il medico fu uscito dalla stanza lo vide crollare sotto il peso di quella realtà così difficile da accettare, schiacciato dalla consapevolezza che a poco più di quarant'anni doveva già lottare per la sua vita.

Giuseppe gli tenne mano per tutto il tempo, mentre le infermiere gli bucavano la pelle e lo portavano a fare la sua prima radioterapia, il primo passo verso quella che si preannunciava essere una dura battaglia da combattere, eppure nonostante i primi dolori causati dalla terapia Emmanuel gli sorrideva ancora con quella limpidezza che l’aveva fatto innamorare.
Furono due giorni vissuti fuori da ogni concezione del tempo che veniva scandito dall’ingresso del personale medico, dalla somministrazione dei farmaci, neanche si avvedevano del tramontare del sole, della pioggia che batteva sui vetri della finestra, esistevano solo loro in quella stanza asettica ed impersonale.

“Domani andrai in facoltà?” domandò Emmanuel mentre Giuseppe gli accarezzava con cura la mano in cui era infilata l’agocanula
“Certo che no, ho chiamato ieri e ho informato della situazione, Dario esaminerà i ragazzi”
“Credo che dovresti andare”
“Io credo che invece il mio posto sia qua accanto a te”
Emmanuel gli sorrise colmo di tenerezza anche se di quel sorriso Giuseppe non poté evitare di notare la stanchezza, le labbra secche a causa dei farmaci “Vai, devi distrarti un po’”
“Esaminare dozzine di ragazzi è considerato svagarsi?”
“Esci da qui, ti farà bene, io sopravviverò qualche ora senza di te” rispose Emmanuel facendo un occhiolino, l’espressione di Giuseppe si fece più seria e commossa “Sono io a non saper stare senza di te” ma fu costretto immediatamente a rendersi conto di come una frase tanto romantica in quella circostanza risultasse estremamente dolorosa.
“Prometti che andrai”
“Prometto” replicò Giuseppe baciandolo con delicatezza.

L’indomani lasciò l’ospedale per recarsi a casa, fare una doccia e poi raggiungere l’università nonostante fosse l’ultima cosa di cui avesse bisogno, ma l’aveva promesso ad Emmanuel e l’avrebbe fatto, forse gli sarebbe davvero servito staccare la testa per qualche ora.
Aprire la porta di quell’appartamento  e realizzare che anche quella sera non sarebbero stati a casa abbracciati a vedere un film sul divano, a fare l'amore sul letto, a competere in cucina per stabilire chi fosse il cuoco più capace fu una difficile da digerire, ma fu ancora più tremendo pensare che non avrebbero più potuto riavere certi momenti, che la malattia poteva avere la meglio. Si appoggiò alla porta dell’ingresso cercando di trattenere le lacrime consapevole che erano solo le prime, che ancora molte andavano versate e che altrettante ne avrebbe dovute asciugare dal viso del suo compagno.
Cosa gli era successo? Iniziò a domandarselo mentre si guardava intorno in quella casa che improvvisamente sapeva troppo di lui, il suo odore impigliato tra i mobili. Come si era ritrovato ad amare così intensamente una persona dopo meno di un anno, perdere la testa per un uomo, mandare tutto al diavolo per amore. Il Giuseppe che conosceva non l’avrebbe mai fatto, non era mai stato un uomo che si faceva sopraffare da sentimenti smaniosi ed emozioni scomode, troppo razionale per cedere. Emmanuel aveva stravolto il suo mondo, la sua vita, e se accettare di amare un uomo era stato difficile, dovette ammettere che la cosa più complicata fu accogliere l'idea di quanto quell’amore lo avesse cambiato.
Emmanuel era riuscito dove molte donne avevano fallito, aveva abbattuto la sua corazza, superato dei limiti che non aveva permesso a nessuno di oltrepassare. Ammise a sé stesso, iniziando a spogliarsi di fronte alla doccia, che non aveva mai amato così intensamente qualcuno e la sola idea che Emmanuel potesse andarsene gli faceva seccare la gola e diventare molli i muscoli. Era terrorizzato, ma doveva essere forte per entrambi, dove avrebbe trovato questa forza era ancora un mistero.

Tornare in facoltà fu più difficile di quanto avesse immaginato, le voci avevano già raggiunto gran parte dell’ateneo tra docenti e studenti, camminava nell’atrio sentendosi centinaia di occhi addosso, lo sguardo che si rivolge ad un incidente stradale quando vi si passa accanto. Si sentiva incredibilmente esposto anche di fronte ai suoi alunni nonostante la sua posizione di potere, come se tutti lo scrutassero per vedere segni del suo cedimento, per cercare qualche ferita ancora aperta. Non si sarebbe nascosto, pensò, che vengano a vederlo il povero professor Conte con tutto il suo dolore, che mi spoglino l’anima in cerca di cicatrici, si ripeteva, non gli interessava d’altro se non di Emmanuel in quel momento.
Immediatamente venne affiancato da Michela che lo prese a braccetto rivolgendogli un sorriso rassicurante di quelli colmi di calore che si donano per infondere coraggio, percorsero insieme l’atrio con la sua collega pronta ad incenerire con lo sguardo chiunque si fosse avvicinato.
“Lo sanno tutti” disse Giuseppe una volta che furono dinnanzi alla macchinetta del caffè
“Le voci girano, ma gli studenti ti guardano solo perché sono spaventati dagli esami di oggi, non si curano di queste cose”
“Non mi interessa se lo fanno” mentì Giuseppe “Ma le mie vicissitudini personali sono state per troppo tempo al centro dei pettegolezzi di questa facoltà”
“Non ti preoccupare, tra poco avranno altro di cui parlare” ammise Michela aprendo il largo gilet rosa pallido che svelò agli occhi di Giuseppe un ventre rotondo appena accennato, istintivamente sorrise “Questa è una splendida notizia”
“Smetteranno presto di curarsi di te, sono incinta e non sono sposata, sarò uno scandalo tra i colleghi, si affanneranno per scoprire chi è il padre”
“E tu glielo dirai mai?”
“No” rispose Michela ridendo e abbottonando nuovamente il vestito per nascondere quel prezioso segreto.
“Sei felice?” domandò Giuseppe sinceramente lieto per l'inaspettata notizia
“Avrei voluto che le cose andassero diversamente” sussurrò guardandolo negli occhi e Giuseppe capì quanto profondamente quella donna l’avesse amato e forse lo amasse ancora “Ma sono felice” asserì convinta regalandogli un altro sorriso materno e affettuoso.
“Anche io lo sono per te” rispose Giuseppe mentre Michela gli accarezzava una guancia
“Si vede che stai morendo dentro” sussurrò solcando con attenzione i tratti del suo viso “Abbi fede”
“Non so dove trovarla” replicò Giuseppe prendendole una mano tra le sue e congedandosi con un sorriso che gli tirava la faccia in modo innaturale.

Mentre percorreva uno dei corridoi per raggiungere l’aula dell’esame sentì una mano strattonargli la giacca e riconobbe Beatrice che lo fissava gli occhi azzurri incendiati dalla rabbia “Non mi hai più risposto” Giuseppe sospirò rammaricandosi di trovarla ancora così risentita nei suoi confronti “Sono stato...Impegnato”
“Avevo bisogno di parlare con te!” esclamò
“No, avevi bisogno di un’amica probabilmente, non di me”
“Tu mi hai detto di mia sorella e poi sei sparito” replicò a denti stretti, lacrime piene di rabbia a illuminarle gli occhi, Giuseppe a malapena sosteneva il suo sguardo non perché si sentisse in colpa, ma perché non era in grado di affrontare quella conversazione, non così, non in quel momento.
“Ti ho detto la verità in un momento di rabbia, ma era la verità che tanto volevi”
“E quindi ora non ti importa più? È così che fa il professor Conte? Sei davvero così stronzo?”
Prima che potesse terminare la frase Giuseppe tirò istintivamente un pugno contro il muro facendo tacere immediatamente Beatrice che lo guardò atterrita, ma lo spavento se ne andò presto quando lo vide tenersi la mano offesa e lasciarsi andare a qualche lacrima.
“Mi dispiace, forse sono davvero uno stronzo come dici te, ma rischio di perdere per sempre l’uomo che amo mentre tu hai scoperto di avere una sorella, sangue del tuo sangue. Tuo padre è un bugiardo traditore, ma tu hai una sorella e non capisci quanto sei fortunata”
Beatrice rimase a fissarlo incapace di trovare parole adeguate, faceva saettare lo sguardo dalla mano arrossata ai suoi occhi colmi di lacrime.
“Io non sapevo che il professor Macron…”
“Mi dispiace averti causato dei problemi, forse non avrei dovuto importunarti quel giorno, ma non posso cambiare il passato”
Beatrice provò a replicare, tremendamente dispiaciuta dalle dolorose parole dell’uomo di fronte a lei e pentita per la sfrontatezza con la quale gli si era rivolta, ma Giuseppe fu più veloce “D’ora in poi saremo solo un docente e una studentessa, darai questo esame col mio assistente e non dovrai più vedermi se non in giro nei corridoi, ciao Bea" la salutò lasciandole una carezza sul viso e allontanandosi.


Omnia vincit amor || Macronte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora