Capitolo 3 Isabella

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Non era mai successo. Lo scenario che abbiamo davanti lascia tutti increduli.
Le urla di mio fratello hanno dato inizio a qualcosa di terrificante.

È sempre stata una città tranquilla, nessun crimine, nessuna notizia di spacciatori o persone disperse. Mio padre l'ha sempre chiamata la "città silente" e mia madre la odiava proprio per questo.

Conoscevo il coach da quando sono entrata in questo liceo, tutti lo ammiravano e seguivano i suoi consigli con devozione. Ha sempre dato il massimo per i suoi ragazzi. Nutriva grandi aspettative sul futuro accademico di mio fratello, per lui era un campione e ogni volta che glielo ricordava, Klaus si illuminava di orgoglio. Ma adesso, l'unica cosa che vedo nello sguardo di mio fratello è l'orrore di essere stato proprio lui ad aver trovato il suo cadavere.

Vorrei piangere forte con lui e spingere via tutti per stringerlo forte.
Ma, in questo momento, riesco a fare solo una delle due cose. Il pianto smorzato di mio fratello mi spezza il cuore, un ragazzino di sedici anni non dovrebbe trovarsi davanti scene del genere. Mi avvicino piano a lui e gli afferro la mano, mi stringe forte e io faccio lo stesso. Thomas gli accarezza la spalla guardandolo con occhi pieni di compassione. L'ambulanza va via con il corpo morto, mentre i poliziotti tornano dentro per interrogare il personale.
«Signor Mellville» mi volto di scatto, un agente si avvicina.
«Ci dispiace, ma deve venire con noi dentro e raccontarci l'accaduto, abbiamo convocato i vostri genitori. Stanno per arrivare» l'uomo in divisa posa la mano sulla spalla di mio fratello per rassicurarlo. Klaus si asciuga le lacrime con la manica della giacca e lo segue dentro.

«Questa storia ha dell'incredibile» dice Thomas sconvolto.
«Già» dico assente.
Mi sento mancare l'aria in mezzo a tutti questi ragazzi ammucchiati per vedere cosa stia succedendo.

Ma la figura di quel poliziotto, le volanti, mi fanno sentire come se stessi rivivendo un déjà-vu. Un poliziotto che mi porge la mano, che mi accarezza la testa e mi dice che andrà tutto bene. Ma dove è successo? L'avrò visto in qualche film? Cerco di ricordare ma non riesco.
«Bella? Sembri persa» guardo la mano del mio ragazzo che la sventola davanti il mio viso. "Lo sono" dico a me stessa.
«No! È solo che non riesco ad immaginare il motivo del gesto del coach, perché si è ucciso?» sollevo lo sguardo su quello di Thomas che mi sta guardando stupito.
«Pensi davvero che si sia ucciso?» lo guardo perplessa
«Che intendi?»
«Bella, io credo che sia stato ucciso, per questo stanno interrogando tutti».
Sento un tonfo al cuore e la paura mi sale dentro, chi potrebbe mai aver ucciso il coach?

«Andiamo, ti accompagno a casa» Thomas mi prende per mano e mi trascina in auto. La mia mente, i miei pensieri non sanno che direzione prendere.

Sono dispiaciuta e spaventata allo stesso tempo. Guardo fuori dal finestrino dell'auto, gli alberi si muovono a ritmo del vento, il suono di una moto riecheggia nelle mie orecchie come se fosse un fantasma, diventando sempre più forte e piano sembra sfiorare il mio orecchio, fermandosi al semaforo rosso accanto alla macchina. Mi volto per guardare la moto e con mia grande sorpresa vedo una Kawasaki ninja zx. È una delle moto di cui parla spesso mio fratello.

Mi blocco a fissare l'uomo che è alla guida, il casco non mi permette di vedere il suo volto. Ma è girato appena verso di me, come se mi stesse guardando. Mi sento come se fossi paralizzata, mi da un senso di familiarità. Non riesco a spezzare questo contatto visivo. Nella mia mente inizio a formulare molte domande, ma solo una preme più forte: chi è quest'uomo?

Il verde fa ripartire l'auto di Thomas, ma la moto non si muove. Non preme l'acceleratore per ripartire. È fermo.
Continuo a guardarlo dallo specchietto laterale, ma alla curva della chiesa madre, scompare. Vorrei urlare a Thomas di tornare indietro, ma mi prenderebbe per pazza. Credo fermamente che sia arrivato in città da poco, non l'ho mai visto uno così.

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