Capitolo 7 Isabella

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Il dolore è solo al consapevolezza di essere ancora vivi ed è quello che ci rende umani.

Delle zanne conficcate nel mio collo, degli artigli che mi tenevano prigioniera, il buio totale e il dolore lacerante. Adesso sento qualcosa di diverso. Un calore mai provato prima. Anche se non placa il dolore in tutto il corpo, mi fa sentire al sicuro, protetta. Provo ad aprire gli occhi, ma non riesco a vedere nulla. E' tutto tinto di rosso. Ma è bello, è bellissimo l'uomo che mi tiene stretta.
Un angelo mi ha salvata dalle fauci del lupo che ha cercato di divorarmi.

Non riesco a capire cosa stia succedendo. Di chi sono le voci e i rumori intorno a me.
Poi all'improvviso tutto intorno tace. Il rumore delle catene arrugginite delle altalene sembra lontano.

Qualcuno mi sussurra parole dolci all'orecchio e io lo vedo: un angelo dalle ali rosse mi sta guardando con occhi verdi pieni di terrore e di dolcezza allo stesso tempo. Mi stringe fra le sue forti braccia e io non vorrei essere da nessun'altra parte.
"Portami con te" vorrei urlargli, ma nessun suono esce dalla mia bocca.

Il calore che provo, lentamente, sembra dissolversi, impossessandosi feroce nel mio petto, una sensazione di vuoto e dolore è ciò che resta.

Una luce bianca minaccia di riportarmi alla realtà, trascinandomi via da questo sogno soave.
Non vorrei svegliarmi e abbandonare questa dolce sensazione che, ormai, sta svanendo.
L'aria puzza di disinfettante. Sento lo stomaco sotto sopra e un conato di vomito mi attanaglia.
Sono costretta ad aprire gli occhi, che bruciano un po'.
La luce bianca che ha interrotto il mio sogno è appesa al soffitto. Cerco di mettere a fuoco la stanza, sono in una camera d'ospedale. Cerco di sollevarmi, ma inutilmente. Sento la testa pesante come un macigno. Seguo il tubo della flebo fino al braccio, mi pizzica l'ago proprio dentro la vena, e il saturimetro attaccato alle dita non mi permette di far nemmeno un movimento senza provare un dolore lancinante.

Passo la mano libera sul collo toccando una grossa garza, attaccata con del nastro adesivo. Sono confusa. Non ricordo bene cosa sia successo. Delle immagini confuse mi affollano la mente. Vedo delle ombre, sangue che sgorga, una chiesa. Non ci capisco nulla. La testa mi pulsa.
Mia madre è seduta su una delle poltrone attaccate al muro di fronte al letto. I capelli biondi spettinati e l'aria stanca. "Per quanto tempo sarà stata qui?"

Questo pensiero mi stringe il cuore, non sono mai voluta essere un peso per loro.
Mi sforzo ancora una volta di ricordare, ma peggioro il mal di testa emettendo un gemito di dolore che fa sobbalzare mia madre.
«Bella, tesoro. Sei sveglia...» dice dolcemente. Ha lo sguardo triste e preoccupato «...vado a chiamare il dottore ok?»
Annuisco mentre la vedo uscire dalla stanza.

Mi sdraio e chiudo gli occhi.
Nella stanza, oltre mia madre, entrano il dottore e un' infermiera. Mi sollevo piano.
«Salve Isabella...» dice dolcemente. È un uomo alto, con i capelli argentati e il naso pronunciato. Ha gli occhi chiari circondati da piccole rughe e un sorriso gentile. «...io sono il dottor Wood; come ti senti? Provi dolore da qualche parte?»
«Io...» la voce mi esce flebile. Passo la mano alla gola, parlare mi costa una fatica sovrumana.
«Va tutto bene. La ferita inferta non è grave come sembra, tuttavia i muscoli della gola sono indolenziti e quindi potresti provare dolore quando parli» deglutisco. In effetti sento anche tirare i punti.
«Che è successo?» sussurro
«Tu ricordi qualcosa?»
Scuoto la testa. L'infermiera sta cambiando il flacone della flebo. Il liquido veloce attraversa la vena causandomi un fremito fastidioso.
«Va bene. È la conseguenza dello shock, ma col tempo riuscirai a ricordare. Intanto sarà tua madre a spiegarti quello che succede. Qui sei in buone mani» fa un sorriso mostrando i denti bianchi. Ricambio appena mentre lo vedo uscire dalla stanza seguito dall'infermiera.

Ricordi imbrattati di RossoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora