Capitolo 14 Cameron

85 15 33
                                    

«...un mostro» anche dette da me, queste parole sanno come lacerarmi l'anima. O quel che ne rimane.
Serro la mascella e lei, a pochi passi lontana da me, ha lo sguardo cupo e preoccupato.
E' appena successo la cosa che più temevo, lei ha paura di me.
Come biasimarla? Sono il predatore più pericoloso al mondo.
Cosa mi sarei dovuto aspettare. Annabelle è stata così magnanima da rovinare per l'ennesima volta la mia esistenza. E sta volta si è vendicata proprio bene.

«Ora che hai ottenuto le tue risposte perché non fuggi via? Che fai ancora qui? Ti faccio paura adesso e faresti meglio a scappare via adesso» dico a denti stretti. 
«Io...non...» cerca di dire, ma è come se avesse perso la voce. Continua a fissarmi, sento i battiti accelerati del suo cuore.
All'improvviso si irrigidisce e sento la vibrazione del suo cellulare. Distoglie lo sguardo dal mio e colgo l'occasione per correre via e sparire dalla sua vista. E magari anche dalla sua vita.

Di certo non ho altre alternative. Adesso che ha scoperto ciò che sono, sarà spaventata e vorrà starmi il più lontano possibile.
Sarà facile. Fra di noi metterà un oceano di distanza, Annabelle mi seguirà per continuare la sua missione di tormento e lei potrà vivere la sua vita ed essere felice. Spero non con quel Thomas. Si merita di meglio e non è né lui né tanto meno io.

Torno a casa e il pensiero di fare le valigie si accentua molto di più.

Entro nello studio di mio padre con l'intenzione di dirgli tutto, ma non è ancora rincasato. Mi butto di peso sul divano in pelle davanti all'enorme tavolo di legno. Accanto c'è un piccolo mobile di vetro pieno di alcolici e dei bicchieri di vetro su cui versarli. Valuto quale sarebbe adatto al mio umore di oggi.

Potrei andarmene in Giappone, oppure in Messico. Oppure potrei non prendere più le pillole per il sole e darmi finalmente fuoco con una bella abbronzatura scottante.

«L'ironia non è il tuo forte figliolo» una voce familiare interrompe i miei pensieri.

«Padre. Ti avrò detto mille volte che non sopporto quando entri nella mia testa. Il fatto che tu abbia questo potere...»

«...lo so, lo so. Non mi dà alcun diritto di utilizzarlo su di te» continua la frase con una smorfia divertita. Poi torna a guardarmi serio.

«Perciò... Bella ha ricordato tutto»

«A quanto pare» dico amareggiato.

«E sei scappato lasciandola da sola in pasto ai suoi pensieri»

Mi volto a guardarlo fulminandolo con lo sguardo. Lui fa spallucce e si avvicina al mobile di vetro. Prende due bicchieri e ci versa del liquore scuro.

«Cosa avrei dovuto fare?»

«Restare?» dice sollevando lo sguardo dal bicchiere che stava riempiendo per passarmelo.

«Per quale ragione? Era terrorizzata» dico esasperato e quasi non mi metto a urlare.

«Avresti dovuto aspettare ciò che aveva da dirti. Non credo che avrebbe continuato a fare scena muta»

«Certo, hai ragione. Avrei dovuto aspettare che lei mi dicesse quanto mi trova ripugnante e spaventoso» sputo ironico.

«Dai così per scontato che lei pensi questo di te?» mi porge il bicchiere e io lo afferro.

«Che altro potrebbe pensare?»

«Non lo so. Avrebbe potuto pensare che sei un essere maestoso. Ma non lo so. E nemmeno tu lo sai. Sai chi potrebbe dirlo? Isabella...» torna a versare dellaltro liquore nel secondo bicchiere. «...Che nome delizioso che ha» aggiunge in fine sogghignando.

Ricordi imbrattati di RossoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora