Capitolo 16 Isabella

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Fa un sospiro profondo, ha lo sguardo triste e preoccupato. Io non riesco a non trovarlo affascinante e dannatamente bello.
Perciò sono convinta che nonostante possa essere tanto brutto ciò che sta per raccontarmi, io non scapperò mai via da lui.

Fa un altro sospiro. La luce fioca che attraversa la finestra illumina appena il suo viso, sembra un angelo incredibilmente perfetto.

«Il mio padre biologico...» inizia «...Jhon Sabella, era un vero mostro, anche peggiore di me, solo che lui era un umano, io lo sono diventato dopo la mia morte. Come si dice: la mela non cade mai lontano dall'albero» con un sorriso amareggiato.

«Sono nato nel 1722, con una rara malattia che non mi permetteva di uscire alla luce del sole. Quella che in questo secolo viene chiamata Xeroderma Pigmentosi. Perfino ora non riescono a trovare una cura efficace. A quei tempi però non era considerata una malattia ma una maledizione.
Nato con i capelli rossi, con una malattia che bruciava la mia pelle al solo contatto con la luce del sole, in un'epoca in cui mettevano al rogo le donne accusate di stregoneria, ero considerato il figlio del diavolo.
Mia madre, Merìdia, ha cercato di proteggermi da ogni cosa, perfino da mio padre.

Avevo una sorella maggiore, Hanne, anche lei cercava di proteggermi. Ma nonostante tutto non ci riuscivano. Mio padre non perdeva occasione per tormentarmi. Fui costretto da mio padre a nascondermi, a non farmi vedere da nessuno o a parlare. Per lui ero un essere immondo e ha cercato parecchie volte di buttarmi fuori al sole e farmi bruciare.
Mia madre era un'erborista, brava con le medicine naturali. Curava la gente che ne aveva bisogno, ma doveva stare attenta, da erborista a strega il passo era breve.

Ci spostammo in varie città, villaggi, attraversammo vari confini. Non rimanevamo mai abbastanza a lungo in posto. Aveva paura che qualcuno avrebbe scoperto il mostro che teneva rinchiuso nei sotterranei. Non appena iniziavano a fare domande sulla nostra famiglia mio padre raccoglieva le nostre cose e fuggivamo via. Crescendo gli era sempre più difficile tenermi rinchiuso. Ero solo un ragazzino che voleva vedere il mondo fuori dall'oscurità. A lui non importava e continuava a picchiarmi di continuo, dandomi la colpa della nostra vita da fuggiaschi. Diceva che mia sorella non avrebbe mai trovato marito a causa mia e che la generazione dei Sabelle sarebbe morta con noi.

Quando raggiunsi la maggiore età le cose iniziarono a peggiorare. Mio padre iniziò a bere e a sperperare tutto il nostro denaro. Quando tornava a casa non faceva altro che picchiarmi con quanta rabbia avesse nel corpo, e se mi ribellavo e diventava difficile prendersela con me, prendeva a picchiare mia sorella o mia madre.

Mia sorella iniziò a cercare una soluzione alla mia malattia, viaggiando di nascosto. Ma stava via da casa per giorni e quando tornava mio padre l'accusava di essere una donna promiscua e che la sua virtù era ormai compromessa. Non si reggeva in piedi, ormai perennemente ubriaco non faceva altro che sputare sentenze umiliando la sua famiglia. Era diventato un buono a nulla. Gli anni passavano, io avevo appena compiuto ventisei anni, senza averli vissuti davvero.

Una sera riuscì a toccare il fondo. Accusò mia madre di essersi concessa al diavolo e di aver procreato me a sua immagine e somiglianza. Queste teorie, a quanto pare, le aveva condivise con gli abitanti della costa settentrionale del Massachusetts, dove ci eravamo stabiliti da poco. Erano state mia madre e mia sorella a voler raggiungere quel posto, dicendo che sicuramente nelle città vicine avrebbero trovato una soluzione al mio problema.

Era una mattina tranquilla, il sole splendeva altro all'orizzonte e ricordo che faceva molto caldo. Mia madre stava preparando degli infusi usando delle erbe che aveva raccolto il giorno prima. Non potevo credere che la quiete di quella mattinata era solo l'inizio dell'incubo peggiore della mia vita...»

Ricordi imbrattati di RossoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora