{Bye, New York.} Parte due.

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Magari non avrei avuto il coraggio.
Magari non sarei riuscita a lasciare New York, lasciare la mia vita, tutti i miei affetti e le persone a me più care.

Magari no...
Ma quando sei ad un punto della tua vita, un punto in cui non trovi una via d'uscita, l'unica soluzione è proprio quella; andar via.

Andar via, scappare da tutti, scappare dalle proprie paure e insicurezze. Sentivo di aver perso tutti, sentivo un vuoto dentro incolmabile. Avevo perso il mio migliore amico, per l'esattezza entrambi i miei migliori amici. Restando a New York, pensavo a quante volte avrei incontrato Harry o Louis e a quante volte loro avrebbero cambiato strada, pur di non incontrarmi, pur di non salutarmi, pur di non parlarmi. Pensavo a mio padre, odiavo che lui fosse ritornato nella mia vita e, restando a New York, in qualche modo, avrei permesso di devastare la mia vita o peggio ancora, quella di Jen...Pensavo a mia madre. Lei aveva bisogno di una nuova vita con Frank. Aveva bisogno di ritrovare la sua felicità, una felicità che includeva una nuova famiglia e dei figli. Io sarei stata solo un intralcio che la legava al passato.

Zayn.
Zayn era l'artefice del mio malessere.
Inconsciamente aveva permesso a Perrie di entrare nella mia vita, di distruggerla con delle semplici parole, minacce più che parole. Lui non aveva mai avuto il coraggio di dimostrare che amasse me, se questo fosse stato giusto. Zayn aveva, anni addietro e nel presente, distrutto tutto. La mia vita, i miei affetti e, più di tutto, il mio amore nei suoi confronti...

Volevo andar via.
Volevo sparire solo per non dargli più modo di sapere dove fossi, con chi fossi e cosa stessi facendo della mia vita.

New York sarebbe stata colpevole se fossi rimasta. Avrei permesso a Zayn e a tutti, di restare perennemente nella mia vita. Credevo, nella mia testa, di essere giunta ad un punto di non ritorno.

Dovevo andare via, dovevo scappare, come una codarda, come una vigliacca, ma dovevo farlo. Non potevo più permettermi di restare nella mia amata città.

"Siamo arrivati." Si udirono solo queste parole da parte mia, aggiunte non appena io e Zayn, giungemmo fuori casa mia. Avevo camminato per tutto il tempo, distante da lui, qualche passo avanti e sempre con le braccia incrociate, persa nella mia maledetta voglia di scappare via.

Mi voltai verso di lui, solo in quel momento, anche per poter prendere le chiavi di casa dallo zainetto sulle mie spalle. Lui era lì, dietro di me, in attesa di entrare in casa. Aveva sempre gli occhi un po' socchiusi, faticava a non barcollare, a restare lucido se così si può dire.

Più lo guardavo, più un senso di angoscia si impossessava di me. Sapevo perfettamente che la causa del suo ridursi in quello stato ero stata io. La colpa non era mia però, la colpa era solo ed esclusivamente sua. Sua, poiché per quanto io potessi essere lucida, a sua grande differenza, quel malessere moltiplicato per due, lo stavo provando io. Un malessere così grande che lui si sarebbe potuto mangiare le mani se solo glielo avessi raccontato.

Sospirai rumorosamente una volta prese le chiavi dallo zainetto. Le inserii nella serratura del portone di casa, entrando di conseguenza. Tralasciando i dettagli, entrammo poco dopo, anche dentro casa, chiudendo la porta a chiave e facendo entrare lui, prima di me.

In casa mia, per i minuti successivi, regnò il silenzio più totale. Buttai sul tavolo in sala da pranzo, il mio zainetto, mentre Zayn, poco lucido, non sapeva cosa fare e se ne restò fermo, accanto alla porta d'ingresso.

"Hai bisogno di qualcosa...?" Gli chiesi lievemente, come stupida domanda fatta per interrompere quel silenzio calato tra noi. Lui sembrò non voler far cessare quel silenzio, non rispose, scosse la testa, accennandomi un "No." "Perfetto." Pensai, calandomi verso le scarpe in modo da poterle togliere. Zayn, nervosamente sbuffò, prendendo dalla tasca, il pacchetto di sigarette. In un primo momento non gli aggiunsi nulla, convinta che stesse per accendersi una sigaretta. Ma poi, al primo tiro di quella che pensavo fosse una sigaretta, alzai lo sguardo e quasi lo minacciai con esso. "Sei serio? Stai fumando quella roba in casa mia?" Gli chiesi con disprezzo, avendo sentito puzza di Marijuana fuoriuscire da quella che credevo fosse una sigaretta. Non lo era, era uno spinello conservato nel suo pacchetto di Marlboro rosse. Lui non rispose. Mi guardò arrogante, facendo qualche passo verso di me e sbuffando via il fumo.

Con la mano cercai di mandar via la puzza sotto al mio naso, guardando lui in malo modo. Era già così mal ridotto, che bisogna c'era di continuare?

Lo stavo disprezzando.
Odiavo quando una persona, la mia persona in particolare, per dimenticare o fuggire dai propri problemi, si lasciava affogare in stupefacenti o alcool.

Volevo che smettesse. Per questo, credo, istintivamente mi avvicinai a lui, alla sua mano distante dalle labbra, dove teneva quello spinello e cercai con uno schiaffo veloce di farglielo cadere dalla mano. Lui capì prima del mio gesto, le mie intenzioni e, di conseguenza, allontanò la mano, alzandola verso l'alto, in modo da farmi colpire l'aria, praticamente.

"Piccola e ingenua, Venere..." Sogghignò beffardo. Non era lui a parlare, erano tutte le sostanze ingerite. "Non sono piccola, non sono ingenua!" Risposi subito, ringhiando alle sue parole. "Oh sì, che lo sei!" Esclamò lui, sempre sogghignando, portandosi lo spinello, nuovamente verso le labbra. Fece un tiro, sbuffando il fumo ancora una volta verso il mio viso. "Vuoi provare? Lo hai già fatto in passato, puoi farlo di nuovo." Mi chiese e poi aggiunse altro, facendo nascere in me un'espressione di disprezzo nei suoi confronti.

Lo guardai, dritto negli occhi, con un ghigno sul volto, per poi sorridere nervosamente. Non era lui che parlava, lo sapevo, ma non tolleravo più un'altra stupida parola. Camminai via da lui, recandomi in cucina per un sorso di acqua. Sembrava più una scusa quel mio gesto, una scusa per potermi allontanare da lui. Una volta giunta in cucina, aprii il frigo, afferrando una bottiglia di acqua già aperta. Feci per chiudere di nuovo il frigo, quando sentii, dalle mie spalle, di nuovo quella puzza di Marijuana giusto sotto al mio naso.

Capii che lui era lì, dietro di me, tanto che, chiudendo il frigo e con la bottiglia di acqua in una mano, mi voltai lentamente. Avevo ragione, lui era lì, Zayn aveva camminato dietro di me, raggiungendomi in cucina.

Voltandomi, mi ritrovai faccia a faccia con lui, precisamente a pochi centimetri di distanza da lui.

"Spostati, devo bere!" Arrabbiata, esclamai, evitando di guardarlo negli occhi. Lui, in modo ovvio, non si spostò. Fece un tiro di quello spinello, si avvicinò di più a me, sbuffandomi il fumo in pieno viso una volta ancora e, ancora una volta fece salire in me la voglia di sbraitargli contro. Tossii per colpa di quella puzza, facendo però finta che non mi diede fastidio. Indietreggiai da lui, andando a poggiare le spalle contro il frigo. Aprii la bottiglia di acqua e feci un sorso bello lungo.

"Quella bocca..." Sussurrò. Per colpa di quelle parole, quasi mi strozzai con l'acqua, tanto che spostai la bottiglia e tossii per colpa dell'acqua andata di traverso.

"Co-cosa?" Ecco che ritornai a non essere più sana e non riuscii ad aggiungere una parola senza balbettare nervosamente. "Quella bocca..." Zayn mi ripetè, sussurrando e sbuffandomi in faccia altro fumo. "Quella bocca, sai dove dovrebbe stare?" Mi chiese con lo stesso tono, avvicinandosi sempre di più a me. Si avvicinò, ad un tratto, così stretto a me da non darmi più modo di muovermi con le spalle al frigo.

Sentivo il cuore impazzire.

"Te lo devo dire io dove dovrebbe stare? Hai detto che non sei piccola, quindi fossi in te, ci andrei subito." Continuò a sussurrare, facendomi sentire il suo respiro sulle labbra. Avevo perso il nesso logico delle sue parole, mi ero fermata alla frase: "Quella bocca".

"Non è lui che sta parlando. Non è lui. È ubriaco, è fumato. Non è lucido. Non è lui che sta parlando." Queste parole si ripeterono a raffica nella mia testa. Più le ripetevo, più mi mangiucchiavo l'interno guancia mentre evitavo lo sguardo di Zayn. Lui beffardo, sorrideva. Sapeva di avermi messa in imbarazzo e si stava divertendo. "Non è lucido." Ripetei un'ultima volta. Ultima volta prima di abbassarmi lentamente.

Con le spalle contro il frigo, mi abbassai, mi calai sulle ginocchia, fermando l'altezza della mia bocca, all'altezza dell' intimità di Zayn.

Cosa stessi per fare, non lo sapevo.
Cosa stessi pensando, non lo sapevo.

Una sola cosa era chiara:
Dovevo andare via da New York, dovevo lasciare tutto alle spalle. Io, per la poca dignità che mi era rimasta, aggiungerei, meritavo di fare ciò che più avevo voglia di fare, passare tutta la notte con Zayn.

"Brava piccola. Abbassa il pantalone ed inizia a baciarlo, al tuo papino è sempre piaciuto così."

//Ci sarà una terza parte.
Love u, grazie per le 50k letture.

Call me Daddy 2.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora