Le spesse tende verdi chiuse attorno al baldacchino di Scorpius non mi permettono di stabilire che ore siano, se i suoi compagni di stanza siano tornati in camera e se sappiano o meno che ci sono io, nuda come mamma mi ha fatto, avvolta in un groviglio di braccia e coperte nel letto del loro Prefetto.
«Mi hai appena chiesto di diventare mio?» domando incredula, perché quella di Scorpius non è una frase a cui ero psicologicamente preparata. «È un po' come se ti stessi autoinvitando a casa mia!»
Lui solleva le sopracciglia. «Ma che dici? Non ho bisogno dell'invito per entrare in casa tua» esclama, continuando a guardarmi con quel sorrisetto irriverente e un braccio mollemente poggiato dietro la testa. «Allora, è una proposta abbastanza allettante per te?»
Mi stringo a lui, ascoltando in silenzio il suo respiro regolare. I suoi capelli arruffati mi solleticano la fronte e, considerando lo stato attuale delle cose, non mi sento colpevole quando gli scosto dal viso alcuni ciuffi biondi.
Le sue mani, strette attorno alla mia vita, mi tirano più vicina, contro il suo petto. Nasconde il viso nell'incavo del mio collo e subito dopo lo sento sorridere sulla mia pelle.
Quella sensazione rievoca immediatamente i ricordi della notte precedente, ed è destabilizzante che io mi senta così appagata e felice mentre ripenso alle scie di baci bollenti lasciate dalle sue labbra e ai suoi muscoli della schiena tesi contro i mei palmi. Al modo in cui mi guardava e i suoi occhi mi bruciavano la pelle per poi riempirmi di carezze.
Al fatto che sia stato dolce, lento, ma anche intenso e totalizzante e che abbia reso speciale la mia prima vera volta.
La sua voce bassa e roca richiama la mia attenzione. «Sorridi sempre come un'ebete di prima mattina?»
«Non dovresti prima corteggiarmi o qualcosa del genere?» chiedo, con le guance che iniziano a scaldarsi.
«Scusa, ma cosa credi che io abbia fatto per tutto questo tempo?» esclama Scorpius in una risata, togliendo dai mei capelli la piuma con cui li avevo legati. Si ferma ad osservare i mei ricci mentre mi ricadono sulle spalle, le sue dita mi sfiorano la tempia quando mi sistema una ciocca dietro un'orecchio. «Comunque, voglio che tu sappia una cosa» aggiunge.
Lo guardo, in attesa, beandomi del suo tocco leggero.
«Il mio cuore ti appartiene già, Rose, devi solo decidere se accettarlo o meno»
***
«Stammi a sentire, cazzone»
Stavo tranquillamente camminando verso la Sala Grande, con le mani nelle tasche e lo zaino pieno di compiti non fatti poggiato su una spalla, intenzionato a lanciarlo addosso ai mei amici che non mi hanno svegliato e non hanno neanche reimpostato la sveglia.
Quando improvvisamente vengo placcato da una ragazza mai vista prima che, a quanto pare, non considera una potenziale minaccia il mio essere alto venti centimetri più di lei o il fatto che una mia mano sia più grande della sua faccia. Perciò, ora gongola soddisfatta della sua entrata in scena teatrale, senza temere che il malvagio Andras Theo Nott possa sorpassarla e stenderla con una spallata.
«E tu chi cazzo sei?» chiedo con calma.
Ha i capelli castano chiaro, lo stesso colore del mio comodino, porta degli occhiali neri con la montatura a goccia e ha talmente tante lentiggini sulle guance che quasi sembra che un bambino le abbia scarabocchiato il viso.
La spilla da Caposcuola che luccica vistosa accanto allo stemma della casata di Corvonero, inoltre, mi suggerisce che sia una dell'ultimo anno.

STAI LEGGENDO
Un disastro di supercattivo
FanfictionStoria vincitrice Wattys2021 Io, Rose Weasley, per poco non perdevo quella piccola e precaria briciola di sanità mentale ereditata dal ramo Granger della famiglia. Le mie giornate non sono mai una uguale all'altra: mio fratello daltonico ormai sono...