Capitolo 12

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Non riuscivo a decidermi di rientrare in casa, era così bello guardare la città e le stelle. Ero riuscita ad individuare qualche costellazione che mio padre mi aveva insegnato quando ero più piccola, portavano quasi tutte il nome dei Vecchi Dei. Avevo mandato le mie ombre a cercare Azriel diversi minuti prima, ma sapevo benissimo che se non voleva farsi trovare, non avrebbe permesso alle mie ombre di avvicinarsi.

Ma anche senza di loro sapevo benissimo dove si trovava.

Mi ci volle un po' per raggiungere quel punto del tetto senza le ali, e soprattutto senza rischiare di morire spiaccicata nel giardino. Come previsto - grazie al Calderone, o tutti quegli sforzi sarebbero stati invano - il Cantaombre mi dava le spalle e osservava il cielo, diversamente dal solito, nessun rivolo di ombre scure gli scorrazzava intorno alle spalle. Mi sedetti affianco a lui senza dire una parola. Quando eravamo giovani, io ero appena una ragazzina e lui solo un ragazzo, ci piaceva stare seduti così, in silenzio.

«Porti ancora la daga.» Disse rompendo il silenzio della notte, non si girò a guardarmi.

«Non l'ho mai lasciata, l'avevo addosso quel giorno e da quel momento non l'ho mai tolta.» Risposi, avrei voluto prendergli la mano e fargli sentire la daga assicurata alla mia coscia, ma sapevo di non dovergli toccare le mani sfregiate senza avvisarlo. Per anni avevo faticato a capirne il motivo, ma da quando due enormi cicatrici mi adornavano la schiena, per così dire, avevo iniziato a capire. Odiavo quando qualcuno mi appoggiava la mano sulla schiena, ovviamente non potevano immaginare cosa fosse nascosto sotto gli abiti, odiavo anche il modo in cui le persone le fissavano ogni volta che i miei vestiti o le canotte che usavo per allenarmi, non le coprivano del tutto.

«Anche se te l'ho regalata quando mi hai detto che tu e Tamlin vi sareste sposati?»

«Soprattutto quando penso al perché tu me l'abbia regalata.» Non rispose e rimanemmo in silenzio un altro po': gli unici rumori erano il vento che fischiava tra le montagne e i nostri respiri.

Mi porse la sua giacca quando notò i brividi sulle mie braccia.

«Torna dentro, stai gelando qua.» Sussurrò, assicurando meglio la giacca sulle mie spalle.

«Voglio stare qua con te.» Mi fermai, incerta su cosa dire dopo. «Credevo davvero ciò che ho detto prima, che mi sei mancato...»

«Anche io lo pensavo davvero.» La sua voce era appena udibile con tutto il vento che si era alzato.

«Az...»

«Perché non mi hai scritto, non mi hai mandato nemmeno un'ombra...»

«Credevo che Rhys ve lo avesse detto...»

«Ma non ti sei mai presa la briga di dirmelo personalmente.» Non riuscì a dirgli che avevo provato a scrivergli più volte nel corso degli anni, ma semplicemente non sapevo cosa dirgli. Avevo scritto decine e decine di lettere che non avevo mai inviato. Mi alzai, cercando di non mostrare la difficoltà che stavo avevo a dirigermi verso la grondaia dalla quale ero salita, ma il vento non stava aiutando la mia impresa.

«Hai più istinti suicidi di quanto pensassi...»

«Non vedo altro modo di scendere semplicemente.»

«Permettimi di portarti giù, Rhys non mi perdonerebbe mai di averti fatto cadere da un tetto per la tua testardaggine.» Alla fine accettai, più per salvaguardare la mia vita che per altro: il buio e il vento non erano buoni alleati.

Appoggiò una mano aperta sulla mia schiena, esattamente tra le cicatrici e fece scorrere l'altro braccio sotto le mie ginocchia, stando attento a non spostare il vestito. Misi le braccia attorno al suo collo, lo lasciai sbattere le ali un paio di volte, prima di stringermi di più a lui. Percepii un sussulto, ma non mi lasciò andare.

A court of shadows and revengeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora