Capitolo 13

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La neve circondava tutto, come un soffice tappeto non più bianco, ma rosso. Rosso a causa del sangue che sgorgava dalle sue ferite, da quelle dei suoi compagni. Cinque guaritori era accorsi verso il campo in cui si stavano allenando: quattro per gli amici sdraiati a terra e uno per lei. Nonostante il freddo pungente indossava una canotta, le braccia scoperte erano ricoperte di tagli dai quali colava sangue. Non voleva che la curassero, voleva provare qualcosa. Mandò via il ragazzo che era venuto verso di lei. La spada che reggeva nella mano destra strisciava sulla neve, lasciando una scia rossa. Aveva il fiato corto per l'allenamento, per il freddo e per i colpi alle costole. Lasciò cadere la spada a terra e si diresse verso il suo piccolo appartamento, il calore del camino la distolse dai suoi pensieri.

«Lilith... di nuovo?» Le chiese la sua amica Kendra nell'istante in cui la vide sporca e ferita. Non la guardò nemmeno mentre andava in camera sua. Si svestì osservando il suo corpo martoriato: era dimagrita, gli altri pensavano fosse troppo magra ma lei stava bene, non aveva quasi mai fame, ma continuava ad avere le energie per combattere. Le costole e la pancia erano pieni di lividi, alcuni più violacei e altri già gialli, segno che erano lì da un po'. Vicino al fianco destro c'era una cicatrice bianca, l'avevano pugnalata durante l'addestramento. Anche sulla coscia destra c'era un lungo segno ancora rossastro. Le braccia erano coperte da tagli ormai rimarginati che sarebbero scomparsi con il tempo, alcuni erano ancora in rilievo sotto i tatuaggi neri. Ormai le ricoprivano interamente entrambe le braccia e le spalle. Anche sulla schiena, all'altezza dei reni c'erano lividi, distolse lo sguardo quando arrivò all'altezza delle cicatrici delle sue ali. Ombre scure uscirono da lei, oscurando completamente la stanza e creando una bolla intorno a Lilith, lì dentro nessuno avrebbe potuto sentirla. Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, si graffiò la schiena con le unghie lunghe, lasciando altrettanti graffi sopra la pelle ruvida, lì dove una volta c'erano state le sue bellissime ali. Urlò il nome di Tamlin, come se potesse tornare da lei e dirle che era stato solo un incubo, che si sarebbero ancora sposati, che non le avrebbe mai fatto del male.

Mi svegliai di soprassalto, cercando di mettere a fuoco quello che mi circondava: mi trovavo ancora immersa nella vasca, l'acqua del bagno ormai fredda, che però non mi aveva impedito di sudare freddo. Non era un semplice sogno, erano ricordi di quando avevo toccato il fondo, passai le mani sulle braccia, non più scheletriche, in certi punti potevo ancora sentire la pelle ruvida e in rilievo, per i tagli che non mi ero fatta curare. Alcune delle linee dei tatuaggi erano storte e scolorite. Mi tirai dell'acqua fredda in faccia, cercando di riprendermi. Potevo sentire gli occhi gonfi e rossi: avevo dormito poco e niente negli ultimi giorni. Uscii dalla vasca avvolgendo il mio corpo in un asciugamano. Avevo dormito talmente tanto che ormai era quasi ora di cena, non sapevo se volessi scendere e rischiare di incontrare Lucien, oppure cenare in camera mia. Un bussare insistente mi fece sbuffare, mi diressi verso la porta che aprì solo di pochi centimetri, quel che bastava a far uscire la mia faccia. Era Cassian. Alzai gli occhi al cielo, non volevo parlare di quello che era successo.

«Sono venuto a controllare, non sei più uscita da qua da quando ti ho riportata a casa...»

«Sto bene, mi sono addormentata. Ora mi vesto e scendo.» Annuì e spinse di più la porta per entrare, ma la bloccai con il piede.

«Cass... sono nuda. Ci vediamo di sotto.» Tagliai corto, soffocò un paio di scuse e si richiuse la porta alle spalle. Mi cambiai velocemente in un paio di pantaloni e una camicia nera larga, legai i capelli ancora bagnati in una treccia e mi diedi una sistemata con la magia, cercando di coprire le occhiaie violacee che mi contornavano gli occhi. Sistemai dentro l'elastico dei pantaloni un coltello e scesi al piano inferiore.

Avrei tanto voluto che non si voltassero tutti quando arrivai nella sala da pranzo: l'occhio metallico di Lucien mi osservava, probabilmente per constatare che fossi davvero io, che non ci fosse un qualche tipo di incantesimo. Persino Az ci aveva degnati della sua presenza, mi aveva appena rivolto un'occhiata fugace, spostando poi lo sguardo su Cassian che era seduto a capotavola. Le sorelle Archeron non c'erano, probabilmente per l'inconveniente di quella mattina.

A court of shadows and revengeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora