Capitolo 36

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Un grugnito uscì dalle mie labbra quando qualcosa di caldo e umido mi sfiorò la schiena. Ancora nel dormiveglia, frammenti della notte precedente mi vennero in mente. Pregai che non fosse stato solo un bellissimo sogno, oppure un incubo, a seconda dei punti di vista. Ma quando riuscii ad aprire gli occhi, infastidita da tutta la luce che entrava nella stanza, mi resi conto che la cosa umida che mi aveva svegliato erano i baci di Az. Ne lasciò uno prima su una cicatrice e poi sull'altra, prima di salire fino al collo e lasciarne uno sotto il mio orecchio appuntito.
«Buongiorno...» sospirai, voltandomi verso di lui e cacciando un'imprecazione: non avevo pensato alla spalla ferita mentre ci appoggiavo sopra tutto il peso. In un battito di ciglia, mi fece raddrizzare, spostandomi con la schiena contro il materasso e osservando il taglio.
«Posso andare a prendere qualcosa per il dolore?» Chiese. Lo guardai per un attimo: aveva ancora i capelli scompigliati e gli occhi gonfi per il sonno, ma era la cosa più bella che avessi mai visto.
«Magari dopo colazione...» sussurrai, passando una mano fra i suoi capelli folti. Spostai una ciocca ribelle verso l'alto liberandogli la fronte.
«Più che colazione direi pranzo.» Rispose, accennando con il mento alla vetrate e facendomi notare come il sole fosse già più che alto nel cielo. Mi sollevai, lasciando scivolare le coperte dal busto. Az imitò il mio movimento, cingendomi la vita con le braccia e facendo aderire la mia schiena al suo petto.
«Dimmi solo che ieri sera credevi davvero a quello che hai detto...» sussurrò sul mio collo, facendomi venire i brividi.
«Perché avrei dovuto mentire?»
«Perché avevi bevuto due tonici contro il dolore, potevi essere strafatta.»
«Ogni singola parola» risposi, voltandomi verso di lui in modo che le nostre labbra quasi si sfiorassero. «Ogni singola affermazione era più che vera. Sono stata una stupida a lasciarti andare via così.» Mi baciò, lentamente, come se avessimo tutto il tempo del mondo. Si potevano contare sulle dita di una mano i baci di quel tipo che ci eravamo scambiati e questo era di gran lunga il più bello. Intrecciai le braccia dietro il suo collo, portandolo per quanto possibile ancora più vicino a me, continuando a baciarlo senza foga.
«Voglio mostrarti una cosa oggi.» Affermai allontanandomi di colpo da lui.
«Rhys voleva che andassimo a casa sua stasera.»
«Rhys può anche farsi fottere, ieri abbiamo rischiato di morire, vorrei la giornata libera, se possibile.»
«D'accordo, però mandi le tue ombre ad avvisarlo.» Sorrisi, facendo quello che mi era appena stato detto e non dandomi la pena di ascoltare la risposta scocciata di mio fratello.

Azriel ci aveva trasmutati entrambi davanti all'ingresso del mio appartamento: io ero ancora troppo stanca per materializzarmi per distanze troppo lunghe, perciò lasciai fosse lui a fare tutto il lavoro.
Il vestito rosa pallido che avevo indossato strisciava sulle scale di pietra che portavano alla porta d'ingresso. Mi maledissi ad ogni gradino per aver lasciato andare via Azriel quella sera: avevo organizzato la serata perfetta e mi ero fatta sfuggire l'occasione da sotto il naso. Feci comparire la chiave nel palmo della mia mano e cercai di azzeccare il verso al primo colpo, ovviamente con scarsi risultati.
Quando finalmente riuscii ad aprire la porta, il cuore mi batteva all'impazzata. Attesi che Az entrasse e appendesse la giacca prima di chiuderla alle mie spalle.

«Vuoi qualcosa da bere?» Chiesi dirigendomi verso la cucina. Forse il mio inconscio stava cercando di prendere tempo.
«Un bicchiere d'acqua.» Probabilmente aveva accettato solo per cortesia, visto che aveva bevuto due tazze di tè prima di partire. Lo riempii e glielo porsi, appoggiandolo sul tavolo e cercando di nascondere il tremore alle mani. Quando ebbe finito di bere mi lanciò un'occhiata incuriosita.
Presi un respiro profondo e feci strada verso il corridoio, non dandomi pena di mostrargli le altre camere. Ma fu lui ad interrompere il silenzio. «Credevo fosse più grosso.» D'altronde avevo vissuto per tutta la vita in enormi palazzi, ma l'idea di avere una governante e dei servitori non mi allettava. Perciò avevo optato per qualcosa di più piccolo e normale, al contrario dell'enorme casa sul fiume di mio fratello.
«Non mi servono così tante stanze.» Spiegai brevemente, fermandomi davanti all'unica porta chiusa dell'intera casa: era bianca, ma sul legno chiaro c'erano intagliati dei fiori. La aprii.

A court of shadows and revengeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora