Capitolo 7

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Avevo dovuto fare appello a tutta la freddezza che avevo in corpo per non inginocchiarmi a terra e piangere in mezzo al porto di Velaris. Mi sentivo sopraffatta, facevo quasi fatica a respirare e mi sembrava di vivere un sogno, o forse un incubo: negli ultimi anni mi era capitato spesso di sognare la città, mio fratello e miei amici, per poi svegliarmi sudata nel mio letto a Cretea.

Negli ultimi tempi avevo rinunciato a stilare qualsiasi piano, erano diventati uno più suicida dell'altro, anche se mi sarei volutamente fatta esplodere in faccia ad Amarantha pur di salvare Rhysand dalle sue grinfie. Drakon vi aveva tenuta d'occhia come un falco, per paura che potessi scappare da un momento all'altro. Potevo ancora udire le sue parole: "Sei come una figlia per noi.".

Lexa, una delle mie migliori guerriere, aveva dovuto spostarmi di peso per farmi arrivare alla taverna dove avremmo alloggiato quella notte. Le mie gambe sembravano rifiutarsi di muoversi autonomamente, come avrei fatto a presentarmi a quell'incontro? Per la Madre, stavo iniziando a sentire il fiato farsi più corto e l'ansia prendere il sopravvento sul mio corpo. Fortunatamente, eravamo arrivati alla piccola locanda e Ty aveva già sistemato il conto. Ci eravamo fatti dare delle camere doppie, anche se in quel momento avrei voluto solo stare da sola a piangere sul fondo della vasca da bagno. Lexa era un soldato fenomenale, ma la sua empatia non era proprio il massimo.

Mi ero tolta la tuta nera, per poi riporla ordinatamente su una sedia, in modo che non fosse stropicciata per il giorno dopo.

Cosa avrei detto? Cosa avrei fatto? Era stato tutto così veloce che non avevo nemmeno trovato il tempo per capacitarmi che stavo per rivedere la mia famiglia, sempre che lo fossi ancora per loro. Mi rintanai nel bagno, sperando che Lexa capisse e andasse a farsi un giro, riempii la vasca da bagno fino all'orlo e mi ci immersi, lasciando che l'acqua calda cullasse le mie membra stanche. Pensai a Cassian, al dolore che gli avevo fatto provare, per quanto idiota e stupido potesse sembrare tutte le volte che apriva bocca, in realtà era un uomo tremendamente sensibile: non lo dava spesso a vedere, di certo non con chiunque. L'avevo visto spesso piangere mentre si allenava, non sempre riuscivo a capire il perché. Spesso era solo rabbia repressa, che si era tenuto dentro tutti quegli anni. Nonostante fosse uno dei migliori guerrieri Illyrian mai esistiti, pensava ancora di non essere abbastanza bravo, di meritarsi l'odio dei suoi compagni, nonostante avesse Rhysand, Azriel e Mor a volte faticava ancora a sentirsi parte di una famiglia.

Azriel poi, per anni ero stata terrorizzata da lui, ricordo che quando ero piccola mi mettevo a piangere ogni volta che lo vedevo, per poi nascondermi sotto qualche tavolo, fingendo di giocare. Sembrava così grosso e così tenebroso. Tenebroso lo era ancora, ma crescendo, avevo capito che dietro quella faccia fredda e inquieta si nascondeva un ragazzo ferito e arrabbiato.

Lui era più distaccato nei miei confronti, lo era sempre stato. Immaginavo fosse così perché non aveva mai avuto la possibilità di avere un'infanzia felice e vedere me lo faceva stare male, ma anche crescendo la sua diffidenza nei miei confronti non era cambiata. Anche durante le lezioni di volo mi guardava a mala pena, teneva sempre lo sguardo basso, come se le sue scarpe fossero più interessanti di me. Non mi aveva mai toccato, nemmeno per sistemare la mia postura, lo faceva fare alle sue ombre.

L'acqua del bagno si era ormai fatta fredda e il sole era calato al di la della finestra. Uscii dalla vasca e avvolsi il mio corpo in un asciugamano. Lexa doveva essere uscita perché non sentivo più alcune rumore nella stanza. Indossai un semplice abito blu notte a maniche lunghe e raccolsi i capelli in uno chignon ordinato. Mandai un'ombra a comunicare ai miei compagni che stavo uscendo, dicendo loro che sotto li aspettava un pasto caldo.

Non avevo fame, a mala pensa riuscivo a respirare normalmente al pensiero di quello che mi avrebbe aspettato l'indomani.

I miei occhi caddero sulle montagne, appollaiata sulla cresta di una di esse, c'era la Casa del Vento. Impossibile da raggiungere senza le ali, o senza fare le scale. Ringraziai la temperatura mite della città che ci avrebbe permesso di fare tutti quegli scalini senza stramazzare al suolo a metà della salita.

A court of shadows and revengeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora