Capitolo 18

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«Non posso venire...» rispose Tamlin alla richiesta che gli avevo fatto.

«Devi. Ci servi per vincere questa guerra.»

«La mia Corte è già nelle mani di Hybern, qualunque cosa io faccia.»

«Fai il doppiogioco, hai già perso tutta la tua gente... Ho visto i villaggi venendo qua, se ne sono andati tutti. Se te ne vai anche tu, se consegni la Corte al Re, è fatta. Non abbiamo alcuna speranza di vincere, Beron si alleerà con chi ritiene più forte, e nel nostro caso sappiamo benissimo chi è. Se cedete entrambi, è la fine. Farà piazza pulita degli altri eserciti in pochi giorni.»

«Non posso presentarmi lì dopo quello che ho fatto alle sorelle di Feyre...»

«Ha già avuto la sua vendetta, nel momento in cui ha pensato fosse una buona idea distruggerti. E se posso darti il mio parere di Generale, è stata una pessima idea.»

«Generale?» sorrisi appena, mettendomi in piedi. Allungai la mano verso Tamlin, ebbe un attimo di esitazione, quando la afferrò notai il tremore, gli strinsi le dita fra le mie, passando il pollice sopra le nocche, nel punto in cui c'erano i suoi artigli. Sentivo la sua pelle essere più dura e ruvida in quei punti.

«Dovevo trovarmi qualcosa da fare. Si dia il caso che sia anche molto brava nel mio lavoro, quindi fidati se ti dico che devi venire.»

Va tutto bene? Chiese una delle mie ombre, la voce calda e vellutata.

Sto bene. Risposi semplicemente nella mia mente, sapendo che l'ombra l'avrebbe portata a destinazione.

«Andiamo a prendere un tè, ti va?» gli chiesi, cercando di calmarlo. Aveva sempre avuto problemi a controllare la rabbia, ma speravo che le armi che usavo un secolo prima per calmarlo funzionassero ancora. Solitamente iniziavo con una tazza di tè, poi lo costringevo a parlare dei suoi problemi, tanto da farli diventare piccoli e insignificanti. Poi, a quel punto, solitamente, ci andavo a letto. Ma non sarebbe stato quello il caso.

Mi portò verso le cucine, non verso le ampie sale in cui eravamo soliti passare i pomeriggi, dovemmo scavalcare qualche sedia e qualche mobile, ogni tanto spostavo lo sguardo verso la sua testa, non riuscivo a provare tutto l'odio che provavano Rhys e Feyre. Nonostante quello che aveva fatto, nel profondo del mio cuore, avevo sempre pensato non fosse in lui quel giorno. E ora che ne avevo la conferma, odiarlo mi sembrava ancora più difficile. Provavo tanta compassione per lui, anche un po' di pietà.

Mi fece sedere al tavolo della cucina, ancora sporco del sangue di qualche animale che doveva aver ucciso lui stesso per mangiare. Ci mise qualche minuto per trovare il bollitore, ma alla fine, dopo aver aperto almeno quattro sportelli, l'aveva trovato.

Mi meravigliai di quello che stavo per fare: iniziai, pezzo dopo pezzo, a togliere tutte le armi che portavo. Prima arco, faretra e spada, poi i coltelli negli stivali e infine quelli che portavo ai fianchi, lasciai solo la daga a pendere dal mio fianco. Tolsi la giacca di pelle, aggiustandomi la camicia bianca che portavo al di sotto. La stesi a fianco alle armi sul tavolo.

La tazza che Tamlin mi aveva messo sotto il naso fumava e profumava intensamente di cannella e mela, il mio preferito.

«Te lo sei ricordato?» sussurrai, facendo tintinnare il cucchiaio sui bordi della tazza.

«Anche quando credevo di odiarti, di averti uccisa per il mio bene, non ho mai scordato l'amore che avevo provato per te.»

«È stato questo l'errore del Daemati che ti ha manipolato, ha lasciato intatti i ricordi. La tua mente si è ancorata talmente tanto ad essi da annullare qualsiasi tipo di cosa ti avesse obbligato a pensare quell'uomo.» gli spiegai, prendendo un sorso di tè e rischiando di ustionarmi la lingua. Alzò lievemente i lati della bocca, in quello che sembrava essere l'accenno di un sorriso.

A court of shadows and revengeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora