Capitolo 12🔴

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SIDNEY

Ascolto il rumore del bollitore mentre un altro sbadiglio mi assale.

Non ho dormito. Per niente.

Non perché il letto fosse scomodo, anzi sono del parere che Ab e Alan abbiano scelto i materassi giusti, ma ero e sono preoccupata.

Verso l'acqua bollente nella tazza, ed aspetto che la mia camomilla sia pronta. Le piccole dormono ed Abigail ed Alan non sono ancora scesi a fare colazione.

Inizio a girare il cucchiaino, mentre la scena a cui ho assistito ieri si ripercorre nella mia mente.



*

Cammino avanti e indietro come una pazza. Tra poco sul pavimento si aprirà un buco e mi inghiottirà.

So che devo mantenere la calma, ma sono passate esattamente cinque ore da quando è via e sono preoccupata.

Ho messo a letto Hope dopo averle raccontato la storia della buonanotte. La piccola era abbastanza agitata perché voleva il suo papà.

A malincuore, ho messo a letto anche Tiffany. Non faceva altro che sbadigliare e ripetere una filastrocca strana.

Ho fatto tutto quello che potevo fare per occupare il tempo, ma non è servito.

Controllo il cellulare per la milionesima volta, ma niente. Nessun messaggio.

Provo a richiamare. Tanti squilli. Nessuna risposta.

Ad un tratto, un rumore proveniente dalla porta d'ingresso mi fa sussultare. Mi avvicino e guardo dallo spioncino, tirando un sospiro di sollievo quando vedo la persona che sta cercando di entrare.

Apro la porta di scatto e per poco Travis non mi cade addosso.

<Ti sembra questa l'ora di rincasare?> La mia voce è stizzita e lo diventa ancora di più quando percepisco l'odore di alcool che aleggia al suo passaggio.

Sbatto la porta per richiuderla e cerco di darmi un contegno.

<Che ci fai ancora qui ragazzina?> Si avvicina, ma io indietreggio.

L'odore di alcol è davvero troppo forte.

<Ho messo a letto TUA figlia perché tu eri troppo occupato a fare non so cosa con non so chi. E non mi andava di lasciare Hope qui da sola con Tiffany.> Sventolo una mano davanti al naso.

Sono tentata ad aprire la finestra, ma è notte e per le strade della città c'è ancora un serial killer. In più, l'agente speciale FBI qui davanti a me non sarebbe di nessun aiuto.

Si avvicina pericolosamente e proprio come è già successo, mi attacca alla porta.

Questa volta però nei suoi gesti non c'è niente di dolce o sensuale, solo tanta rabbia e frustrazione.

<Cazzo ragazzina. Sei identica. Ogni volta che ti guardo, ho come la sensazione di guardare lui.> Inizia a dire cose senza senso.

Si allontana. Poi si riavvicina.

<Devi andartene immediatamente. Non è serata.> Si trascina sul divano e si stende in malo modo.

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