//Traditore!//

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«Allora, questo signor Castoro diceva che Aslan si trovava alla Tavola di Pietra» tentai un’altra volta mentre arrancavo nella neve alta, ormai rassegnata all’idea di dover dire addio ai miei alluci. «Non ricordi nient’altro, Ed?»

Il ragazzo scosse il capo debolmente, le braccia strette sul petto.

Camminavamo lenti nella foresta ricoperta di neve. La luna ci illuminava di una spettrale luce bluastra. Non avevamo la minima idea di dove eravamo diretti, il cuore in gola per la paura di veder sbucare la Strega Bianca da un momento all’altro. Non ero del tutto sicura che avrei retto a un simile incontro…

Stavo giusto tentando di scrutare il cielo alla ricerca di qualche costellazione che mi apparisse familiare (cosa abbastanza stupida da fare, dato che mi trovavo in un altro mondo) quando un improvviso verso soffocato mi fece voltare di scatto. Edmund era crollato sulle ginocchia, restando seduto a terra, in preda alla febbre che sembrava non dargli requie. Senza stare a riflettere mezzo secondo a che cosa avrebbe mai potuto pensare il mio compagno di viaggio nei miei confronti, mi precipitai al suo fianco, sollevandogli il capo e mettendogli un braccio attorno alle mie spalle, aiutandolo a rialzarsi. Per fortuna era piccolo e mingherlino, altrimenti non so come avrei fatto a smuoverlo da lì.

«Forza, Ed» cercai di fargli forza. «Ti prego.»

«Non ce la faccio» borbottò lui, ciondolando simile a un pupazzo aggrappato alla mia spalla. «Fermiamoci qui, per favore… per favore.»

«Sì, okay. Ecco, vieni.»

Lo feci sedere sulle radici di un albero, passandogli una mano sulla fronte. Scottava. Dovevo fare qualcosa, portarlo via di lì a ogni costo, in un posto caldo e asciutto, trovare delle medicine, o sarebbe morto in poco tempo, al freddo e lontano dalla sua famiglia. Ma cosa? Più che scaldarlo quel poco con il mio corpo, non potevo fare nulla. E, per di più, non era neanche coperto a sufficienza, con quel maglioncino leggero e i pantaloni alla zuava che gli lasciavano scoperte le ginocchia.

«Non hai pensato di portarti dietro una pelliccia, eh?» gli chiesi, cercando di mantenerlo cosciente finché potevo.

«Ce l’avevo, sì, ma poi l’ho lasciata a casa dei Castori» rispose lui.

«Ma si può essere più stupidi?» sbottai io, ormai al culmine dell’esasperazione.

«Ero convinto che una volta a casa della Strega avrei avuto armadi interi tutti per me!» si difese Edmund, profondamente risentito.

«Si può sapere che ti ha fatto mangiare quella là?» domandai scuotendo il capo. «Non mi sembri tipo da fare queste cose.»

Edmund alzò gli occhi verso di me, quei suoi bellissimi occhi neri a cui non avrei mai fatto l’abitudine. Sembrava quasi che fosse sul punto di ridere… No, mi stavo sbagliando, sarà stato sicuramente qualche strano effetto della luce lunare che gli deformava il viso.

«Io non ne sarei così sicuro, se fossi in te» fu tutto quello che riuscii udire dalla sua voce, così fioca che fu appena un sussurro nel silenzio della foresta innevata.

«Perché no?» domandai io sorridendogli. «Insomma, pessimo carattere a parte ovviamente, mi sembri un ragazzo sveglio, ecco.»

«Non mi conosci abbastanza» insistette il ragazzo.

«Ma da quel poco posso dedurre molte cose. Se solo fossi un po’ meno scortese e ti fidassi di più di me, oserei dire che mi sei addirittura simpatico.»

«Simpatico? Che parolone!»

Sì, in quel momento aveva addirittura riso, non c’erano dubbi!

«Davvero, Ed» proseguii io imperterrita.  «E, comunque, non mi passerebbe neanche per l’anticamera del cervello l’idea di lasciarti qui a morire, anche se fossi la persona peggiore di questo mondo.»

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