Ho pensato, certe volte, che in fondo al mio inconscio potesse esistere una qualche idea che mi avrebbe salvato la vita. Stavo per compiere i vent'anni, e quella percezione astratta continuava a galleggiare tra i miei pensieri. Mi resi conto solo quell'estate – pensando e ripensando a tutto ciò che avevo vissuto nell'ultimo anno – che probabilmente dovevo darmi una mossa. Dovevo farlo, mi sentivo in dovere verso me stessa. L'idea della morte, del suicidio che mi avrebbe resa onnipotente sulla mia stessa esistenza, era ormai cosa passata; mi capitò di pensarci, mentre valutavo quella mia idea che non sapevo come accettare, ma non era la risposta giusta.
E così capii l'inevitabile: volevo un figlio. Ardevo, mordendomi la lingua, pensando a come sarebbe stato poter appartenere a una persona per davvero, crescerla con gli ideali giusti, vederla sorridere, essere qualcosa di più per qualcuno. Mi sentivo felice solo pensandoci; nel mio silenzio fantasticavo sul suo viso, sull'idea di partorire un maschio o una femmina. Anni prima avevo detto che non lo avrei mai fatto; non credevo all'amore, al matrimonio, e pensavo che un figlio mi avrebbe solamente portato dolore fisico e paure. Poi, sono cresciuta. Non so esattamente quando, ma quel sentore era nato in me, e non potevo combatterlo. Mi scavava dentro, e immaginando di essere benedetta da quel dono – da una gravidanza, comunque e in qualsiasi momento – mi faceva brillare gli occhi. Un pensiero opposto, invece, era il terrore peggiore che mai avessi provato in tutta la mia vita. Pensavo di poter essere sterile, o di perdere il bambino una volta concepito. Non accettavo quei pensieri, ma continuavano ad assillarmi.
Quell'estate, silenziosa e nervosa, cominciai a sperarci. Non avevo compagno, non ero nemmeno vicina a un certo tipo di relazione, ma il pensiero di quel bambino – di quella cosa mia, fatta da me, impagabile – mi tormentava nei miei dolci pomeriggi piemontesi. Così attesi, sperando; e finalmente arrivò il giorno del mio ventesimo compleanno. Nicole 2 stava zitta, nell'ombra della mia mente. Cominciai a credere di essere felice, contavo i giorni della mia vita sperando di viverli dieci volte di più. Avevo trovato il modo per sconfiggere il mio male: ecco cosa pensavo. Decisi allora di attendere un tempo migliore per guarire, ma di notte – ogni notte di quella mia estate – piansi in silenzio, nel buio, sperando in una vita colma di gioia e amore. Già conoscevo il nome che le avrei dato; perché sì, io volevo – sapevo – che sarebbe stata femmina.
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Diario affilato
RandomI miei pensieri, le mie paure; qui dimorano i lati della mia profondità e tutto quello che nessuno vede quando mi fissa dritto negli occhi. Il velo opaco si sposta, io mi presento: sono duplice, sono folle, malata, appassionata, distrutta. E meglio...