Pov Levi:
Urlai il suo nome, in preda alla paura più profonda della mia vita. Non mi ero accorta di nulla: non un rumore, non un movimento, niente; in quel momento per me c'era solo lei e tutto il resto era diventato secondario. Erano apparsi all'improvviso e non avevo neanche avuto modo di avvertirla. La avevano semplicemente colpita, come una mosca. La cosa più importante della mia vita era solo un anonimo insetto, per quelle bestie maledette.
Rimasi impietrito a fissare il suo corpo incosciente, che giaceva ai piedi dell'albero in una posa innaturale. Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a ragionare. Tutto quello che potevo fare era fissarla con gli occhi sbarrati. Per favore, non lei. Tutto, prendi tutto, ma non lei. pregai mentalmente non so quale divinità.
Il gigante neanche mi aveva degnato di uno sguardo: la aveva colpita e ora stava andando a prenderla, per divorarla. Con quella consapevolezza, il mio cervello si scollegò e il mio corpo si mosse meccanicamente. Mi gettai sul gigante, iniziando a roteargli intorno e a colpirlo da ogni angolatura possibile. Non serviva neanche che usassi il dispositivo di manovra: volteggiavo intorno a quei quindici metri di carne spinto solamente dalla rabbia. Non ero più un uomo, ma una macchina di morte svuotata da ogni emozione. Tagliai le dita a quel mostro, poi le braccia.
Giravo intorno al gigante, aprendo squarci profondi su ogni parte che colpivo. Arrivai ai tendini delle caviglie e li tranciai senza il minimo sforzo. La bestia cadde in ginocchio e, non potendo fermare la caduta con le braccia, finì a faccia avanti nel terreno, a un passo da Mia. Nonostante fosse ormai inoffensivo, non riuscii a smettere di colpirlo. Gli tagliai la schiena, le orecchie e la nuca. Era morto, ma non potevo esimermi dallo smembrare ogni brandello di carne ancora intatto: non ero io a gestire il mio corpo, ma una viscerale furia omicida.
Il sangue di quel mostro aveva imbrattato ogni cosa, perfino su di Mia erano arrivati degli schizzi. Non feci neanche in tempo a pulirmi gli occhi che altri due giganti piombarono su di me, probabilmente attirati dal rumore che aveva provocato la caduta del primo. Senza il minimo sforzo, ripetei quella carneficina anche sui nuovi arrivati. Pezzi di muscoli e arti si ammassavano, uno sopra all'altro; una piramide di morte che si erigeva sotto la violenza dei miei colpi.
La rabbia aveva attutito ogni rumore e mascherato ogni fatica. Mi alzai da quella montagna di carne, completamente ricoperto di sangue. Mi fischiavano le orecchie e il mondo era completamente ovattato. Come ogni volta che combattevo, ogni mia energia veniva concentrata nel fare a pezzi i giganti; tutto il resto diventava secondario: era come se il mio corpo venisse svuotato della mia umanità.
Quella volta, però, terminata la strage non riacquisii consapevolezza di me. Ad attendermi fuori da quella spirale di violenza c'era il corpo di Mia. Avevo sperimentato la paura molte volte, la sofferenza era ormai pane quotidiano. In quel caso, però, quello che provai fu terrore puro e dolore viscerale. Ti prego, ti prego, prendi me, ma risparmiala pregai nuovamente; se mi avessero portato via lei, avrei perso ogni cosa. I miei incubi più bui si trovavano li, davanti a me, in un corpo incosciente ai piedi dell'albero.
"Capitano!"
La voce di Mikasa mi riportò alla realtà.
"Capitano, siamo circondati: l'intero casolare lo è. Sono uscita questa mattina e poi quelle bestie mi hanno circondata, impedendomi di rit..."si bloccò, quando si accorse di Mia.
"Mia!" gridò Mikasa, fiondandosi su di lei.
Strinse la ragazza a se e avvicinò l'orecchio al suo corpo, per cercare una traccia di battito. In quel momento pensai di morire.
"E' ancora viva! Dobbiamo portarla via di qui!"
Quelle parole mi sciolsero le gambe e la mente, facendomi tornare completamente lucido. Non la avrei persa, non finchè non mi avrebbero ucciso quei mostri.
"Mikasa, dietro di te!" feci in tempo ad avvertirla, prima che un gigante spuntasse dietro all'albero. La ragazza riuscì a schivare il colpo e con una rapidità impressionante tranciò la nuca alla bestia.
Apparvero altri giganti, da ogni lato possibile e fummo costretti a allontanarci dal corpo di Mia, per difenderci. Erano troppi e noi non avevamo spazio di manovra: per attaccare quei mostri, avremmo dovuto abbandonare il corpo di Mia ai piedi dell'albero, ma questo non lo avrei mai fatto.
Urlai a Mikasa di scappare e di andare ad avvertire gli altri. Io sarei rimasto con lei, fino alla fine. Lei non obbedì, continuando a mietere vittime con la sua lama. Saremmo morti tutti e tre, ma non avremmo ceduto la nostra vita con facilità. Eravamo circondati e in minoranza, ma almeno sarei morto con lei.
Mi preparai a fronteggiare un gigante che mi correva incontro. Feci volteggiare la spada sopra alla mia testa pronto a colpire. Il gigante, però, cadde rovinosamente al suolo prima che il mio ferro lo avesse potuto toccare. Dalla polvere emerse un ragazzo biondo, totalmente ricoperto di sangue.
"Serve aiuto, ragazzi?" ci urlò, pulendosi la bocca dal sangue del gigante appena ucciso.
Non ero mai stato più felice in vita mia di vedere Jean. Dietro a lui apparvero tutti gli altri cadetti. Con il loro aiuto, riuscimmo ad aprirci un varco per riuscire a scappare. Non intendevamo fuggire, ma semplicemente mettere in salvo Mia, per poter preparare una distruttrice offensiva a quei mostri. Ce la potevamo fare: era la mia cazzo di squadra, non un gruppo di bavosi mocciosi. Arrivammo al casolare e affidammo il suo corpo inerme a Historia. Armin rimase con lei e Ymir venne con noi. Senza la necessità di dover proteggere Mia, saremmo riusciti a ucciderli tutti, collaborando.
Prima di rientrare nella foresta, guardai la ragazza, che giaceva incosciente sul prato del casolare.
Non mi importava che fossi davanti a tutti, non mi importava che dovessimo andare: mi avvicinai a lei e le presi una mano.
"Ti prego, non morire. Io torno presto. Ti amo."
Pov Mia:
Sentii una voce che mi chiamava. Il fischio costante nelle mie orecchie non mi permetteva di percepire alcun rumore: era come se il mondo fosse completamente ovattato. Dove mi trovavo? Cosa era successo?
"Mia?" sentii nuovamente quella voce, che si faceva mano a mano più nitida.
Il ricordo degli ultimi eventi mi piombò addosso come una doccia fredda e mi alzai di scatto. Una mano mi impedì di compiere quel movimento.
"Bentornata tra i vivi, Mia" mi salutò Armin con un sorriso, smettendo di sventolarmi un fazzoletto profumato da sotto al naso. Al suo fianco spuntarono due occhi azzurri.
"Mia! Per il Wall Maria, stai bene!" esclamò Historia, gettandomi le braccia al collo. Quel gesto mi fece sussultare di dolore, ma fui grata di poterlo provare: voleva dire che ero ancora viva. Mi guardai intorno e capii di essere di nuovo nel casolare. Il sangue mi si gelò nelle vene: dov'era Levi?
Armin comprese il mio spavento e si affrettò a spiegare.
"Il Capitano sta bene, ti ha portata qui per poter combattere senza intralci."
Annuii.
"Mikasa?"
"L'abbiamo ritrovata, sta bene. Da quanto ho capito, vi ha salvato la vita. In realtà, l'ha salvata a tutti noi: se non fosse fuggita via, nessuno di noi sarebbe andato nella foresta e tra qualche ora ci saremmo ritrovati in questo casolare circondati da giganti, senza alcuna via di fuga."
"L'intera squadra è andata a sterminare quelle bestie. Torneranno presto, non preoccuparti." aggiunse Historia, notando che ero ancora molto preoccupata.
"Levi.. Levi ha detto qualcosa? Era arrabbiato con me?" chiesi, incapace di immaginare in che stato d'animo potesse trovarsi in questo momento. I due biondi si scambiarono una rapida occhiata, sorridendo.
"Ti ha invitata a non morire e beh.." la ragazza mi sorrise "il resto te lo dirà lui stesso."
STAI LEGGENDO
Obbligo o Verità, Capitano Levi?
Fanfic🔞 Scene esplicite. Se non conoscete Attacco dei giganti, potete leggere ugualmente: le dinamiche si capiscono comunque. Durante una missione esplorativa nel distretto di Shiganshina, la squadra Levi è costretta a rimanere per cinque notti in un cas...