<<Ti volevamo fare una sorpresa. Ci siamo resi conto di essere molto superficiali sulle tue volontà lecite. Sappiamo che volevi il computer argentato, ma noi te lo abbiamo preso nero, pensando una cosa stupida. Io e tuo padre vogliamo rimediare>> spunta da dietro mio padre con un secchiello di vernice bianca, un pennello e degli adesivi da parete.
Mi giro verso Jenn con gli occhi lucidi pieni di speranza e gratitudine. Lì capii che erano d'accordo, e che tutto questo era grazie a lei. Non poteva essere opera dei miei.
Vedo mia madre avvicinarsi verso il tavolo, posa il laptop e mi abbraccia. Mi serviva, e serviva anche a lei.
<<Ti voglio bene, mamma>>
Sento che dice qualcosa di sussurrato a Jenn: <<Grazie>>.
Mio padre si libera degli oggetti pesanti che teneva, e si unisce a noi. Jenn si avvicina scherzando: <<Io no?>>
Sorridiamo tutti.
I miei salgono per spostare tutte le mie cose in un'altra stanza, per dipingere la mia di camera.
<<È tutta opera tua, eh Jenn?>>
<<È dei tuoi, ti voglio bene>> sapevamo entrambe che lei li aveva convinti.
<<Perché?>>
<<Perché ti voglio bene>> insiste.
<<Jenn!>>
<<Ok. Parlo. Ho letto una cosa al tuo computer che hai lasciato aperto. Ti dice qualcosa la poesia "SENTO CHE"?>> domanda retorica.
<<Beh, sì, per forza, l'ho scritto io>> non mi dà fastidio il fatto che legge le mie cose, non mi vergogno di lei.
<<Ti ricordi cosa c'era scritto? O devo rinfrescarti la memoria?>>
Mi ricordo perfettamente cosa c'è scritto, l'ho imparato a memoria per paura di perdere il testo: <<Mi sento morire dentro, e, forse, lo sento solo io…>>
<<…Sento che il mio cuore urla e piange allo stesso tempo dentro di me…>> continua lei.
<<Sento che la mia anima sta per uscire da quello strato di pelle che separa il dolore interno con il dolore della realtà. Sento i miei occhi stanchi dalla fatica di guardare ciò che è vero dalla fantasia. Sento che le mie spalle stanno crollando dalla pesantezza che sento dei problemi che mi affliggono>> diciamo all'unisono.
<<Sento il cervello esplodere, come se volesse scappare dalla scatola cranica, come se volesse provare una nuova vita nella triste verità. Sento la mia mano passare da un dolore all’altro senza provare rancore. Sento che questa mano usi la sua magia curativa, ma non su di me, anche se essa mi appartiene.
Sento che le mie braccia vogliono staccarsi dall’unico legame che hanno con me, la spalla. Purtroppo, questi arti, non possono, perché sono incollate al rimorso più grande della loro triste vita. Sento che questo naso, che odio, voglia rimediare alla sua curva pronunciata, facendomi del male. Sento che la leggerezza di anni fa mi ha abbandonato per strada, in un cammino che, spero, non finirà precoce.
Sento che le mie mani creative non hanno più forza né di tenere stretta una penna, né di calpestare i piccoli tasti della tastiera. Sento che le ferite e le bruciature permanenti del mio corpo resteranno lì per sempre, ma hanno aperto tanti capitoli del mio libro chiamato esistenza.
Purtroppo, ne hanno chiusi di importanti>> finisco io.
<<Cosa voleva significare?>>
<<Mi sentivo molto male, nell'ultimo periodo. Poi sei arrivata tu, ed ho smesso di scriverla>>
<<E perché era aperto il file nel computer?>>
<<Perché lo volevo eliminare, eliminare dalla mia memoria e dalla vita. Ho voltato pagina, grazie a te, Jenn>>.
Mi abbraccia e mi rassicura: <<Cambiare idea e voltare pagina, in meglio, è segno di intelligenza e di maturità. Ricordatelo>>
<<Certo, mamma>> sottolineo ironicamente "mamma".
<<Scema>> mia allontana dalle sue braccia, ridiamo insieme.
<<Oggi abbiamo qualche consulenza?>>
<<Oggi solo una ragazza, Valerie Campbell, sedici anni>>
<<Ah, ma la conosco, è una mia amica>>
<<Ma conosci tutti in questa scuola?>>
<<Veramente no>>
<<Intanto>> porta la testa in avanti per sottolineare un’ovvietà inesistente.
<<A che ora?>>
<<Subito dopo pranzo, alle tre>>
Nel frattempo, scendono i miei genitori, salutano Jenn, e lei torna a casa da Britt, ormai tornata da ore. Aiuto mio padre a sistemare la tavola da pranzo. Ci sediamo tutti in tavola: <<Come è andata a scuola, oggi?>>
<<Bene. Jenn mi ha comprato un libro di seconda mano di francese, lo sapevate?>>
<<Sì, ce l’ha detto, ma non ha voluto i soldi>>
<<Lo so, ha rifiutato anche i miei>> concludo con un boccone di pasta.
<<Figlia mia, scusaci se non abbiamo prestato attenzione alle tue necessità>>
<<Non fa niente. So che vi ha detto tutto Jenn>>
<<Sì ed abbiamo capito quanto ci tiene a te>>
<<Lo so, anche io le voglio bene>>
<<Strano, perché è adulta, non leghi tanto con questo genere di persone>>
<<Vi ha detto anche questo?>>
<<Ce ne siamo accorti>>
<<Lei è un’adulta fuori, dentro è una ragazza matura ed amichevole, con dei sogni ancora in sviluppo>>
<<Come vi siete incontrate?>>
<<Il primo giorno di scuola cercavo l’orario delle lezioni, lei stava sostituendo Britt, la ragazza alla segreteria. Sono grandi amiche, Jenn sta da lei in questo periodo difficile. Sta divorziando dal marito, e lo ha denunciato per violenza domestica. – fanno una faccia sconvolta – Quando le ho chiesto tutto quello che mi serviva, mi ha dato dei fogli…>> mi tornano in mente i fogli con i suoi capelli rossi chiaro, cosa erano? Non l’ho più saputo.
Mi alzo da tavola, guardo l’ora: due e mezza. <<Devo andare, ho una consulenza>>
Mia madre si alza e mi accompagna a scuola, la saluto, mia avvicino al suo studio, era già lì: <<Jenn, abbiamo lasciato una cosa in sospeso>>.
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CHIAMAMI PURE MAMMA
Teen FictionSono una ragazza molto introversa con alcune persone, ma con altre sono diversa, quasi non mi riconosco. Sono arrivata in questa nuova città, così fredda e cupa, ma solo una persona riesce a far splendere il sole: Jennifer Collins, la mia consulente...