Capitolo 19
Arrivati nelle retrovie, l’accoglienza non fu delle migliori. Il tenente colonnello al comando del battaglione ordinò che fossimo arrestati per il reato di codardia di fronte al nemico. Fummo caricati su un camion e portati ad un forte in veneto, scortati da un gruppo di carabinieri a cavallo. Arrivammo al forte in serata. Ci chiusero in cella, in attesa dell’esecuzione dell’indomani. erano ormai più di 36 ore che non dormivo, ero esausto, ma i pensieri sovraffollati mi impedivano di prendere sonno. Ripensavo all’immagine di Andrea che veniva sbalzato via da quel colpo di mortaio, ed in quel momento lo invidiavo. Pensavo a com’era andata, un attimo prima era li ed un attimo dopo, probabilmente senza nemmeno rendersi conto, non c’era più. Io invece altro che rendermi conto, ero li, sapevo cosa stava succedendo. Ero certo che ormai mi mancavano poche ore da vivere, vedevo già il plotone di esecuzione dritto davanti a me, anzi non lo vedevo, lo sentivo, sapevo che mi avrebbero bendato, così che gli esecutori non vedendomi in faccia non avrebbero esitato a sparare. Guardai un’altra volta la cartolina che mi ero trovato in tasca quella mattina a Saga, cominciai a piangere.
“Puntare, Fuoco” mi svegliai di soprassalto, nonostante i mille pensieri la stanchezza era tanta che dovevo essere crollato. Una fievole luce entrava dalle sbarre della finestra, doveva essere già la prima mattinata. Sentii aprire la porta della cella, mi si accaponò la pelle, era il momento. “No, per favore, non sono pronto, non può essere arrivato il momento, Pietà” Dissi rannicchiandomi nell’angolo della cella. “Sei libero” Disse uno dei due carabinieri che nel frattempo erano entrati mentre l’altro mi toglieva le catene. Non capivo, ero sicuro che ci avrebbero fucilati. “andiamo” dise il carabiniere quando fui libero dai vincoli delle catene. Uscito dalla cella Trovai Giuseppe che mi abbracciò dicendo “Angelo, non ci ammazzano! Non ci ammazzano”, lacrime di gioia sgorgavano dagli occhi di entrambi. I carabinieri ci fecero segno di seguirli e così facemmo. Mentre camminavamo per il corridoio si aprì la porta di fronte a noi ed uscì il tenente scortato da altri due carabinieri, subito Giuseppe partì “Signor tenente, non ci fucilano!” il tenente sorrise, ma subito notai che c’era qualcosa che non andava, lui era ancora in manette “Cosa significa?”, domandai “Prendetevi cura di voi ragazzi” Disse Giandolfo mentre lo scortavano fuori da una porta che dava su un cortile esterno “No, non può essere, non potete” Gridai mentre lo portavano fuori, i carabinieri mi spinsero verso la porta opposta al corridoio, riuscii a divincolarmi, corsi verso la porticina di ferro dove avevano protato il tenente, feci appena in tempo ad aprire. “fuoco”. Una ventina di colpi partirono all’unisono, e vidi il corpo del tenente Giandolfo accasciarsi a terra, finii in ginocchio, un carabiniere mi mise una mano sulla spalla e disse “non ti ha visto nessuno, andiamo o farai la stessa fine”. Mentre uscivamo dalla struttura i carabinieri ci spiegarono che Giandolfo si era assunto la responsabilità della ritirata, dicendo che era stato un suo ordine, sapeva che sarebbe stato fucilato, eppure, pur di salvare gli ultimi 14 uomini sopravvissuti a Saga, aveva deciso di dare la sua vita.
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Il Salso Mormorò
Historical FictionÉ il 1915. Angelo Lo Giudice, un ragazzo di 24 anni originario di Riesi, un paesino sulle sponde del fiume Salso, in provincia di Caltanissetta, si ritrova a dover partire come militare per il primo conflitto mondiale. Si ritroverà a dover combatter...