Chiamata dall'alto

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Capitolo 1

Era il 23 maggio del 1915, apparentemente un giorno come altri. Uscii di casa di buon ora quella mattina. Lavoravo in bottega da quando avevo 16 anni, era un'attività di famiglia nata nel 1820. Ci occupavamo della produzione e vendita di vini, all'inizio nel paese, poi in tutta la Sicilia. Aprii il negozio, preparai le bottiglie in modo che fossero pronte da riempire e consegnare. All'improvviso entrò mio fratello chiamandomi. "Angelo! Angelo! Guarda qua" disse mostrandomi il giornale, la testata diceva "Il regno d'Italia si unisce alla guerra al fianco di Inghilterra e Francia, domani i primi fanti raggiungeranno il fronte sulle Alpi". Non seppi cosa dire, guardai Luigi negli occhi, era preoccupato. Neanche un minuto dopo entrò Mario, un carabiniere originario di Mazzarino, lo conoscevo bene, spesso veniva a comprare il vino da noi. "Hai letto il giornale?" mi chiese, io gli mostrai che lo avevo ancora in mano e lui mi disse "Ho letto le caratteristiche di coloro che dovranno partire. Sia tu che tuo cugino Antonio rientrate" Luigi si sedette, le sue preoccupazioni erano confermate. Lui era il fratello maggiore, si era sempre preso cura di me da quando nel 1902 nostro padre morì, ora il sapere che sarei partito lo distruggeva. Lui non rientrava, per via del fatto che aveva già dei figli e si sa, i padri di famiglia erano l'ultima spiaggia per una guerra. Io continuavo a non sapere cosa dire, l'idea di dover imbracciare un fucile e lasciare mia moglie Maria mi spaventava. "Non c'è un modo per evitare?" chiese Luigi, Mario fece di no con la testa e aggiunse "dovrebbe perdere un arto entro domani, se no verrebbe fucilato come disertore" li guardai e dissi "Lascia stare Lui' è mio dovere di Italiano partire" Luigi si alzò di scatto e disse "Ma come pensi che io possa lasciarti andare, dopo aver fatto di tutto per proteggerti per tutto questo tempo!", mentre lo diceva sembrò abbaiare e il suo viso sembrò esprimere un misto di rabbia e di paura. Si spalancò la porta ed entrò mio cugino Antonio, guardò Mario, non parlò, Mario annuì. Anche Antonio. Crollò sulla sedia "Non può essere! Non posso rientrarci! Sei sicuro?" disse, Mario annuì e disse "Partirete domani nel pomeriggio, i camion sono già a Catania". Chiesi a Luigi di restare in bottega perché avevo bisogno di tornare a casa, gli chiesi anche di non parlarne con mia madre, perche lo avrei voluto fare io. Arrivai a casa pensando alle parole da utilizzare per dire tutto a Maria, aprii la porta, entrai e la trovai seduta a tavola, con una lettera in mano, la busta col timbro del regio esercito giaceva sul pavimento. "Speravo di dirtelo io, ma evidentemente il portalettere mi ha anticipato" dissi. "Quando?" lei chiese, "domani pomeriggio". In quel momento tutto era più semplice di trovare le parole giuste. "Amore, non partire!" mi disse lei, io le accarezzai il viso, le diedi un bacio e dissi "Tornerò" "ma hai 24 anni! Come puoi partire per la guerra?", non seppi cosa risponderle, eravamo sposati da 2 anni, lei aveva 20 anni, per questo ancora non avevamo figli "Ascolta! L'unica scelta che ho per avere un minimo di possibilità di sopravvivere è partire, se no verrei fucilato". Lei era in lacrime, io cercavo di non seguirla pur di darle un minimo di sicurezza, ma era in ogni caso inutile. Nel pomeriggio andai da mia madre, Vittoria, era una donna di 64 anni, in salute, ma era pur sempre anziana. Non sapevo come dirglielo. Bussai, "Chi è?" chiese "Sono Angelo!" "Entra pure" concluse lei. Entrai e mi chiusi la porta dietro, lei mi guardò, "che bello vederti! Ma come mai non sei in bottega? A quest'ora in genere lavori, no?" ci fu un attimo di silenzio, poi dissi "Madre, devo partire". "Ora ho pure un Figlio Giramondo! Cosa deve fare una madre per vedere un po' suo figlio?" disse sorridendo "No mamma, l'Italia è entrata in guerra. Io sono stato chiamato alle armi" lei mi guardò, rimase basita. Le scese una lacrima, poi disse "Immaginavo. 'Sta mattina, è arrivato il signor Giuliana, mi ha mostrato il giornale e mi ha chiesto se tu fossi stato chiamato. Mi ha detto anche che per chi non parte c'è la fucilazione. Non accetterò mai ciò! Non puoi partire Figlio mio!" io mi sedetti a fianco a lei, "come ti senti?" mi chiese, Io feci spallucce e dissi "come dovrei sentirmi? Abbandonare i miei cari, per una patria che ha minacciato di fucilarmi? Ho paura" lei mi guardò, si alzò, prese un bicchiere d'acqua, me lo porse e si sedette di nuovo, si ricompose e disse "sicuro che non c'è nulla da fare?" io feci di no con la testa e lei continuò "Odio la guerra. Tutte le madri odiano la guerra. Perché ci porta via i figli, i mariti, i fratelli, ci porta via tutto. Solo una cosa ti chiedo, tieni sempre la testa alta e se mai dovessi avere dubbi sul perché lo stai facendo, guarda questa" si alzò, aprì un cassetto e mi porse la foto di un ritratto, era mio nonno, suo padre "Lui fu uno di quelli che abbandonò tutto per formare l'Italia che oggi conosciamo. Si innamorò di tua nonna durante la campagna di Garibaldi in Sicilia, non per caso io nacqui l'anno dell'unità d'Italia. E non per caso mi Chiamarono Vittoria" disse con le lacrime agli occhi "Non partire per una nazione che minaccia di fucilarti, parti per lui, e per tutti quelli che sono morti per darci l'Italia". Sapevo che lei stava cercando di fare lo stesso che avevo fatto con Maria, tuttavia, quelle sue parole, mi diedero effettivamente la forza di guardare in faccia la sorte. "Pregherò per te ogni giorno, ogni ora, finché non finirà la guerra o finché non sarò morta figlio mio" concluse "Ed io pregherò per te madre, e per l'anima di tutti coloro che moriranno in questa guerra". Passai la notte insonne, come tutti del resto. L'indomani mattina, andai alla bottega per l'ultima volta. Amavo quel posto, era li che mio padre mi aveva insegnato tutto ciò che sapevo, ogni giorno, quando finivo da scuola andavo ad aiutare mio padre in bottega, adoravo vedere le persone che entravano, compravano una bottiglia di vino, si intrattenevano a parlare e poi uscivano. Amavo quel posto, amavo il mio lavoro, e amavo la mia famiglia e ora, mi ritrovavo a dover lasciare tutto per andare a combattere sulle alpi per uno stato che mi minacciava, o forse per coloro che lo hanno costruito. Nel pomeriggio, come previsto arrivarono i camion, erano le 6 e avevo avuto il tempo di recuperare un po' del sonno perso durante la notte, presi i bagagli, salutai tutti e mi misi in fila per l'identificazione. Antonio era riuscito ad ottenere una proroga di una settimana, per motivazioni familiari, quindi sarei stato solo. Dopo un'ora partimmo e a mezza notte arrivammo a Catania, dove ci misero su un treno diretto al nord. Facemmo così tanti scali che impiegammo 4 giorni per arrivare a Vicenza. Qui ci avviarono alla caserma, dove in due giorni, ci insegnarono a maneggiare un fucile e ci spiegarono tutto ciò che dovevamo sapere sull'equipaggiamento. Il terzo giorno ci misero in marcia verso il fronte, tirammo i cannoni che nemmeno fossimo stati animali da soma. Mentre camminavamo mi chiedevo se sarei mai tornato a Riesi, o se lo avrebbero fatto almeno le mie spoglie. Dopo due giorni di cammino arrivammo al quartier generale del reggimento dove ci assegnarono alle divisioni e ci inviarono alle postazioni. fui assegnato alla divisione e inviato lo stesso giorno alle prime linee. Arrivammo alle trincee che pioveva, subito un ufficiale ci indicò dove posare i bagagli. Io mi infilai sotto una tettoia, fatta a posta per proteggere dalla pioggia, e mi diedi un'occhiata intorno. C'era un'aria tutt'altro che serena. Scese la sera, non avevo ancora parlato con nessuno, finalmente arrivarono le razioni, che in realtà si limitavano ad un pezzo di pane e dell'acqua. Cominciai a mangiare e ad un certo punto arrivò un ragazzo, avrà avuto pochi anni più di me. "posso?" chiese, io gli feci cenno di accomodarsi, lui si sedette nel buco di fianco a me e cominciò a consumare il suo pasto. "Di dove sei?" chiese "Riesi, un paesino della Sicilia. Tu?" risposi "Allora sei arrivato oggi. Io sono di Venezia, sono qui da ormai una settimana" disse il ragazzo. "Cosa facevi a Venezia? Non mi sembri uno che non è andato a scuola" gli chiesi giusto per tenere viva la conversazione "ero un avvocato. tu? Anche tu non sembri privo di educazione scolastica" rispose lui "Io e i miei fratelli portavamo avanti un'azienda familiare, produciamo vino e poi lo vendiamo in tutta la Sicilia" risposi. Finito di mangiare lui si alzò "ora vado, è il mio turno da sentinella. Non ti ho chiesto come ti chiami" disse "Angelo" risposi io "bene! Io sono Carlo. Un'ultima cosa. Fumi?" ci chiese "no" risposi io, "bene se mai dovessi cominciare non farlo di notte, i cecchini austriaci non dormono" concluse. A queste parole mi si gelò il sangue. Quella notte, in quel buco, che, tutto era, fuor che un posto dove dormire serenamente, forse per via del fatto che per quasi una settimana avevo dormito malissimo o per niente, dormii profondamente, nonostante fossimo tutti ammassati. L'indomani mattina venni svegliato dall'urlo di un soldato "Allarme, Allarme! Disertore!" mi alzai, presi il fucile e mi affacciai alla feritoia più vicina. "chi è?" "è Rossetti" gridavano. Ad un ceto punto vidi arrivare un tenente "Aprite il fuoco sul disertore! Aprite il fuoco sul disertore! Fatelo o sarete fucilati!" io armai il fucile e lo feci sporgere dalla feritoia, vidi quell'uomo che correva, indossava la mia stessa divisa, esitai, "soldato! Cosa aspetti? Spara! Vuoi fare la sua stessa fine?" a queste parole tirai il grilletto e riarmai, rifeci lo stesso fino a quando l'uomo non cadde a terra morto. Non so se cadde per i miei colpi, o per quelli di qualcun altro, ma ciò che avevo visto era abbastanza, ed era solo il secondo giorno. Vidi un soldato che sfilò il fucile dalla feritoia, guardò i bossoli per terra e si accasciò con la schiena contro la parete di roccia, voleva piangere e io con lui. Vedemmo arrivare Carlo, ero contento che non fosse lui l'uomo su cui avevamo sparato pochi secondi prima. "Tutto bene ragazzi?" chiese "Si grazie" risposi io, il soldato invece, lo guardò e disse "Era uno dei nostri! Perché gli abbiamo sparato?" Carlo lo guardò, gli mise una mano sulla spalla e disse "Era un disertore, purtroppo non è la prima e non sarà l'ultima volta che succede. Devi solo cercare di non essere tu il prossimo.". Il resto della mattinata passò tranquillamente e ne approfittai per scrivere una lettera a casa. A casa la situazione era quasi come l'avevo lasciata, Luigi stava facendo però il triplo del lavoro, per compensare la mia assenza e quella di Antonio, partito una settimana dopo di me. Maria non dormì per diverse notti, ogni giorno usciva di casa e quando tornava sperava di trovarmi, anche se sapeva che non sarebbe stato così. Si offrì di aiutare Luigi alla bottega, al fine di alleviare il lavoro di mio fratello e di avere qualcuno di fidato a fianco. Ogni giorno si faceva forza, e cercava di immaginare che fossi via per un viaggio di lavoro o qualsiasi cosa che non fosse la guerra. "bongiorno zi' Marì' cumu è lu zi' Angelu?" queste erano le parole dei compaesani che speravano di avere informazioni su di me.

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