capitolo 14
Era passata una settimana, e la situazione non sembrava voler migliorare. le trincee erano zeppe di fango, dovuto alle piogge autunnali, diversi militari erano ammalati per via delle condizioni di sporcizia e degrado all’interno delle trincee, situazione non nuova, anzi più volte vista durante il conflitto. Mentre ero seduto su per terra insieme ad altri soldati arrivò un maggiore, accompagnato da un tenente. “Ma Maggiore, abbiamo già perso tantissimi uomini nel tentativo, non possiamo mandarne altri conoscendo le conseguenze.” diceva il giovane ufficiale, al superiore “Tenente, cosa le è stato insegnato in cinque anni di accademia?! A fare il codardo?! vuole forse che la spedisca in corte marziale? vuole che la faccia fucilare?” rispose il Maggiore in tono perentorio. “Signor no Maggiore, intendo solo dire che rischiare di perdere altri uomini, con le malattie che ne hanno già disabilitato parecchi è un rischio troppo elevato, che potrebbe portare alla perdita della linea a lungo andare.” Rispose il Tenente intimidito ma allo stesso tempo sicuro di quel che affermava. “Ma insomma Tenente! vuole insegnare a me l’arte della guerra? Io fossi in lei non lo farei, su quel che dico non si transige mi procuri degli uomini e porti a termine questo compito o la spedirò diritto davanti la corte marziale” mentre dicevano queste parole si allontanavano e non sentimmo il resto del discorso, ma su una cosa eravamo sicuri, non ne sarebbe uscito nulla di buono. Il riscontro infatti non si fece aspettare più di tanto. La sera stessa arrivò il tenente, gli ordini erano chiari, tre uomini dovevano uscire e far saltare il filo spinato austriaco con delle cariche esplosive. Il tenente chiese se ci fossero due volontari disposti ad unirsi a lui. Nel frattempo gli altri si sarebbero preparati alla carica. “Gli uomini che si offriranno per l’operazione di rimozione del filo spinato, saranno poi esentati dalla carica” aggiunse il maggiore arrivando da dietro il tenente. Tutto comunque tacque, le probabilità di morire durante un’operazione del genere erano maggiori rispetto che durante una carica. Imbestialito il Maggiore cominciò a gridare e indicò due soldati, uno dei quali era Giuseppe.Appena sentii nominare Giuseppe mi venne una scarica di adrenalina così forte che quasi senza accorgermene balzai sull'attenti ed esclamai "Comandi maggiore, andrò io", tutti restarono di stucco, io per primo, ero quasi stupito di quello che avevo appena fatto, ma speravo che così facendo Giuseppe sarebbe stato lasciato stare. "Il coraggio si fa attendere, ma arriva! prendere tutto esempio! partirete tutti e quattro, più uomini, significa più possibilità" disse il maggiore prima di girarsi e andare via. Era andata, ormai non potevo più tornare indietro e la cosa peggiore era che il mio gesto non aveva salvato Giuseppe. "Venite ragazzi." disse il tenente. Ci portò sotto un riparo, dove erano appoggiate delle cariche da trincea. "Innanzitutto mi dispiace che siate qua, non dovrei dirlo ma è impossibile nasconderlo. Queste sono le cariche che useremo, i francesi le hanno utilizzate e si dice che funzionino." "come le corazze Farina?" esclamò il terzo ragazzo "mi scusi tenente", "in realtà non posso darle torto" rispose il tenente. Ci spiegò alla veloce come funzionavano, dopodiché di disse di attendere che ci chiamassero. Mentre tornavamo a posto Giuseppe mi toccò la spalla "Grazie per averci provato, ma non te lo avrei lasciato fare" disse. tornato a posto presi un foglio di carta e cominciai a scrivere. "Cara Maria. Sto per partire per un'azione dalla quale potrei non tornare. Probabilmente mentre leggerai questa lettera io sarò già morto. Sappi però che se sarà così, i miei ultimi pensieri saranno per te." scrissi una lettera anche per Luigi è proprio quando finii anche quella, arrivò il tenente, che senza dire nulla ci fece capire che era il momento. Consegnai le lettere ad un commilitone che avrebbe dovuto portarle al portalettere, raccolsi il fucile e mi alzai. Raggiungemmo il tenente ad una delle botole che permettevano l'uscita dalla parte bassa della trincea. Le tenebre della prima notte avvolgevano la terra di nessuno, l'unica guida che avevamo erano le fosse create dalle bombe da mortaio. Mentre io e Giuseppe portavamo il pesante ordigno, il tenente con l'altro ragazzo ci facevano strada. Silenziosamente, passando da una fossa all'altra avanzammo nell'oscurità. Arrivammo ad un punto, che una volta superato, era praticamente impossibile per gli Austriaci non vederci, tutti gli altri che erano arrivati fin li, erano morti subito dopo averlo superato. "bene signori, buona foratuna" disse il tenente. mentre diceva quelle parole sentimmo un fruscio venire da un centinaio di metri più in là. Qualcosa era rimasto incastrato nel filo spinato. Le mitragliatrici austriache cominciarono a sparargli contro, il tenente, approfittando del fatto che gli austriaci erano distratti, ci fece segno di correre verso le linee di filo. Io e Giuseppe posizionammo l'ordigno, fatto questo il tenente ci fece segno di tornare al riparo dietro la collinetta e coprire, mentre facevano questo, il ragazzo che era con noi prese un accendino a gas e diede fuoco alla miccia. Appena si accese la fiamma però, il gioco delle mitragliatrici si spostò su di lui, sparai contro una delle postazioni che lo bersagliavano, inutilmente però, mentre il mitragliere a cui avevo sparato si accasciava, l'altro aveva crivellato di colpi il povero ragazzo. Nel frattempo il tenente, era rimasto impigliato nel filo spinato e rischiava di saltare in aria con l'ordigno. Sfruttando il momento di confusione io e Giuseppe ci scagliammo su di lui e mentre io strappavo il pantalone della divisa dell'ufficiale, Giuseppe lo tirava lontano dall'ordigno. Saltammo di nuovo dietro la copertura proprio al momento dell'esplosione.
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Il Salso Mormorò
Narrativa StoricaÉ il 1915. Angelo Lo Giudice, un ragazzo di 24 anni originario di Riesi, un paesino sulle sponde del fiume Salso, in provincia di Caltanissetta, si ritrova a dover partire come militare per il primo conflitto mondiale. Si ritroverà a dover combatter...