Poesia e guerra

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Capitolo 11

La licenza passò velocemente, e ben presto fui di nuovo tra le linee del Carso. Ciò che restava della mia compagnia, fu incorporata ad una compagnia del 19°reggimento di fanteria della Brigata Brescia. Avendo condiviso la trincea con quei ragazzi non avemmo difficoltà ad ambientarci. Di diverso c’era però il morale di tutti. Già dopo l’attacco col fosgene del 29 giugno, il morale era crollato, la paura che ne venisse lanciato un secondo non svaniva mai, e le rudimentali maschere non ispiravano nessuna sicurezza. Arrivò presto l’autunno, e si facevano sempre più frequenti i tentativi di diserzione. Nell’area colpita dall’attacco del 29 Giugno, oltre alla paura c’era l’odio nei confronti degli Austro-Ungarici, spesso succedeva che i soldati austriaci che tentavano di disertare venissero giustiziati sul posto una volta raggiunte le trincee italiane nella zona dell’Isonzo. D’altra parte però su tutto il fronte italiano, i tentativi di diserzione erano aumentati in modo pazzesco, tanto che spesso sembravano più i morti causati dagli stessi italiani che quelli causati dagli Austriaci.Le giornate in trincea si alternavano tra turni di guardia, pasti sempre più scarsi e colpi di mitragliatrice. Una sera io ed Andrea, ci stavamo sistemando sotto una tettoia, per passare la notte, visto che durante un bombardamento il nostro dormitorio era stato gravemente danneggiato il freddo era pungente, così cercammo di rimediare alla meno peggio. Dopo aver acceso una stufetta, ci sistemammo le coperte addosso e cominciammo a consumare il nostro pasto. “C’è spazio qui?” chiese un ragazzo avvicinandosi. “Prego! accomodati” rispose Andrea. “Piacere, Angelo” mi presentai subito io ed altrettanto fece Andrea, “piacere mio ragazzi! io sono Giuseppe, di dove siete?” “io sono siciliano” risposi, “io piemontese, tu?” io sono nato ad Alessandria d’Egitto, ma sono un po’ cittadino di mondo, fino ad ora ho vissuto tra l’Egitto, l’Italia e la Francia.” rispose lui. “Studiavi prima della guerra?” chiese Andrea indicando un quadernetto che sporgeva dalla tasca dello zaino di Giuseppe. “si” rispose Giuseppe prendendo il quartetto “ma questo non è per lo studio. Mi diletto a scrivere nei tempi morti.”. “Romanzi?” chiesi io incuriosito “no, Poesie” rispose porgendomi il quadernetto aperto. curioso io presi la lanterna e con la fioca luce che emanava curiosai. Lessi la poesia che c’era nella pagina aperta.

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione 4
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore.

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

Rimasi qualche secondo a riflettere sulle parole che vi erano scritte, sapevo che oltre al significato palese della poesia c’era qualcosa di più che voleva dire. mentre riflettevo sulle possibili interpretazioni Giuseppe con Andrea parlavano di studi e università italiane e straniere. Ero nel mio mondo, pensavo a quante cose potessero intendere quelle parole e nel frattempo immaginavo la scena, immaginavo il soldato morto, con i denti digrignati, e il soldato ancora vivo che lo guarda, nel silenzio di una guardia notturna a seguito di una carica. mentre ancora riflettevo mi sentii chiamare per cognome, era il portalettere, con un pacchetto. Lo presi, il mittente era Luigi. Il biglietto riportava una scritta breve ma calorosa “con affetto da casa”. Scartai il pacchetto, conteneva una confezione di infuso di the, il mio preferito, che tra l’altro ero solito bere proprio in quel periodo dell’anno. Sorrisi, era sempre bello ricevere qualcosa da casa e non era nemmeno scontato, diverse volte infatti, i portalettere restavano vittime dei colpi d’artiglieria austriaca e quindi non riuscivano a consegnare la corrispondenza. Presi una gavetta, la misi a riscaldare e preparai subito un infuso, che poi distribuii anche a Giuseppe e Andrea. Mentre l’acqua si riscaldava scrissi una lettera da destinare a casa e contemporaneamente chiacchieravo con i ragazzi. Finito di bere il the, ci mettemmo a dormire, nonostante il freddo trovammo il modo di riuscire a riposare in modo decente, grazie ai mantelli e alla stufetta da campo, gentilmente prestataci da un tenente che vedendoci li a prendere freddo si mosse a compassione e fece distribuire tutte le stufette a legna a sua disposizione ai militari della compagnia che dovettero passare la notte fuori.

Il Salso MormoròDove le storie prendono vita. Scoprilo ora