Diciottesimo Capitolo

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Cercai di riprendermi nel minor tempo possibile e, una volta affondata nelle acque calde della vasca, sentii i miei nervi sciogliersi e lasciare posto ad uno stato d’intorpidimento dei sensi.

Ancora stordita e confusa mi cambiai indossando un maglione a collo alto azzurro e un paio di jeans neri; fatto ciò nascosi lo zaino nel cestino dei panni sporchi accanto al lavandino e uscii per dirigermi in soggiorno, pregando silenziosamente che William fosse rientrato.

Non appena feci capolino dalla rampa delle scale, però, constatai che le uniche persone nel soggiorno erano ancora Herny e Genevieve.

Il primo era comodamente affondato nella poltrona accanto al divano e al tavolino di cristallo, appoggiato con il gomito sul bracciolo, nella mano un bicchiere a coppa su cui del sangue roteava fino a fermarsi ai bordi.

Mi portai istantaneamente una mano a coprirmi la bocca e sentii nella mia gola gorgogliare un moto di protesta. Dunque mi concentrai su Genevieve di cui, da quella distanza, potevo vederne solo la schiena e i lunghi capelli neri.

-“Vorrei capire qual è il problema di tuo fratello nei miei confronti.” La voce di lui tradì un sorriso.

La spalla di lei abbozzò un movimento, come per respingere tale affermazione.

-“Non ha nessun problema è solo geloso, come qualsiasi altro fratello sulla faccia della terra.”

-“Gelosia. Che sentimento stupido.”

Henry saggiò il liquido portandosi lentamente la coppa alle labbra, socchiuse gli occhi –chiaramente estasiato- tirando indietro il capo.

-“Stupido, tu dici?”

-“Stupido, mia Genevieve”, schioccò la lingua lui,-“nessuna persona ci appartiene veramente –che sia una sorella come un’amante- perché si dovrebbe essere corrosi da un tale sentimento maligno se quella persona, alla fine dei conti, non è nemmeno veramente nostra? Pensaci, mon petit.”

Di contro, Genevieve gli scoccò una risposta evasiva.

-“Probabilmente hai ragione.”

Io, china su uno degli scalini, ero divisa in due: una parte di me voleva scendere in soggiorno e affrontare la loro compagnia, l’altra voleva ritirarsi in una camera e distruggerla.

Man mano che i minuti scorrevano il senso che mi era sfuggito nei mesi precedenti prendeva forma nella mia coscienza come la chiara avversione –se non addirittura odio- che la Delacour mostrava di avere nei miei confronti, quell’astio che le si leggeva nel fondo degli occhi; sentimento che mutava nell’infliggermi una pena, allora lì i suoi occhi quasi brillavano di gloria. E poi quel giorno al bar con mia nonna e la Williams. Entrambe erano così strane…mia nonna stava cercando di mettermi in guardia, la Williams glielo impediva, ed erano apparsi quei tre…

 Ma certo!, pensai sgomenta.

Quei tre vampiri che mi davano la caccia erano mandati per conto della Delacour. Volevano il pugnale, ecco cosa. E Jennifer non essendo riuscita a far parlare mia nonna, non trovandolo nei miei affetti personali (doveva aver per forza frugato nelle mie cose) aveva incaricato quei tre, magari convinta del fatto che lo costudissi come una seconda pelle. Io e mia nonna eravamo troppo preziose, ecco perché ci aveva torturato e non ucciso. Eppure c’erano ancora tante domande a cui non riuscivo a trovare una risposta…

-“Emily?”

La voce di Genevieve mi costrinse a ricadere nella realtà. I volti dei protagonisti delle mie angosce sfumarono e, davanti ai miei occhi, riapparve la ringhiera di legno, gli scalini, la parete spoglia che scendeva ed infine lei, ai piedi della rampa.

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