Sedicesimo Capitolo

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La stanza dell’infermeria aveva la tapparella abbassata, l’unica luce presente era quella che proveniva dall’esterno quando io, Nicole e William (che aveva bussato senza ricever risposta all’ufficio Delacour) emanammo non appena spalancato la porta. Come se avesse percepito la nostra presenza, Jamie mugugnò volgendo la testa prima a sinistra e poi a destra; dunque si svegliò accorgendosi di noi.

-“Dillo che ti sei buscata il raffreddore solo per poter dormire oltre l’orario de risveglio.” Questo è stato il buongiorno da parte di Nicole. Jamie fece una smorfia, issando sul materasso.

-“Buongiorno anche a te, Nic. Emily, William.”

-“Come va?”, le domandai sedendomi sulla sedia accanto al letto.

-“Credo che la febbre mi sia scesa, l’infermiera ripasserà tra poco”, sbadigliò.

William fece alzare la tapparella e la luce del sole colpì Jamie al volto; un pulviscolo di polvere, invece, sembrava danzare davanti agli occhi assenti di Will. Mi costrinsi a non rimanere ad osservare i suoi tratti tesi e disorientati e porsi il sacchetto a Jamie. Lei lo accettò senza sapere cosa fosse, così, quando sciolse il nodo, per poco non sbiancò più di quanto non lo era per via della malattia.

-“Questo devi proprio spiegarmelo!”

-“E’ solo un po’ di cibo”, mormorai scrollando le spalle. William si voltò di scatto, sembrava tornato sul pianeta terra.

-“Dai, Jey-Jey, non fare troppo la difficile. Non mi sembra che ti abbiano portato la colazione a letto”, mi difese Nicole.

-“E certo!”, sbottò, allora, l’altra, -“perché io conosco le regole di questo istituto cosa che, a quanto pare, voi ignorate. Non possono mica portarmi la colazione a letto, non è un albergo. E cito parole della Galdys.”

-“Eppure anche questo è sbagliato”, s’intromise William che, senza essermene accorta, si era messo di fronte al letto di Jamie con le mani intrecciate alle sbarre di acciaio della spalliera.

-“Non mi sembra corretto lasciare senza colazione una ragazza malata solo perché non può presentarsi nella mensa o solo perché può ignorare la sveglia ufficiale. Insomma, mi sento in dovere di scusarmi per la severità di mia madre.”

Naturalmente, come spesso accadeva, la gentilezza e il modo con cui si caricava sulle spalle l’eccessivo rigore della Delacour, lasciò tutte interdette.

-“Oh, ma è giusto così”, farfugliò Jamie, sforzandosi di sorridere, -“davvero.”

-“No, non è giusto così”, sospirò lui, tornando dinanzi la finestra. Di nuovo, perso nella sua mente.

Poi doveva aver visto qualcosa o qualcuno attirare la sua attenzione perché rizzò le spalle, sconvolgendo i lineamenti in un’espressione di sollievo ed impazienza.

-“Ora perdonatemi, ci vediamo all’ora del pranzo”, si congedò sbrigativo. Prima di oltrepassarmi con la sua falcata si chinò all’altezza del mio orecchio e mi sussurro che era arrivata sua madre e che sarebbe andato a chiedere spiegazioni, in caso lei sapesse qualcosa.

Lo seguii con lo sguardo colmo d’angoscia fin quando non scomparve oltre la porta. La mano di Nicole venne immediatamente a stringermi il ginocchio, quanto incontrai i suoi occhi mi fece ben intendere che non era quello il momento di pensare a quella faccenda.

Parlammo con Jamie per un tempo che ci parve infinito, ci azzittimmo solo quando entrò l’infermiera per misurarle la febbre e portarle una zuppa calda. Nemmeno a farlo apposta – due minuti dopo- trillò la campanella dell’ora di pranzo. Baciammo Jamie sulla fronte accaldata mentre faceva smorfie rivolte alla minestra che aveva un insolito colore giallo su cui galleggiava una pastina fina e apparentemente cruda.

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