Ventunesimo Capitolo

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Angolino Autrice: Buonasera ragazzi! Indovinate un po', tra una cosa e l'altra siam arrivato al PENULTIMO capitolo di questa avventura. Già. La prossima settimana posterò l'ultimo capitolo e, la settimana dopo ancora, vi sarà L'EPILOGO. Detto ciò, per quanto riguarda il capitolo che leggerete oggi, posso solo dirvi una cosa: preparate i fazzoletti.

Un abbraccio!

Non so quanto tempo impiegai per arrivare nei pressi del collegio, ma so che sarebbe stato almeno il doppio se non avessi rubato la bicicletta gialla canarino che mi era saltata alla vista; questo, naturalmente, dopo essermi accertata che il suo sfortunato possessore stesse impegnato a sbraitare in una cabina telefonica lì vicino.

Così lasciai cadere il mezzo proprio davanti all’enorme portale arrugginito, spalancato come se fosse stato lasciato apposta così per accogliermi.

M’incamminai nel viale di sassi mirando l’imponente istituto che si stagliava nella notte e nel suo irreale silenzio. Un silenzio tale che mi rese più irrequieta di quanto non fossi già; più volte dovetti asciugarmi i palmi delle mani sudati contro i jeans e studiare una presa efficace e sicura attorno al pugnale. Più mi avvinavo e più avevo la netta sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato nel panorama che stavo osservando crescere.

Infatti, due dettagli mi furono improvvisamente chiari: il primo era che ogni singola finestra della facciata era debolmente illuminata, mi diede l’impressione di una luce che faceva fatica a nascere. Il secondo dettaglio era l’enorme sagoma al centro esatto del cortile.

E fu allora che l’irrequietezza cedette il posto al sentimento della paura che era latente in me oramai da giorni. Però scoprii, proprio quella sera, che la paura possedeva infinite sfumature. E che quella che mi stava attanagliando in quel momento non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella che provai di fronte a mia nonna, quando mi comunicò della morte dei miei genitori, alla paura di un futuro senza di loro, o alla paura sperimentata all’interno del collegio. No, questa era la paura primordiale della sopravvivenza. Quella che ti spinge a nuotare verso l’altro quando affondi, la stessa tragica paura di cui avevo avuto l’assaggio in chiesa durante quel terremoto improvviso, capace di farti riflettere su tutta la tua vita nell’arco di due secondi e pensare che non sarà tanto la croce ad ucciderti quanto il pensiero della vita che ti attendeva, la stessa che ti stava per lasciare.

Ero arrivata nel cerchio del cortile e ora la sagoma aveva assunto le sembianze di una persona che avevo già disgraziatamente incontrato.

L’impressione che provai fu che quello –l’ultimo vampiro della piccola cricca della Delacour, Tom- fosse l’ultimo ostacolo prima dello scontro finale.

-“Ti stavamo aspettando.” Il tono di voce di Tom non poteva essere più gioviale di così. Allargò le braccia e inspirò forte l’aria chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, erano rossi e, quando parlò, i suoi canini divennero zanne lunghe e affilate

-“Quello è il famoso pugnale”, commentò, non ricercando una vera e propria conferma da me. Cominciò a girarmi in tondo mantenendo una curiosa distanza. Poi, pensai, che anche se si fosse allontanato e io avrei provato a fuggire mi avrebbe comunque recuperata.

-“Eravate così sicuri che sarei venuta? Quasi mi compiaccio nel sapere che l’idea che io avessi abbandonato Londra non vi abbia sfiorato.”

Tom sogghignò scuotendo il capo, una pioggerella di ricci selvaggi gli velarono per un attimo gli occhi infuocati che fissavano me. Il suo sguardo bruciava.

-“Non è proprio così, giovane cacciatrice. Tutt’altro. Abbiamo il nostro informatore, sapevamo saresti giunta qui oggi.”

-“Informatore?”, domandai, sentendomi attraversare da un lungo brivido.

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