Ottavo Capitolo

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Ottavo Capitolo










“Sto andando giù
annegando in te
sto cadendo per sempre
ho bisogno di fermare tutto
allora vai avanti e urla
urlami sono tanto distante
non sarò distrutta un'altra volta
ho bisogno di respirare, non posso andare giù.”
Going Under -Evanescence















Ancora oggi, nel ripensarci, non saprei definire con precisione i minuti o le ore che mi hanno vista seduta sul bordo del letto a mirare lo spicchio perfetto e iridescente della luna, mentre nella mia testa cercavo di prepararmi nell’ascoltare il racconto di un’esistenza che avrei faticato a comprendere, ad accettare e che temevo con tutta me stessa. Ogni tanto abbozzavo un sorriso nell’indovinare lo sgomento di William, intento a perseguitarmi, nel sentirmi dire “va bene, ho deciso di ascoltare ogni tua parola”. Cosa avrei ascoltato, ancora non volevo immaginarlo. I miei occhi stanchi non mi permettevano di pormi altre domande; mi misi sotto le coperte, predisponendomi al sonno.
Prima di cadere totalmente nell’incoscienza mi accorsi di alcuni passi che risuonavano in lontananza, complice il silenzio della notte. Mi sollevai sostenendomi col gomito anche se sapevo perfettamente chi si stesse avvicinando: erano ormai innumerevoli sere che la Delacour soleva aggirarsi nel corridoio per poi fermarsi di fronte alla porta della mia stanza. Vedevo la sua ombra indugiare e poi, di scatto, ritornare sulle proprie orme. Io rimanevo lì distesa con il cuore in preda alle palpitazioni non riuscendo a comprendere il senso delle sue azioni. Cosa voleva? E cosa le impediva di entrare una volta arrivata alla soglia? 
Anche quella notte rimase per una manciata di secondi lì impalata, poi si dileguò come era venuta. Mi lasciai cadere sul materasso con un groppo in gola, tuttavia, nonostante la paura, dovevo ammettere che non avevo perduto il sonno. Dormii profondamente dopo aver continuato a fissare la luna, dormii profondamente fin quando non avvertii le lenzuola scivolarmi lungo il corpo, come una carezza indesiderata. Ancora in dormiveglia cercai di trattenerle ma la mia mano ne incontrò inaspettatamente un’altra ed aprii di scatto gli occhi, balzando giù dal letto. Una figura nera si stagliava di fronte al mio letto e con velocità inaudita si posizionò dietro di me coprendomi la bocca con la mano; poi udii una voce soffiare come un lamento nel mio orecchio.
-“Ti prego non gridare, shhh. Sono io.”
-“Mmm!” Cercai di divincolarmi da quella presa maledettamente ferrea ma ogni tentativo sembrava inutile. Una gomitata mi fece liberare e caracollai dalla parte opposta del letto. William era rimasto immobile e la sua immagine mi spaventò: era mortalmente pallido (più del solito intendo), i suoi occhi erano contornati da profonde occhiaie e aveva un’espressione cupa che non mi piacque affatto. 
-“Che ci fai tu qui?”, il mio tono risultò sprezzante come al solito, nonostante qualche ora fa avessi deciso di predispormi al meglio nei suoi confronti, -“perché sarebbe stupido domandarti come sei entrato nella mia stanza”, continuai e un ghigno si presentò spontaneamente sulle mie labbra. Diedi una rapida occhiata alla finestra spalancata e, ignorando l’aria gelida che mi trafiggeva la schiena, tornai a guardarlo.
-“Sono venuto a dirti che non ce la faccio più. Non ce la faccio più a doverti opprimere per far sì che tu mi stia a sentire, a dover camminare nelle tue orme per paura di un tuo gesto folle o che tu te ne vada da qui.
Ho così tanto da dirti e ho troppo da perdere se non lo facessi. Questa notte sarà nostra, se tu me lo permetterai.”
Rimasi a guardarlo e non seppi nemmeno il perché ma sentii montare una rabbia indescrivibile. 
-“Quanto sarebbe durata questa storia se io non mi fossi insospettita? Quanto si sarebbe protratto il tuo silenzio?”, chiesi quasi ironicamente a giudicare dal tono, comunque una risposta sarebbe stata gradita. Ma abbassò lo sguardo e serrò la mascella. 
-“Fin quando ti avrei ritenuta pronta per affrontare una cosa simile. Ho già perso una persona che ho amato con tutto me stesso a causa di questa storia. Dover perdere anche te significherebbe la fine di tutto. Di tutto.”
Rimasi senza una chiara emozione in corpo, in me c’era un turbinio di sensazioni: rabbia, angoscia, gelosia.
Lui aveva già amato prima di me. 
-“Emily, prendimi la mano”, mi disse e la sua voce fu un richiamo da quel pensiero. Guardai il suo braccio allungarsi ma prima di un contatto io mi gettai furiosamente su di lui, scontrandoci contro il muro. Soffocavo strilli nel suo petto immobile e strinsi il suo maglione con una forza che non credevo di possedere. Lui mi lasciò fare fin quando mi accarezzò i capelli e mi baciò dolcemente il capo.
Quando finalmente mi calmai mi prese in braccio e a piccoli passi si diresse di fronte alla finestra; non avevo la minima idea di cosa avesse intenzione di fare, lo guardai in modo stralunato. Ad ogni modo non feci in tempo a domandare che ci ritrovammo nel giardino, proprio sotto la mia stanza. Mi guardò complice e mi depositò a terra.
-“Sono veloce, più veloce di qualsiasi creatura al mondo”, spiegò.
-“Tanto per cominciare…”, mormorai sottovoce, ma credo che mi sentì.
Impiegammo qualche minuto prima di metterci seduti a parlare. Il luogo scelto da William si trovava nel mezzo della vegetazione, lontanissimo dal collegio. Le rocce fredde su cui ci adagiammo circondavano un laghetto limpido che rifletteva la luna e i nostri corpi vicini. Parlava nel frattempo e le sue parole si levavano nell’aria immobile della notte. Le sue mani toccavano con distrazione i punti più sensibili del mio corpo, e io lo ascoltavo nascondendo il mio terrore, rispettando ogni suo silenzio. Feci la brava senza mai interromperlo, senza porre domande e inghiottii ogni dubbio nascente; il suo racconto mi portò in un villaggio vicino Parigi in un anno indefinito e arcano. 
Le creature della notte sono condannate alle tenebre per l’eternità e Demetrio Delacour era attratto dalle luci. Aveva coltivato una vera e propria ossessione per quell’abitudine persa, per la cessazione della vista del sole. I suoi occhi non riuscivano ad abituarsi al buio, anzi, bramavano di esser accecati ancora da quella luce; per secoli è sempre stato così. E William confessò quelle parole come se anche lui, nel profondo, soffrisse per lo stesso male del padre. Ma no, chiarì; lui poteva nutrirsi del calore del sole tuttavia non doveva perseverare. Alla vista del mio volto perplesso mi rassicurò dicendomi che me lo avrebbe spiegato meglio nel corso del racconto, in fondo la notte era nostra. 
-“Mio padre”, riprese dopo una breve pausa, -“era un raffinato predatore. Si nutriva nel silenzio, visitando le case delle sue vittime oppure trovando moribondi sul ciglio della strada. La regola principale del suo clan era quella di non farsi scoprire e… di non ribellarsi.”
-“Addirittura un clan?”, esordii stringendomi nel giubbotto che William mi aveva ceduto.
-“Un clan. Una fratellanza”, confermò, per poi proseguire senza esitazioni.
Demetrio faceva parte di uno dei clan più potenti e temuti, lui era il cacciatore per eccellenza: 
letale, bellissimo, inafferrabile. La sua velocità e la sua astuzia gli hanno sempre permesso di cibarsi nella massima tranquillità, per le vie di quel villaggio dimenticato da Dio. Essendo amante della bellezza non riuscì a resistere a quella di una giovane donna piangente sul ciglio di una strada.
-“Era mia madre, quella ragazzina che cantava la sua paura alla notte; mio padre fu come richiamato da quei singhiozzi convulsi e in qualche modo dolci. O almeno è così che mi sono venuti descritti.” -“Perché piangeva?”
-“Era tardi, Emily, e mia madre – poco più che dodicenne- si era smarrita e non riusciva a trovare la strada di casa. Mio padre, affamato, assetato, sull’orlo di ucciderla, incontrò i suoi occhi colmi di lacrime e fu investito da una potenza che non aveva mai sperimentato prima, una forza che gli crebbe da dentro e che gli fece scordare la fame. Guardò dritto nei suoi occhi e ne rimase profondamente incantato. Erano luce, mi raccontò una volta. E gli ricordavano la luce del giorno che aveva perduto per sempre. Allora si avvicinò e s’inchinò di fronte a lei, indovinando nel suo sguardo il terrore.” Fece una breve pausa che però fu interrotta da una mia impellente domanda.
-“Jennifer Delacour aveva dodici anni quando conobbe tuo padre? Com’è possibile…”
William sorrise di fronte al mio dubbio che doveva essere elementare, a giudicare dal suo sguardo.
-“Da quel giorno, dopo averla aiutata durante tutta la notte, l’aspettò per sette anni prima di trascinarla nel suo mondo. Vedi, era una scelta necessaria, Emily: chi vive l’eternità è portato a scegliere una compagna che lo affianchi nell’esistenza, che porti luce in quel mondo fatto di tenebre. E’ una scelta egoistica ma, tu, Emily, convieni con me se ti dico che è del tutto comprensibile? Se tu avessi la possibilità di vivere per sempre, fino alla fine dei tempi, non vorresti qualcuno al tuo fianco per alleviare la sofferenza che genera l’infinito?”
-“Probabilmente”, risposi pur non essendo pienamente convinta della mia risposta. Lui annuì e poi le sue parole rapirono nuovamente la mia attenzione, prima che potessi ragionare su ciò che avevo appena pronunciato.
-“Aveva diciannove anni mia madre quando scoprì che Demetrio, l’uomo che la seguiva come la sua stessa ombra, l’uomo che la proteggeva e che le teneva compagnia fino all’alba, era in realtà una creatura della notte. Tutte le volte che mamma vedeva mio padre abbandonarla sull’orlo di un nuovo giorno non faceva mai domande su dove andasse. Lo lasciava andar via con la sua fretta abbozzata in un sorriso cameratesco. Non seppi mai quale fu la reazione di mia madre nello scoprire”, fece una lunga pausa chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie, poi li riaprì e sembravano spalancati dinanzi quei ricordi, allora proseguì: -“Ma lei restò al suo fianco. Fedelmente. Per un sacco di anni che per mio padre parvero miseri giorni. Sai, il tempo è un fattore personale in un vampiro. Per questo mio padre un giorno, senza che se ne accorgesse, vide Jennifer fiorire in una donna, abbandonando per sempre le fattezze da ragazza. Così, fisicamente, avevano la stessa età ma nella realtà c’erano secoli di differenza.”
-“Chissà quanta differenza c’è tra noi.”
William sorrise guardandomi negli occhi.
-“La tua anima è estremamente giovane, la tua essenza pura e non è corrotta dal dolore. Io un’anima non ce l’ho nemmeno, forse.”
Rimasi un attimo a bilanciare le sue parole. Qualsiasi cosa dicesse entrava nella mia testa e s’imprimeva lentamente, in modo che io capissi e seguissi perfettamente il suo racconto.
-“Beh, credo di esser stata corrotta dal dolore”, intervenni mentre lo vedevo riaprire la bocca per parlare. Lui scosse dolcemente il capo accarezzandomi una guancia.
-“Tu hai provato dolore, lo so. Ma non sei stata corrotta. Mia madre lo è stata perché non lo ha sopportato. E’ diventata famelica di distruzione, insana e vive grazie alle sue ossessioni.”
Lasciò che quelle rivelazioni cadessero nel silenzio mentre studiava la mia reazione perplessa e disorientata. Allora mi si avvicinò e il suo tono di voce si fece meno cauto, molto più rotto e flebile.
-“La loro relazione non era ben vista dal clan di mio padre. Un vampiro ed un’umana. Non era mai successo nella storia, prima di allora. I compagni di mio padre lo videro come un atto di ribellione e di altro tradimento e sai cosa fecero? Lo posero dinanzi ad una scelta.”
-“O loro o Jennifer.”, mormorai.
-“Mio padre scelse la seconda opzione.” 
Logicamente.
-“E poi cosa è successo?” 
L’ultima volta che avevo provato un simile interesse per un racconto avevo sei o sette anni e mamma mi leggeva la favola di Cappuccetto Rosso. Avevo provato così tanta paura per il triste destino di quella bambina sola nel bosco, nel cuore della notte, in balia di una creatura affamata che adesso mi sembrava un’assurdità ritrovarmi in una situazione parallela. Mi strofinai il viso un po’ per scacciare quel dannatissimo pensiero, un po’ per non farmi cedere al sonno. Era impossibile provare sonnolenza in una circostanza simile, sì, è vero, ma sperimentare tutto ciò che ho sperimentato nei giorni seguenti ha contribuito al mio calo di energie. William tracciò un cerchio con le dita nel laghetto e il riflesso della luna si scompose sotto il suo passaggio.
-“Da lì cominciarono i guai per i miei genitori. Si rifugiarono altrove, ma non così lontano da potersi ritenere salvi dal clan di papà. Oh, se erano accecati dalla rabbia! Dal risentimento… Comunque sia, Emily, mia madre abbandonò la sua povera famiglia e penso che non ci furono più occasioni per rincontrarsi. Trovarono ristoro presso un’indovina, anch’essa una centenaria creatura della notte.”
-“Non dev’esser stato semplice per tua madre convivere con due vampiri, specialmente vista l’occasione per cui si trovava lì”, dopo quelle parole mi uscì una risata che risuonò a dir poco isterica alle mie orecchie. William confermò il mio pensiero dicendomi che Jennifer provò più e più volte a persuadere Demetrio affinché la trasformasse in una vampira. Ma lui niente, era caparbio nel farla rimanere una mortale.
-“Vedi, legarsi ad un vampiro significa sofferenza poiché il dolore, come la gioia, è un sentimento amplificato. E sì sa che quando il dolore è immenso anche la gioia più violenta è mera ed effimera. Comunque, mio padre non voleva compromettere ulteriormente la loro condizione, e trasformare mia madre in quel momento sarebbe stato come porgere un guanto di sfida alla vecchia fratellanza. Un’azione che avrebbe avuto ripercussioni tragiche, ma non più tragiche di quello che poi è avvenuto.” Sulla bocca di William si dipinse un sorriso amaro; si passò la lingua tra le labbra sostituendo il sorriso con un’espressione tirata, addolorata. -“Un giorno, mentre mio padre era via per cibarsi, mia madre rimase sola con quella indovina. Accarezzandole i capelli le predisse il futuro; una terribile incombenza premeva sulle loro spalle, aveva detto, per poi ritirarsi in un religioso silenzio. Mia madre non capì e non aveva nemmeno intenzione di farlo, era così giovane. Strappata dalla sua famiglia, inseguita da un gruppo assetato di assassini. Tutto ciò che faceva – mi raccontò- era rimanere immobile in un angolo della casa.”
In quel momento mi risultò difficile immaginarmi Jennifer Delacour rannicchiata in un angolo, completamente in preda alla paura. Eppure, quella donna che tanto mi faceva battere il cuore dal terrore, aveva anche lei conosciuto sentimenti come l’amore, la paura e la diffidenza. 
-“Ma un giorno -in un momento - tutto cambiò: l’indovina morse mia madre; aveva intenzione di ucciderla per via delle terribili visioni che aveva avuto. Ma fu fortunata. Mio padre rientrò dalla caccia in quell’esatto istante. Non perse tempo e prima di indagare cosa fosse successo le fece bere il suo sangue.”
Soffocai un lamento di disgusto e finsi di non essere inorridita da come il racconto si stava evolvendo. William pensò a qualcosa di divertente, a giudicare da come ridacchiava sotto i baffi.
-“Sai perché sto ridendo?”, mi chiese, infatti 
Scossi il capo, incerta se volevo saperlo veramente.
-“Perché non esistono vocaboli al mondo, né un romanzo o una pellicola scadente a farti comprendere l’euforia e l’eccitazione del bere del sangue. Vedi, non è niente di ripugnante; anzi, è una sensazione calda e dolce. Berlo per la prima volta non è poi così diverso dal succhiare del latte dal seno della propria madre. Ne percepisci l’esigenza e dal momento che la prima goccia di bagna le labbra capisci che non ne potrai fare a meno. Che uccideresti, pur di riprovare quelle sensazioni.”
Mi sorrise un po’ nostalgico e mi fece alzare. Mi tremavano incredibilmente le gambe e non seppi decifrare se era per via del racconto di William o per via dell’intorpidimento nel stare seduta su una roccia.
Camminammo intorno al laghetto e chiesi:
-“Era questo il posto che mi accennavi sulla ruota panoramica?”
-“Esatto. Ogni tanto vengo qui. Oltre alla piccola cappella fuori dal collegio questo è il luogo che preferisco. Trovo sia distaccato dal resto del mondo, non trovi?”
Confermai le sue parole con un sorriso. In effetti il laghetto era molto suggestivo. Le rocce che lo contornavano, lo scrosciare delicato dell’acqua, gli alberi che pendevano verso di questo come a proteggerlo e l’erba alta che profumava di natura. 
Ora ci trovavamo a girarci intorno, a sgranchirci le gambe.
-“Allora… mi hai detto che l’indovina ha tentato di uccidere Jennifer Delacour per via di alcune visioni, ma tuo padre l’ha soccorsa facendogli bere del sangue. Giusto?”
William corrucciò le labbra e socchiuse gli occhi.
-“Mmm, dunque. Quello che hai detto è esatto ma, papà, le fece bere il suo sangue. Questo gesto ha permesso a mia madre di tramutarsi in un vampiro.”
-“Okay, mi è chiaro. E poi?”
-“E poi mamma, come dire, venne alla luce. Di nuovo. Fu stordita da quella sensazione nuova e strabiliante e la prima cosa che vide con i suoi occhi da vampira era mio padre avventarsi sull’indovina. Ma quest’ultima era più forte di quanto si potesse pensare e schivò ogni suo attacco, urlando le sue visioni con tutta la disperazione che l’ha condotta a quel gesto di follia”, fece una breve pausa per riprendere fiato, -“le visioni riguardavano l’estinzione di noi creature della notte. Per colpa di lei, di mia madre. L’indovina voleva eliminarla per paura ma, come già ti ho detto, mio padre la trasformò senza pensarci due volte, pur non avendo mai contemplato l’idea. Ci sarebbero state due Cacce, due battaglie che ci avrebbero distrutto. Ma prima di proseguire nel racconto, devi sapere in che modo io e mia sorella gemella Genevieve siamo venuti al mondo.”
Quella piccola notizia mi fece trasalire all’istante: Genevieve e William gemelli. Nella mia mente iniziavo ad immaginarmi la bellezza di quella ragazza che non conoscevo. 
-“Io e mia sorella eravamo già stati concepiti ma, mia madre, non era a conoscenza di noi. L’indovina lo vide prima di chiunque altro e scese a patti con mio padre: se le avesse risparmiato la vita lei ci avrebbe salvato per mezzo della magia. E fu così. Dopo un paio di mesi ecco alla luce due pargoli, gemelli, per metà umani e per metà vampiri. Se il clan di mio padre avesse saputo della nostra nascita sarebbero inorriditi e impazziti una volta per tutte. Ma eravamo al sicuro, lì. Nonostante le remore dell’indovina che, dopo la nostra nascita, si chiuse in un silenzio pregno di terrore.” 
Mi strinsi nel giaccone cercando di tenere gli occhi ben aperti. Lui mi avvolse a sé, improvvisamente, e smorzai sul nascere un gemito.
-“Emily, vuoi che proseguo o preferisci riposarti? Credo che per stasera possa bastare, no?”, mi sorrise, accarezzandomi i capelli. Ero satura di quel racconto ma non glielo lasciai intendere.
-“No, ti prego continua. Abbiamo tutta la notte”, risposi ripetendo ciò che aveva pronunciato un istante prima di iniziare a revocare quei ricordi, e poggiai una spalla ad un albero. Tanto valeva giungere fino alla fine, e lasciarmi completamente annientare da quella storia. 
-“Come è iniziata la prima Caccia?”, domandai di getto, senza nemmeno pensarci. 
-“La ricordo con assoluta precisione. Io e Genevieve eravamo giunti al termine del nostro sviluppo: il nostro corpo ha cessato di mutare al compimento del nostro ventesimo compleanno. Avevamo straordinaria potenza, eravamo insaziabilmente curiosi e, soprattutto, ribelli nei confronti del regime che aveva adottato mio padre. Vedi, Emily, noi non potevamo cacciare se non all’interno del bosco in cui eravamo confinati per paura che qualcuno si accorgesse della nostra presenza. Lontani dal villaggio di appartenenza, una notte, io e Genevieve arrivammo ad una conclusione: il sangue animale non ci saziava più.” William arrestò il suo racconto e dal modo in cui pronunciò quell’ultima frase intuii che adesso stesse verificando la mia reazione. Ma non trovò niente – se non un piccolo strato di sudore imperlarmi la fronte- perché m’impegnavo a rimanere impassibile. 
-“Essendo per metà umani – come già ti accennavo al principio del mio racconto- io e mia sorella potevamo godere della luce del sole, a condizione di farne un uso moderato, altrimenti ci saremo indeboliti fino alla paralisi come qualsiasi altro vampiro. Un giorno i nostri passi guidati da un eccezionale orientamento ci portarono al famoso villaggio. Era la prima volta che ne vedevamo uno da così vicino, quasi fummo vittime di quell’emozione tanto violenta che provammo. Gli uomini ci passavano accanto senza degnarci di uno sguardo, ci sfioravano al passaggio ma nessuno si accorse che non appartenevamo alla loro razza. Tutti quei corpi palpitanti di vita ci ingolosivano, lo ammetto. Io ero incerto, addirittura, se continuare o meno la nostra gita turistica ( se così vogliamo chiamarla), ma Genevieve è sempre stata più testarda di me e non prese minimamente in considerazione l’idea di tornare indietro. Fu un errore. Un vero ed eclatante errore. Giunta la notte il villaggio s’immobilizzò in un rigido silenzio. Tutto taceva e per le strade non vi era anima viva, ad eccezione di me e lei. Decidemmo di tornare indietro nel momento in cui il cielo si rivestì di stelle ma, nel nostro sentiero verso il ritorno, scorgemmo una coppia di amanti.”
Un mio mugolio interruppe il racconto di William. Mi guardò interrogativo e strisciai giù lungo il tronco per mettermi seduta. Sapevo cosa da lì a poco avrebbe raccontato:
-“Ebbene, non scenderò nei particolari ma non posso omettere che quella fu la prima volta che assaggiammo del sangue umano. Genevieve ululava di gioia ed io ero tormentato: dove avremmo nascosto i corpi? Eravamo troppo inesperti e troppo coinvolti per accorgerci che avevamo varcato il confine e che li avevamo uccisi. Ad ogni modo, ci pensò mia sorella che li depositò all’interno di un vecchio e decadente pozzo. Nessuno li avrebbe trovati e noi potevamo star tranquilli. Nessun pensiero fu più ingenuo: una settimana dopo si scatenò l’inferno. A quanto pare il villaggio risentiva da tempo di quelle strane e sospette apparizioni di cadaveri abbandonati così, sull’uscio della notte, e qualcuno era giunto a noi. Quella notte udimmo qualcosa avanzare nella vegetazione con estrema urgenza, poco dopo fummo accerchiati da delle fiammelle che ci ristringevano il campo sempre di più. Era un’orda di gente ricoperta fino ai denti di armi di ogni tipo, suggerite dai racconti e leggende di vampiri che fino a quel momento aleggiavano nel villaggio. Sono reali! Sono reali! Gridava qualcuno. Assassini! Demoni! Li uccideremo tutti! Gridava qualcun altro a gran voce. Io e la mia famiglia ci davamo le spalle a formare un quadrato e tutto ciò che potevamo fare era guardarci intorno. Ad un certo punto si udì con chiarezza lo scalpitare di un cavallo, ed ecco che apparve un carro di prigionieri. Vuoi dirmi chi erano, Emily?”
-“Deduco fossero i membri del vecchio clan a cui apparteneva Demetrio.”
-“La tua osservazione è giusta.”
-“Quelle persone…”
-“I cacciatori”, chiarì William invitandomi a proseguire.
-“Sì, i cacciatori erano arrivati addirittura a loro?”
-“A quanto pare. Poi tutto successe molto velocemente: mio padre ordinò a me e Genevieve di abbandonare il campo, intanto lui e mia madre avrebbero trovato un modo per rallentarli e magari dimezzarli pur calcolando un elevato pericolo. Nel tempo che impiegai a voltarmi e fuggire riconobbi l’indovina tra i vampiri prigionieri; le sue urla riguardo la profezia – e che quello era solo l’inizio- mi accompagnarono durante la corsa. Genevieve imboccò un sentiero differente dal mio e quando i miei occhi non la videro più sfrecciare tra gli alberi, e quando il mio udito non intercettò più il suo fiato corto – sempre più corto e convulso- insieme ai suoi passi, sì, io andai nel panico e tornai indietro per ripercorrere il suo sentiero. Ma trovai qualcun altro ad attendermi.”
Ebbi una forte stretta al cuore e, nonostante lo avessi di fronte, temevo per quello che William aveva incontrato. 
-"Era uno dei cacciatori. Mi puntava dritto al petto un pugnale, anche se nel suo volto riconobbi l'antico sentimento della paura. Mi temeva, forse, quanto io temevo lui. Ma cercai con tutto il sangue freddo che avevo di non lasciarglielo intuire. Non ero mai stato a contatto con tanti esseri umani come in quel periodo. E vedere quel lurido puntarmi quell'arma, mi domandai, cosa ci fosse di sbagliato nell'affondare i denti nel collo di uno di loro. In fondo stavano per ucciderci tutti", all'ultima frase le sue labbra si unirono a formare una linea tesa come la corda di un arco, -"così mi ci avventai contro, imprigionandolo al suolo, tenendo i palmi delle mani spalmati sul suo petto. Sai, grazie a quella posizione potetti ascoltare le accelerazioni del suo cuore. E mi sentii potente, capace, invincibile ma quella sensazione piacevole durò veramente poco: alle mie spalle venne un uomo, tra le mani una torcia infuocata, che esclamò all'amico sotto di me Stryder! Dov'è? Dov'è il tuo pugnale? L'arma era volata via dalla sua presa ed era nel mio campo visivo; non feci in tempo a formulare quel pensiero che l'altro cacciatore venuto in suo soccorso mi si parò di fronte sferrandomi colpi all'altezza del collo che, però, schivai prontamente. Anche se questo significò liberare la mia preda."
Da quando aveva iniziato a raccontare questa storia non lo avevo mai visto provato come adesso. Dal momento che si era anche lui adagiato a terra, mi ci avvicinai aiutandomi con le ginocchia e gli presi entrambe le mani. Non ne conosco il motivo ma, durante quel gesto, non fui capace di sorreggere il suo sguardo, così mi concentrai sulla sua pelle liscia, diafana, che mi permetteva di scorgere le vene anche con tutta quell'oscurità. William ricambiò la stretta e per un attimo credetti mi stesse per baciare - tant'è che mi irrigidii immediatamente- invece si sistemò al mio fianco, proseguendo verso il termine del suo antico discorso. -"Riuscii a scappare perché fu l'unica cosa che potessi fare. Tentare di ucciderli sarebbe stato un gesto sciocco, un suicidio, per intenderci. Durante la mia disperata fuga fui persino aggredito da quella furia di mia sorella che, credendomi uno di loro, balzò giù dal ramo su cui era accucciata e rotolammo presso una vallata. Ci guardammo e per un momento l'uno vide negli occhi dell'altro la fine. Noi -proprio noi- che eravamo cresciuti con l'idea dell'eternità." 
William si alzò di scatto liberando le sue mani dalle mie, imitai il suo gesto e, per quanto ero stanca, mi girò violentemente la testa.
-"Poco dopo trovammo nostra madre in uno stato pietoso: era ricoperta dalla testa ai piedi di sangue, i suoi vestiti erano a brandelli e i suoi occhi spiritati. Devi sapere, Emily, che Genevieve era nata con un odio irrazionale nei suoi confronti e, quando noi ci fiondammo da lei - disperati, impauriti, creduti finiti - e prese a maledire il giorno della nostra nascita e che tutto quell'inferno era colpa nostra, credo che fu il punto di rottura tra le due. Seguito dall'abbandono di nostra madre che cercò disperatamente di trarre in salvo Demetrio, imprigionato dai cacciatori durante quella notte. Quella notte in cui riuscimmo a salvarci." -"Ma ora tu sei con lei", precisai inutilmente, ma stavo poco a poco perdendo percezione della realtà per via di tutto quel fiume di parole. Ero alla deriva. Letteralmente.
-"Pochi mesi dopo tornò. Lo vidi. Lo vidi che non era più la stessa persona che era. Ha detto che aveva visto delle cose, udito delle cose e che dovevamo fidarci di lei. Che l'eternità era ancora nostra ma che doveva concludere ciò che era iniziato. Che doveva riportare indietro nostro padre, ma non ho mai saputo interpretare queste sue parole. Credevo e, lo credo tutt'ora, che quelle frasi fossero il frutto del delirio. Quante volte ti ho ripetuto che c'è qualcosa di assolutamente insano in lei? Non smetterò mai di dirlo. Mai."
Mi venne vicino, provato, lentamente.
-"Tuttavia voglio starle vicino. E' mia madre", mi confessò in un sussurro che mi fece rabbrividire.
Io mi limitai ad annuire, con la gola prosciugata. 
-"Adesso credo che tu possa definirti soddisfatta. Ed è davvero tardi, domani avrai un'altra lunga giornata e penso anche tu debba ragionare su tutto questo, ho ragione?"
-"Sì, come potresti avere torto", sussurrai cercando, per quanto difficile, di abbozzare un sorriso.
-"Ti riporto in stanza.", proclamò ed iniziai a seguirlo mentre mi conduceva nel dormitorio. Incespicavo dietro di lui per colpa della mia distrazione e per via dell'oscurità che non mi concedeva di vedere dove mettevo i piedi. Entrammo dalla portafinestra e mi venne in mente la notte in cui io, Jamie e Nicole scendemmo in giardino. Allora domandai, con una voce lontana e strascicata:
-"Quella notte cosa ci facevi qui fuori?".
Ci aggrappammo al corrimano, preparandoci a salir piano le scale.
-"Nel giardino del collegio si addentrano molti animali. Per non parlare di quanti ce ne sono in fondo alla vegetazione.", bisbigliò e mi lanciò una breve occhiata da oltre la spalla, -"quella sera avevo prestato la macchina a mia madre - aveva da fare chissà cosa- ed io ero tremendamente affamato."
Serrai i denti. Eravamo appena arrivati di fronte all'ufficio della Delacour; William doveva recuperare le chiavi della mia camera per farmi entrare. Mi fece cenno di far silenzio e con un dito socchiuse la porta. Poi con una rapida occhiata ispezionò la stanza e fui lieta di veder mimare sulla sua bocca la frase via libera. Quando entrò lo seguii fedelmente e ogni tanto sobbalzavo per via dello scricchiolio di qualche mobile o per qualche altro rumore. Mentre William rovistava in un cassetto mi ordinai di non guardare il ritratto di Jennifer e Demetrio, il mio cuore martellava in modo fin troppo forte per concedermi di osservare altri due vampiri.
In compenso la direzione del mio sguardo basso si andò a posare sul diario aperto della Delacour. Senza poter rendermene conto mi ci avvicinai, inchinando il capo sulle pagine aperte e rischiarate dalla luce tenue della luna. 
La data che lessi in cima alla pagina non mi diceva niente, era Novembre. 
-"Mmm?", mugugnò William che era nella mia stessa posizione con le chiavi in mano, e mi ritrassi all'istante. Anche lui imitò il movimento corrugando la fronte.
-"Cos'è?", domandò al vento, ancora fissando il diario della madre. 
Decisi di farmi i fatti miei, rispondendo solamente:
-"A me sembra un diario o un'agenda."
Inarcò le sopracciglia, visibilmente sorpreso. Aprì la bocca per parlare ma un rumore proveniente dal pianoterra gliela fece richiudere all'istante.
-"Usciamo!", ordinò richiudendo il cassetto, lanciando un ultima occhiata alle pagine. Io - da brava fifona quale ero- caracollai in punta di piedi accanto alla porta; prima di uscire mi accorsi che William era rimasto a pochi centimetri dalla scrivania, grattandosi il mento come se fosse sovrappensiero. Lo richiamai dalla sua trance e trasalendo mi raggiunse, spintonandomi fino alla mia camera di isolamento.
Quando mi adagiai sul letto parlò e per poco non ci rimasi secca.
-"Quella data l'ho riconosciuta. La riconoscerei anche tra mille anni. Il giorno in cui ti ho salvato dalla croce, in chiesa."
-"C-cosa?", balbettai.
Quella notte il mio disorientamento era un continuo crescendo. L'espressione di William non aiutava ad orientarmi verso qualcosa di sensato. Perché la Delacour aveva appuntato quella data? Quale avvenimento importante l'ha vista coinvolta quel giorno? Era stata in chiesa con noi, poi era tornata in collegio e poi... non ricordavo. Magari si era assentata come suo solito. Cosa potevo saperne, infondo, della sua vita? 
-"Che coincidenza", commentai, decidendo di archiviare in seduta stante l'argomento. Non avevo le energie né la voglia di rivivere quel giorno.
-"Non sapevo che mia madre tenesse un diario”, soffiò e parve un rimprovero a se stesso. Io mi lasciai scivolare nel letto.
-"Chi vive per sempre ne avrà di cose da ricordare."
-"A me basterebbe ricordare che mi vuoi."
I miei occhi si spalancarono di colpo, lottando contro la pesantezza delle palpebre. Non riuscii a ribattere e l'unica cosa che feci fu percorrere la sua immagine con gli occhi. I capelli pregni d'umidità, la fronte e le sopracciglia rilassate, gli occhi fissi su di me, la postura abbandonata contro il muro. Il mio porto sicuro era in realtà un luogo di segreti e sangue. Deglutii cercando di reggermi col gomito, ma lui si avvicinò sedendosi accanto a me.
-"Stai giù. Riposati, adesso. Non devi per forza rispondere a quello che ho detto."
-"Non so cosa rispondere. Sono così confusa. Io... non riesco nemmeno a capire se questo sia un incubo o se sia la realtà."
William si morse le labbra e giurerei si stesse trattenendo dal piangere.
-"E' la realtà. La mia. Sono così sciocco", mormorò alzandosi di scatto, gesto che mi fece capovolgere il cuore.
-"Perché dici questo?"
Lui allargò le braccia al cielo, esasperato, e poi le lasciò cadere sui fianchi. 
-"Ti sto dicendo di dormire dopo tutto quello che ti ho fatto passare nelle ultime settimane e, soprattutto, dopo questa notte. Solo uno sciocco può credere che io non ti faccia schifo, che io non ti provochi ribrezzo e riluttanza. Come puoi dormire con me? Con un mostro, con una creatura che pensi possa ucciderti."
Se c’era una persona che in quel momento lottava con tutte le sue forze contro l’impulso di piangere, ero proprio io. Ero io perché aveva ragione: provavo così tanta paura che avrei potuto piangere sino a sciogliermi tutta; e vergogna, perché lui era il mio William.
-"Vorrei che tu stessi al mio fianco perché l'ultima cosa che voglio è perderti per colpa della mia natura. Vorrei farti capire che non ti farei mai - mai, mai, mai!- del male, Emily."
Mi chiedeva di rimanere al suo fianco, che la scelta era mia, e poi mi costringeva a stare a sentire la sua storia, a subire la sua presenza. Anche per questo avevo paura, perché in realtà non avevo nessuna scelta. Non mi avrebbe lasciata andare con tanta facilità. E io cosa volevo fare? 
Mi liberai dalle coperte senza premeditare il gesto, mi gettai su di lui come avevo fatto non appena lo avevo individuato nell'oscurità della camera, prima. Intrecciai le braccia al suo collo e premetti le labbra sulle sue.
Rimanemmo in quella posizione per un tempo che mi parve infinito e quando le nostre fronti si toccarono - entrambi in cerca di ossigeno- lo vidi piangere. 
-"Rimango", sussurrai, mostrandomi forte e impavida. La persona che non ero.
-"Rimango."
-"Io sono un vampiro. Io..."
-"Rimango, William, rimango", rimbeccai interrompendolo. Lo baciai nuovamente e, con mio grande stupore, sembrava che ad ogni contatto la mia paura scemasse. Mi portò nuovamente accanto al letto, mi coprì con le lenzuola e s'inchinò all'altezza del mio viso. 
-"Da quando ci conosciamo abbiamo sempre messo in discussione la fiducia che prova l'uno nei confronti dell'altro", sibilai con voce roca e bassa, -"ma adesso devi credermi. Io rimango, e sto per addormentarmi.
Significa che sarò assente fino all'alba. Rimani mentre non ci sono, così tu finalmente capirai che mi fido di te, William." Lui annuì e io gli feci posto nel piccolo letto. Mi osservava dall'alto come se fosse lui ad essere terrorizzato da me. Gli sorrisi per incoraggiarlo e sentii la lucidità abbandonarmi poco a poco. Morfeo mi stava trascinando via e, l'ultima immagine che vidi prima di sprofondare nell'incoscienza, fu il volto di William ricoperto di lacrime.

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