Primo Capitolo

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Primo Capitolo

“Sto cadendo per sempre ho bisogno di fermare tutto sto andando giù 

oscurando e mescolando la verità e le bugie 

così non so cosa è vero e cosa no confondendo sempre i miei pensieri 

così non posso avere fiducia ancora in me stessa.” 

Going Under- Evanescence

Nella penisola della Gran Bretagna, oltre a delle perpetue nubi ed oltre a delle scroscianti ondate di pioggia, c’era la città di Londra. La popolare Londra, rifugio di mille persone era per me la città di nascita. Fu da quella città priva di significato e perennemente ombrosa che i miei morirono lasciandomi allo sbando in casa di mia nonna, ormai ultrasessantenne, e unica parente che avevo. Questo insignificante dettaglio non sfuggì alla legge, essendo minorenne, dovevo per forza alloggiare in qualche posto pronta ad essere tutelata da qualcuno. Per questo il martedì dell’anno del mio sedicesimo compleanno dovetti abbandonare tutto ciò che avevo e recarmi nel prestigioso, e alquanto terrificante, collegio del nord di Londra. Avevo indossato un maglione a collo alto bianco abbinato a dei jeans sbiaditi, e viaggiavo nell’auto della signorina Williams, una donna piuttosto spigliata e professionale. Sembrava veramente aver preso a cuore la mia situazione; in fondo, sfido chiunque abbia un briciolo di sensibilità ad essere indifferente alla mia struggente storia. Mentre viaggiavamo fissavo il mio bagagliaio ripensando all’ultima volta che ero stata davvero con i miei. Fu come gettare uno sguardo sulla vita di una sconosciuta, non riuscendo ad afferrare frammenti di felicità e condivisione tipici di una famiglia serena. Non che la mia non lo fosse, ma, i miei genitori erano persone alquanto distratte, alquanto…assenti. Spesso si allontanavano per giorni incalcolabili per poi tornare come se nulla fosse, schivi e con i volti tirati. Impiegavano tanto tempo, poi, per ristabilire un atteggiamento normale, rilassato. Credo che nella nostra famiglia ci fosse un tacito accordo, una regola sociale non scritta che vigeva di non accennar a quelle assenze a dir poco incomprensibili. Non mi stava bene, affatto, ma era anche vero che il mio atteggiamento si modellava a quello di mia nonna, così imitavo il suo placido e apparente stato di accettazione.

Dei miei, a parte quei spaccati di vita non pienamente vissuti assieme, custodivo una foto di mia madre. 

Mi somigliava molto, tant’è che le persone non mancavano mai di farmelo notare. Gli stessi occhi verdi con qualche chiazza di giallo, lo stesso colorito pallido, le stesse labbra rosee. Le mie però erano più grandi. L’immagine di mio padre che conservavo dentro di me cominciava a sbiadirsi poco a poco. Era un uomo distinto e ricordo con amarezza quanto fosse raro vederlo con il sorriso stampato sul volto. Lui mi concedeva ben poche carezze, ma tante raccomandazioni per il mio futuro. 

I miei pensieri cessarono di colpo quando vidi la signorina Williams fissarmi dallo specchietto retrovisore.

-“Non avere quello sguardo triste, Emily. Comprendo che non dev’essere facile per te, né il massimo della gioia per una ragazza della tua età entrare in un collegio, ma è così che deve andare”, mi disse, con uno strano tremore nella voce. Guardai i suoi occhi color ghiaccio lucidarsi. Scossi la testa, piano.

-“Lo so, è quello che avrebbero voluto i miei genitori. Questa scelta sarebbe stata condivisa anche da loro”, risposi stringendomi nelle spalle, cercando di immaginare i loro volti. 

La Williams sorrise ed entrò in un enorme cancello arrugginito, addentrandoci in un vialetto circondato dal verde. Il giardino che costeggiava il cortile su cui stavamo viaggiando era chiaramente curato, lo si poteva notare dalla tosatura al limite del maniacale dei cespugli e dall’assenza di foglie cadute. Anche i numerosi alberi che sfilavano rapidamente oltre i finestrini sembravano voler imitare quella perfezione tanto ricercata. Quando mi voltai in avanti vidi la struttura del collegio più reclamato da quel groviglio urbano chiamato Londra. Era gigantesco, scuro, cupo, terrorizzante ed estremamente riluttante. La sola idea di dover mettere piede lì dentro e di rimanerci per molto, molto tempo mi stava facendo rabbrividire. Le finestre erano grandi ma non mi sarei sorpresa di vederci qualche sbarra in stile carcere. L’enorme palazzo aveva di positivo che si affacciava sul bel giardino; in fondo non bisogna giudicare qualcosa solo dall’esterno, no?

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