Quinto capitolo

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Non penso avrei dovuto farlo. Ma i miei passi avevano premeditato e annientato ogni mia singola volontà di protestare all'azione che compii: con il cuore a mille appoggiai l'orecchio sul duro del legno dello studio Delacour. Sentivo le voci attutite dei due parlare e, talvolta, sussurrare tra i denti. Specialmente lei. La sua voce era in tempesta, stridula e prepotente. Il silenzio di William, invece, mi contorceva lo stomaco. Poi, in un attimo, lo sentii mormorare qualcosa che non udii ma che rimbeccò un secondo dopo con maggior enfasi.
-"COSA AVREI DOVUTO FARE?!" Gridava come un ossesso, adesso. Rabbrividii e per un attimo mi ritornò in mente il suo viso d'ombra nella cripta. 
Fulmineo. Disarmante. Pericoloso. 
Bellissimo. 
-"NON SARESTI DOVUTO VENIRE! NON DOVRESTI ESPORTI IN QUESTA MANIERA!"
E poi il nulla se non un mio dannatissimo -maledettissimo- movimento che fece schiudere la porta cigolante. Mi ritrassi più in là, accucciandomi e coprendomi il volto con i capelli come se ciò bastasse a farmi scomparire. Oh, lo desideravo da morire in quel momento ma, comunque sia, non sarebbe stato necessario perché i due erano troppo offuscati dalla collera per badare alla mia stupidità. Mi ravvicinai con altrettanta stupidità e intravidi le spalle di lui.
-"Mi stai creando dei problemi. Tu, la tua presenza siete un enorme peso per me! William, desidero che tu torni Francia: non puoi rimanere qui! Non concepisci nemmeno lontanamente quanto la tua presenza possa condurre qualcuno dove non deve arrivare? Dopo oggi… non posso badare a te, in questo momento della mia vita. Vattene in Francia!" 
Mi raggelai e soffocai un sibilo di contestazione al suono di quella minaccia indiretta a me. Ma non affiancai un significato a tutte le parole ascoltate, poiché in un primo momento non ci diedi il peso necessario. -"Non posso", si ritrovò a controbattere Will, duro. Qualcosa di pesante colpì la scrivania e il mio cuore.
-"Nemmeno se ti dicessi che il tuo volto mi provoca dolore, che la tua somiglianza con tuo… no, non voglio nemmeno che tu intrattenga altre conversazioni con quella ragazza. Soprattutto dopo l’accaduto. Devi starle lontano!”
-"Quella ragazza ha un nome: Emily. E mio padre è diventato un lontano ricordo; quello che dovrebbe essere per te, madre. Lui non tornerà mai! Ma perché ti ostini a parlare di papà come se un giorno potesse rispuntar fuori da chissà dove!?", disse, con una voce nuova e agitata sull'ultima parte della frase. A quel punto il mio coraggio si spinse all'apice e mi ritrovai maggiormente accucciata, cercando di osservare l'espressione di sua madre a quelle parole.
E la vidi.
In un primo momento mi rifiutai di credere che quella fosse proprio Jennifer Delacour. Facendo capolino non trovai quei tratti eleganti, apparentemente estraniati da ogni qualsivoglia forma di emozione ma, -davvero-, mi parve d'aver dinanzi una fiera imbestialita: gli occhi chiusi in due fessure di rabbia; le labbra arricciate in modo innaturale e due canini lunghi e terribilmente affilati per qualsiasi essere vivente. Non mi sorpresi di sentir i miei muscoli facciali paralizzati dalla paura che mi provocò quell'immagine insolita e inaspettata; ancor di più il gorgogliante suono che stava crescendo nella sua gola facendole vibrare le corde vocali come si fa con i fili d'un violino. 
-"Devi stare lontano da lei", disse a parole soffocate e gravi, -"devi andartene immediatamente."
-"Quello che voglio è vivere al tuo fianco. Io resto qui."
La madre, di fronte alla calma spaventosa di suo figlio sgranò gli occhi e fu allora che scappai via non volendo approfondire quei discorsi. I suoi occhi ero iniettati di un rosso vivo e fiammeggiante che non mi fecero rimaner a riflettere se rimanere in ascolto o meno. 
Muovendomi di scatto, con il cuore in gola, mi scontrai con qualcuno che non vidi arrivare. Rovinai a terra strillando, abbastanza da catturare l’attenzione di William che, con la coda dell’occhio, vidi la sua testa girarsi nella mia direzione; mentre vicino ai miei piedi ne comparvero altri due: quelli di Nicole. 
Troneggiava su di me e mi scrutava con un’espressione che oscillava tra il divertito e l’allarmato, a differenza mia che sentivo gli occhi lucidarsi dallo spavento.
-"Ti stavo cercando", disse, corrugando la fronte e offrendomi la mano per issarmi.
-"Cosa sta succedendo qui?" La Delacour venne fuori come una furia (quale era, in effetti) spalancando completamente la porta. I miei occhi oltrepassarono le sue larghe spalle e si persero in quelli tristi e altrettanto rossi di William. Era un volto meravigliosamente struggente, il suo.
-"Allora? Sto aspettando una spiegazione!", grugnì ancora.
-"Stavamo andando in camera ma ci siamo scontrate per il corridoio. Ci scusi", farfugliò Nicole, senza fissarla realmente negli occhi.
Prima ancora che ci rimproverasse - o sbranasse- William le posò una mano sulla spalla, facendola voltare di colpo.
-"Calmati, adesso. Loro non centrano nulla. Basta così, mamma."
Jennifer fece scivolare il suo sguardo offuscato di sentimenti verso di me e mi rispecchiai nei suoi occhi carichi di odio ed insani. Un brivido mi percorse e cercai di scacciare l’immagine di me, pallida e impaurita, che vi trovai.
Con un gesto rapido ci diede le spalle e, senza proferire parola, tornò nel suo ufficio chiudendo la porta; sentimmo la chiave girare diverse volte nella serratura. Si era rifugiata nelle mura del suo ufficio, estraniandosi da tutto il resto, lasciando William escluso.
-"Andate in camera", ci consigliò lui con un filo di voce, probabilmente era esasperato. 
-"Okay, andiamo Emily." Nicole raccolse la palla al balzo e mi fece cenno di seguirla; già aveva svoltato l'angolo. Dunque mi girai in direzione di William.
Come mi aspettavo, aveva un volto stanco, gli angoli della bocca all’ingiù che gli conferivano un’aria tormentata e le sue spalle, di solito dritte e rigide erano crollate, mogie, come se stessero sopportando una grossa pressione.
-"Hai origliato?", mi domandò inaspettatamente; cercai di non fargli intendere il mio sgomento per quella domanda.
-"E' stato un caso, ma sì."
Rise e parve uno sbuffo trattenuto, nervoso.
-"Non volevo, davvero. Io…"
-"Non fa niente. Ma la prossima volta non farlo. Non mi piace che qualcuno senta i discorsi miei e di mia madre.", m’interruppe, categorico.
-"Ti chiedo scusa. Non accadrà più.". Ero così mortificata che mi sentii piccola piccola. Un imbarazzo mai sperimentato in vita mia.
-"Cosa hai sentito?"
-"Non vuole che tu rimanga qui. E non voglio che tu te ne vada via!" 
E tanti saluti alla vergogna, a questo punto! Doveva rimanere; non volevo rinunciare alla sensazione di vita che mi trasmetteva e che solo ora riconoscevo ed ammettevo.
-"Non me ne andrò, anche a costo di fronteggiarla ogni giorno. Emily, se la mia intenzione era andarmene via lo avrei fatto senza troppe spiegazioni... ma ho aspettato che ti risvegliassi", fece una breve pausa per inumidirsi le labbra, gesto che mi fece arrossire e chinare il capo,-"il fatto è che io voglio stare assieme a te con la stessa intensità con cui mia madre mi ha intimato il contrario." Tirai su la testa di scatto, sentendo gli occhi spalancarsi dalla franchezza di quelle parole. Mi prese la mano e mi baciò il palmo. 
Mi si smorzò il fiato per un secondo.
-"Lei mi odia. L'ho visto nel suo sguardo e l'ho sempre pensato. Non è normale il modo in cui mi guarda."
-"Non vuole che io stringa un'amicizia con nessuna di voi, nel collegio. A prescindere da te", cercò di tranquillizzarmi ma un acuto pensiero doveva aver fronteggiato quelle sue parole perché dopo aggiunse:
-"C'è qualcosa che io non so? Ti ha fatto del male? Certe volte mia madre è come vittima della sua stessa severità, ma non devi temerla. E se lei ti turberà in qualche modo sai dove trovarmi. Io d'ora in poi ci sarò sempre per te. Ho creduto di perderti una volta per tutte in quella stanza più che in chiesa ed è stata una sensazione che non desidero ripetere. Emily mi sento legato a te."
Feci per rispondere, quando vidi il suo viso avvicinarsi pericolosamente al mio. Ogni mia cellula scattò sull'attenti e sentii mille spilli inferociti e in festa nel cuore ma... tornò Nicole.
-"Emily, cosa stai facendo? Vuoi farti esp... oh."
William lasciò la presa e tirò un lungo sospiro, adombrandosi. Io cercai di ritrovare la salivazione. 
-"Se vuoi ti aspetto in camera, oppure, non so... posso... ecco... io." Nicole era in preda al panico, paonazza quanto me. 
-"Stavo per andarmene, Nicole, tranquilla. Ti lascio Emily: assicurati che a pranzo mangi tutto e che si faccia una doccia. Una giornata come questa non si dimentica con uno schiocco di dita e deve iniziare a scrollarsela di dosso." Sorrise nel pronunciare quelle parole, poi mi oltrepassò e sentii la sua mano sfiorare furtivamente la mia.
-"Scusa." Nicole si volse a guardarlo, proprio mentre lui l'aveva superata arrivando a scendere il primo scalino. Aggrottò le sopracciglia e poi le offrì un ampio sorriso, che però morì prima di raggiungere gli occhi. E scomparve dal nostro campo visivo.
-"Nic", mi condussi accanto a lei, -"perché gli hai chiesto scusa?", domandai credendo di essermi persa un passaggio. Lei si cinse nelle spalle, dicendomi:
-"Non so... mi ha guardato con una tale espressione che scusarsi mi sembrava d'obbligo."
Il resto della giornata trascorse nel modo più normale e scombussolato possibile. Subito dopo pranzo fui vittima dei richiami del mio fedele amico Morfeo, ai quali potevo resistere per poco. Nel tempo libero cercai William ma non lo trovai né all'interno del collegio né in giardino; Simus, poi, mi informò che lui gli aveva riferito che sarebbe tornato l'indomani. Da un certo punto di vista fui felice, visto che in sua presenza volevo apparire al meglio e non rintronata dalla stanchezza come lo ero in quel momento. Così ne approfittai per sdraiarmi sul letto e, senza rimuginare come mio solito prima di addormentarmi, caddi in un sonno senza sogni.
Riaprii gli occhi giusto in tempo per la cena e una doccia . La giornata doveva esser stata dura per la maggior parte delle collegiali perché verso le nove e mezzo di sera solo io ero ancora in piedi. C'era talmente tanto vento, quella sera, che i vetri delle finestre del bagno tremavano come se fuori ci fosse qualcuno intento a bussare. Aprii il vetro della doccia e con un gesto secco cominciai a far scorrere l'acqua calda; mi tolsi la divisa poggiandola su una sedia lì vicino e, con mani tremanti per via dell’aria gelida, sbottonai la camicetta bianca. Fu proprio in quel momento che con la coda dell'occhio vidi un'ombra dietro le mie spalle, voltandomi di scatto soffocai un gemito di paura e sorpresa.
-"Non riesco a dormire", mormorò Nicole avvolta in una coperta di lana blu, tutta sfilacciata. Annuii.
-"Così hai deciso di farmi prendere un infarto, come se la giornata trascorsa fosse stata normale. Assolutamente normale", borbottai con un sorriso ironico. Molto ironico.
Nicole non rise, - ma dal suo sguardo intuii che aveva compreso le mie parole-, e abbassò lo sguardo crucciandosi. 
-"Che hai?", le domandai mettendole una mano sulla spalla; mi guardò negli occhi.
-"E' tutto il giorno che penso ad una cosa ma, in tutta onestà Emily, non so se parlartene..."
-"Beh..", risposi,-"ora hai lanciato il sasso e non puoi nascondere la mano. Dimmi", insistetti seppur stessi congelando poco a poco.
Nicole si morse il labbro in una maniera tale che quando prese a parlare vidi i segni dei denti su quello inferiore.
-"Si tratta di ciò che è accaduto oggi in chiesa", confessò, avvolgendosi ancor di più nella lunga coperta. Io sospirai, amareggiata che si trattasse di quell'argomento: volevo rimuovere quel ricordo il prima possibile, seppur l'eco dell'adrenalina provata fosse ancora in circolo in me. 
-"Lo so, Nic. Abbiamo tutti avuto paura ma è passato. Non pensarci."
-"Non è questo il punto!", esclamò, caricandosi un po',-"non hai notato nulla di strano in quel posto?", mi incalzò avvicinandosi con occhi spalancati. Io rievocai mentalmente il dialogo tenuto da me e William nella cripta ma sapevo con assoluta certezza che Nicole ne fosse all'oscuro.
-"N-no cosa avrei dovuto notare?", balbettai ritraendomi. 
Prese aria ai polmoni studiando il mio sguardo smarrito.
-"La presenza di William. Non ti è sembrata strana in questa circostanza? In fondo doveva esser in viaggio per la Francia o sbaglio? Non ti sembra strano che lui, in quel preciso istante, fosse proprio lì? E che sia rimasto a vegliare su di te?"
-"Nicole, credo che tu sia stanca..."
-"Emily!", mi rimbeccò, protestando,-"lui è sempre dietro di te! E' come se seguisse ogni tuo minimo spostamento e, se proprio devo essere sincera fino in fondo, a me non piace", sputò. Ci fu un attimo di silenzio, poi mi accorsi di aver stritolato abbastanza i lembi della mia camicetta e risposi con una domanda:
-"Per quale motivo?"
-"Non saprei spiegartelo: è più una sensazione. Sensazione dovuta al fatto che lui oggi, casualmente, si trovasse lì, come quando ti ha evitato di romperti l'osso del collo dalle scale. Quando eri sdraiata nel letto avevi un'espressione dolorante e io ho notato come lui fissava ogni tua smorfia e di come queste si riflettessero sul suo viso. Sono solo coincidenze? Non ne ho idea, ma voglio dirti di tenere gli occhi aperti." Non risposi. Il rumore del temporale era da cornice al nostro gioco di sguardi i quali sembravano voler aggiungere dell’altro; nel suo si rispecchiava chiaramente l’agitarsi del vento. Sospirai dandole le spalle, cercando di ignorare quel nodo nel petto appena formato. 
-“Buonanotte.” Mi giunse la sua voce, smorzata dal vetro della doccia. 
Anche in quel caso non risposi. 

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