XIV. Terza Parte

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Appena Everard gli fu accanto il re lo afferrò per una spalla, in un gesto fin troppo paterno per un uomo che stava condannando a morte una ragazza solo perché aveva ballato con lui anni prima

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Appena Everard gli fu accanto il re lo afferrò per una spalla, in un gesto fin troppo paterno per un uomo che stava condannando a morte una ragazza solo perché aveva ballato con lui anni prima.

«Se non sbaglio, padre, nel vostro ufficio avevate concordato con me sul fatto che Alice Foster non è una strega» mormorò con filo di voce e lo sguardo fisso sulle sue eleganti scarpe lucide. «Ed eccoci qui invece.»

«Figliolo, questo è il mio regno. Qui faccio il bello e il cattivo tempo... ricordalo quando ballerai con una ragazza che non sarà Lady Adelaide» dichiarò il re con un ampio sorriso stampato sul volto, un sorriso che sembrava trasmettere allegria o che doveva infondere coraggio verso la prospettiva di un futuro senza streghe. Invece, Everard, ci vedeva solo un profondo desiderio di essere l'eroe di un mondo che non aveva bisogno di essere salvato. Re William voleva sentirsi essenziale per Salem e poteva farlo solo dimostrando al suo popolo che senza un regnante non ci sarebbe di fatto più nessun regno.

«Quindi è vero?» chiese Everard girando appena lo sguardo verso il padre. «State condannando Alice Foster perché non riuscite a trovare la misteriosa ragazza?»

«Alice Foster si è condannata da sola, per stregoneria» ribatté il padre, lo sguardo fisso verso la folla che aveva ripreso a parlare, probabilmente per mozzare la tensione. «Ma se vuoi trarne una lezione, figliolo, ti consiglio questa: non mettermi più in imbarazzo davanti al popolo. Puoi ballare o passare la notte con chi più ti aggrada, ma nessuno deve dubitare del tuo matrimonio felice. Ci siamo capiti?»

Per un lungo istante Everard restò a fissare il padre e quel solco, illuminato dal fuoco, che segnava il suo viso in modo fin troppo spettrale. Improvvisamente, nella sua mente, tornarono chiare e in modo profondamente doloroso le parole della rivista.

«Ora mettiti al fianco di Lady Adelaide e assapora questo momento, presto non ci sarà più nessuna strega a Salem e noi potremmo essere finalmente felici» disse stringendo ancora di più la mano sulla spalla del figlio, fin quasi a conficcargli le unghie nella carne.

«Potremmo esserlo lo stesso, padre. Potremmo essere felici amando chi ci ama» rispose Everard quasi d'istinto probabilmente perché, per la prima volta da ore, il ricordo di Mary era tornato a bussare al suo cuore.

La mano del re fece ancora più pressione sulla spalla del principe, proprio nel punto da lui leso giorni prima e Everard fu costretto a mordersi il labbro per non mostrare al popolo quel dolore che sentiva bruciargli il corpo. «Spero che tu non stessi parlando veramente di... amore, Everard. Quella è un'invenzione delle streghe, un sortilegio che loro ci appiccicano addosso per impedirci di pensare lucidamente, di essere liberi di agire secondo il nostro volere.»

Everard, ormai pervaso da brividi di rabbia, fu sul punto di ribattere o di mostrare al padre quanto fosse ottuso e stupido. Fortunatamente però, Amelina, notando la spiacevole piega presa dalla conversazione, si avvicinò con un gran sorriso stampato sul volto e afferrò Everard per un braccio. «Amato padre, sono tutti in trepidante attesa di vedere questa strega morire. Aspettano solo il vostro volere...»

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