Parte 18

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Dylan

Mai avrei pensato di correre sotto la pioggia.
Mai avrei pensato che potesse essere in qualche modo così liberatorio.

Stavo affrontando la mia fobia a testa alta, le dita intrecciate alla persona che riesce con la sola presenza a farmi dimenticare i miei demoni.

Non voglio dimenticarli.
Voglio affrontarli una volta per tutte.

Ci ho già provato in passato... Tutti mi hanno sempre spinto a parlarne.
Mi obbligavano a emettere suoni che le mie corde vocali rifiutavano di vibrare per le orecchie che mi circondavano.

Mi hanno spronato, contro la mia volontà, a buttare fuori quei momenti.

Come dimenticare quelle figure armate di taccuino; le ore passate sulle sedie scomode a guardare quei volti che sembravano scavare nella mia testa nonostante il mutismo che avvolgeva la stanza.

Volevano la mia salvezza mentale, ma non hanno mai mostrato la pazienza che questa richiedeva.
Come se rivangare quegli istanti fosse facile; lo ponevano allo stesso livello di uno schiocco di dita.

L'unico accenno di una attesa, desiderata guarigione... i fogli bianchi, la matita abbandonata accanto alla mia destra e la voce che mi ripeteva: disegnala, Dylan.

E io l'ho impugnato quel bastoncino di legno appuntito, ho graffiato quella carta vergine.
Linee, righe quasi si sovrapponevano tra loro, esattamente come nella mia testa.

La pioggia, il fiume d'acqua impressa nei miei ricordi, finalmente era alla portata di tutti.

"È una paura irrazionale, signora Blanc." Ripetevano senza sapere.

Tocco l'uscio del mio laboratorio pronto a cercare le chiavi che ci permetteranno di metterci al coperto, quando la mia Musa mi cinge il collo, per poi avventarsi contro le mie labbra. La schiena impatta sul legno e i nostri corpi collidono, si fondono in un'unica complessa figura.

Le papille gustative intercettano un miscuglio di sapori, cantano estasiate mentre bevo, dalla sua bocca, lei e le gocce piovane che corrono sul suo volto.
Gusto dolce e al contempo salato; mix inebriante.

"Mi sei mancato. Dannazione, mi è mancato tutto di noi!"

La sua sincerità è qualcosa di stupefacente. Più unica che rara.

"Allora siamo in due. Doccia? Calda, intendo."

Annuisce in risposta.

Varcata la porta, ci spogliamo ridendo ogni qualvolta gli indumenti zuppi fanno forza opposta al nostro volere: sembrano incollati, come se afferrassero la nostra pelle contrariati dai nostri sforzi.

La doccia ci accoglie, ma eclissiamo l'idea di afferrare il bagnoschiuma, troppo impegnati a lasciare le nostre impronte, giocare a disegnare sentieri sulla pelle, mentre le labbra schioccano umide su ogni superficie a loro portata.

Un'idea brilla nelle sue iridi un istante prima di vederla scivolare sul piatto di porcellana; una stretta timida sul mio membro eretto, un movimento ritmico, e mi ritrovo a risucchiare l'aria tra i denti appena mi sento avvolgere dalla sua bocca. Cerco sostegno appoggiandomi alle piastrelle lisce, ebbro di mille sensazioni, ma un momento prima di perdere completamente il senno, la fermo riportandola alla mia altezza.

Non devo dire nulla, mi volta le spalle chiedendo di essere inclusa nel finale di questo amplesso rovente.
Mi prendo i miei tempi giocando a mia volta con la sua intimità e saggio la morbidezza delle sue forme.
Non è abbastanza; voglio lambirle, sentire il turgore crescere sulla mia lingua e la libido sui polpastrelli. 

"Perfettamente Imperfetti" Volume III "Lacerata, come pioggia sulla pelle"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora