Parte 30

275 19 93
                                    

Angel

Non pensavo di poter essere più nervosa di quanto sia stata quella sera.

Non posso neanche cercare rifugio in un misero bicchiere di vino, e allentare almeno un pochino la tensione che serpeggia nelle mie vene, per ovvi motivi, pertanto mi costringo a ingoiare l'ultimo sorso dell'analcolico colorato stretto tra le falangi e, prima di stritolare lo stelo fino a romperlo, appoggiarlo sul primo vassoio vagante.

"Andrà tutto bene."

Annuisco. Ma il ricordo della prima è ancora intrappolato nelle sinapsi, e mi sta decisamente rovinando questa seconda possibilità.

"Sento il tuo cuore battere come il tamburo di una batteria heavy metal, Musa."

"Non ti sembra strano, essere qui, di nuovo, come se nulla sia successo?"

"A dir poco. Senza contare tutte queste attenzioni..." Fa riferimento alle numerose occhiate che ci stanno lanciando. "Spero non ci facciano strane domande. Faccio schifo con"

"Le interazioni sociali? Confermo."

Ridacchiamo, e un po' del nervosismo prende la via dei nostri fiati.

"Vuoi sederti? Non dovresti stare in piedi così a lungo."

"Se il mio sedere premuto su una poltroncina mi desse un briciolo di sollievo mi sarei già parcheggiata."

La mia schiena cerca conforto sul suo petto; di riflesso mi circonda in un abbraccio, per poi accarezzare distrattamente la pancia ormai enorme, tanto che i piedi non sono pervenuti alla mia vista.

La folla, attentamente selezionata per questa serata, si muove lenta, scrupolosa nella ricerca dei dettagli delle varie opere lasciate in bella mostra.
Un paio di coppie si fermano davanti alla tela, leggono il titolo sulla targhetta e le loro labbra parlano un discorso muto per le nostre orecchie. Un uomo tirato a lucido prende a scandagliare la sala fino a quando le sue iridi ci scorgono.

Siamo ormai a dicembre.
Cinque mesi dopo il fattaccio, giorno più giorno meno, troppo pochi perché le persone abbiano dimenticato i nostri volti, i nostri nomi stampati sui giornali o proiettati sugli schermi delle televisioni.
Cinque mesi fatti di visite e ginnastica riabilitativa. Difatti, come se il coma e le costole incrinate non fossero state abbastanza, Dylan ha dovuto far fronte a una frattura alla mano dominante, che l'ha obbligato a prendersi una pausa dai pennelli.

A dir suo, un prezzo che ha pagato volentieri. Anzi, sempre ribadito da lui, potesse tornare indietro prenderebbe a pugni Smith lo Stronzo anche con la mancina.

Ma il mio pittore non è stato l'unico a sorbirsi ore e ore sotto le grinfie dei fisioterapisti, anche CJ è stato costretto alla riabilitazione. Il colpo ricevuto dal suo ormai ex amico, barra mio professore di arte, Harvey Collins, alias Stronzo numero due, gli ha procurato una brutta lesione alla spalla.

Mi forzo a focalizzare l'unica nota positiva di tutta quella brutta faccenda: grazie al filmato di zio Josh, alle deposizioni dei presenti, senza contare i numerosi referti ospedalieri, i due bastardi stanno marcendo in prigione, e spero proprio abbiano anche buttato le chiavi delle loro celle, perché gente di quel calibro non merita di vivere alla luce del sole.

La figura in giacca e cravatta, davanti alla nostra opera, alza un dito, come a chiedere il permesso di conferire con noi; il qual gesto mi riporta al presente, lontano dalle elucubrazioni che troppo spesso hanno intasato i miei pensieri.

"Ce l'ha proprio con noi, o sbaglio?" Dylan sussurra piano al mio orecchio.

"A quanto pare, Sherlock.

"Perfettamente Imperfetti" Volume III "Lacerata, come pioggia sulla pelle"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora