Angel
Non ho abbastanza ore di sonno.
Non abbastanza per affrontare tutte queste rivelazioni, almeno.Quando Dylan ha parlato di rifugio, ho immaginato di trovarmi a Brooklyn, a casa sua. Mai avrei potuto pensare di essere in una delle stanze dell'edificio dirimpettaio alla Galleria.
Quando i miei neuroni hanno smesso di farsi la guerra, ci siamo resi presentabili, se lavarsi la faccia e spalmare un po' di dentifricio sui denti col dito può essere considerato come darsi una rinfrescata, e ci siamo diretti verso una colazione, a mio avviso, imbarazzante all'ennesima potenza.
Caffè, brioches e le chiavi della mia postazione di lavoro si sono adagiate sul palmo buono.
Ho dovuto spiegare a CJ, diminutivo barra soprannome che ormai il mio datore di lavoro ha accettato di buon grado, che avrei dovuto aspettare qualche giorno per tornare operativa, ma che non sarei stata con le mani in mano e mi sarei portata avanti con i progetti cartacei della mia creazione.Non ci restò altro da fare se non andare a ficcare il naso nel mio nuovo appartamento e tornare a casa a recuperare un paio di valigie con alcuni effetti personali e l'attrezzatura che non ho segnato sulla loro lista.
Ed eccoci qua, davanti alla porta, chiavi nella serratura, intenti a varcare per la prima volta la soglia.
Un fischio d'apprezzamento lascia le labbra di Dylan.
"Raccomandata!"
"In che senso?" Non mi volto nella sua direzione, sono troppo presa ad ammirare il mio laboratorio creativo.
"È decisamente più grande del mio, non vale!"
Volgo la testa verso l'uscio accanto; ripenso al cavalletto piazzato al centro, al gesto fulmineo con cui Dylan ha nascosto la tela con un asciugamano quella mattina.
Non vuole che veda cosa ha dipinto."Vuoi fare a cambio? Perché se così fosse... dovrai trasportare quel mostro laggiù fino al tuo rifugio." Indico il forno per cuocere l'argilla posizionato in un angolo.
L'ambiente che ci circonda è arredato con toni neutri che spaziano dal nero al grigio. Come per il mio collega pittore, su una parete è stato piazzato un divano letto, sotto l'unica finestra disponibile, un cucinino con un ripiano da appoggio dal quale si intravedono un paio di sgabelli per utilizzarlo da penisola per mangiare. Vicino al mostro di metallo, che so pesare un quintale, un tavolo da lavoro con una ruota girevole, un tagliere di legno e una comoda sedia.
"Anche il bagno è più grande! Ma dai, ti hanno anche preso un mobiletto. Io me lo sono dovuto portare da casa! Ripeto, raccomandata!"
"Sei solo geloso!" Sorrido.
Finisco il tour visivo e mi ritrovo a guardare la figura di Dylan appoggiata con una spalla allo stipite della porta del bagno.
Anche lui mi sta osservando, sembra studiare ogni mio lineamento, ogni mia espressione."Hai già qualcosa in macchina o devi fare un salto a casa?"
Solo una cosa.
Lascio scivolare lo zainetto, muovo la zip e con delicatezza sfilo l'utensile avvolto nel panno."Cos'è?"
Una volta appoggiato sul tavolo, scarto il morbido pacchetto rivelando la lama.
La osservo, pulita, scintillante, placida... come se l'accaduto di poche ore prima non fosse mai successo."Giri armata? Aspetta, è con questo che ti sei ferita!"
Annuisco.
"Non è un'arma, mi serve per tagliare l'argilla. Generalmente non lo porto con me, ma avevo paura di dimenticarlo... La corsa giù dalle scale deve averlo fatto uscire dalla sua protezione e... beh, il resto puoi immaginarlo da te."
STAI LEGGENDO
"Perfettamente Imperfetti" Volume III "Lacerata, come pioggia sulla pelle"
ChickLitAngel è cresciuta in fretta, ha dovuto, non ha avuto scelta. La cecità di sua madre l'ha obbligata a vestire i panni di adulta, quando adulta, ancora, non era. La lama di un bisturi, la vede, la sente sulla pelle, la sogna di notte. Incubo a occhi...