Twenty eight

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M83
(Leggere a fine capitolo.)

25 febbraio.

Strinse le mani in due pugni, la fronte contro il muro di mattoni di fronte a se mentre il corpo cedeva a un lungo e singhiozzante pianto.
Uno di quelli che ti lacera lo stomaco, ti fa stringere i denti come se potessi interromperlo, fermarlo e riavvolgere il nastro.
La mano di sua madre gli strofinava la schiena, per quanto avesse voluto staccarsi e urlare che non aveva bisogno di nessuno; la realtà era ben un'altra.
Si appoggiò alla sua spalla come un bambino, come uno di quelli che non sa come risolvere un problema da adulti.
Aveva pianto poche volte di fronte a sua madre, probabilmente l'idea di piangere in presenza della sua famiglia gli metteva molta pressione.
Non avrebbe mai voluto che nessuno di loro si preoccupasse per la sua salute, sia fisica che mentale.
Ma il cielo di fine febbraio era scuro, freddo e onnipotente sopra la sua testa e il suo corpo non ce la faceva più.
Non voleva che nessuno gli dicesse o addirittura gli promettesse che presto tutto sarebbe finito.
Perché la realtà dei fatti era che non lo sapeva, non aveva assolutamente idea di quando avrebbe smesso di vedere Abigail soffrire così tanto.
Strofinò le mani nei capelli una volta che fu totalmente seduto a terra, la schiena che strofinava il muro di mattoni.
L'esterno dell'ospedale lo conosceva a memoria, tutte le sere quando Abigail si addormentava correva fuori per scoppiare in una crisi di pianto.
Duravano circa venti minuti, alcune volte anche mezz'ora; quella sera tutto sembrava rallentare e durare in modo infinito.
Si era arrabbiato a morte, quando una settimana prima uno stormo di insistenti giornalisti si era accampato dietro un paio di cespugli per scattare una di quelle foto che presto sarebbe finita sulle prime pagine.
Nulla che non si aspettasse, ma credeva che ci sarebbero stati dei limiti.
Che avessero capito la gravità della situazione, ma il loro punto di vista era una foto di Niall che piangeva disperato appoggiato al collo di Jennifer.
Non aveva intenzione di dare spiegazioni, si era solo arrabbiato talmente tanto da aver richiesto un'ordinanza restrittiva nei confronti di alcuni giornalisti.
Era frustrante, dove essere obbligato a spiegare quanto tutta la sua vita fosse diventata un dannato disastro.
Quindi aveva spento il cellulare ed era sparito da ogni tipo di social media.
Non gli importava, non gli interessava come qualcuno avrebbe potuto prenderla.
Ma era la sua dannata vita, Abigail era la sua vita e ora stava cadendo a pezzi.
Si passò le mani sul retro dei jeans per scacciare la polvere, dopo aver convinto sua madre a recarsi a casa era tornato nella stanza di Ab.
Dormiva profondamente, ed era talmente bella da lasciare il fiato sospeso.
La guardava e pensava a come desiderasse al limite della sua volontà, strapparle quei cavi dal corpo e portarla in un posto caldo.
Così che potesse tornare a ridere ad avere le mani tiepide e gli occhi luminosi.
Si stropicciò la punta del naso prima di avvicinarsi e accarezzarle la fronte.
Sorrise pensando a quanto stesse bene con il suo cappellino blu.
Era un blu navy, aveva insistito per averlo di quel colore, che era il preferito di Niall.
Diceva che così sarebbe stata ancora carina per lui, ma la verità era che la trovava dannatamente stupenda con o senza cappellino.
Le sue labbra erano viola, disidratate e le mani morbide e quasi trasparenti.
Si morse forte il labbro per deglutire un ennesimo rivolo di saliva.
Aveva già avuto la sua sessione di pianto, non sarebbe crollato in quel momento.
Ma il suo tentativo di chiudere gli occhi per pochi minuti fu spazzato via da un suono che le sue orecchie, ormai, conoscevano a memoria.
Il corpo di Abigail aveva iniziato a tremare e i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi verdi lacrimavano terrorizzati.
Come un gesto quotidiano, come quando ci svegliamo e sappiamo già che i movimenti successivi saranno spazzolarci i denti, far colazione e vestirci.
Schiacciò il pulsante rosso e corse ad afferrare il suo corpo fra le proprie braccia.
«Niall, ho paura.»
Conosceva Abigail da ormai quasi quattro anni e col tempo si era accorto di come non ci fosse nulla al di fuori dei ragni a terrorizzarla.
E quando aveva incrociato il suo sguardo il suo stomaco si era stretto su se stesso, perché la sua paura era sincera e ricordava perfettamente quanto non fosse terrorizzata dai trattamenti che stava subendo.
Ma di come il dolore che provava fosse talmente tanto forte da avere la sensazioni di morire, la paura di chiudere gli occhi per sempre e lasciarlo lì.
Lasciare la sua vita, lasciarsi andare a quello stupido ostacolo che le aveva distrutto la vita.
«No, non ti lascio Ab, prometto che qualsiasi cosa succederà non sarai sola, non ti succederà nulla fino a quando ci sarò io.»
E come se avessero strappato a un bambino il suo peluche preferito, gli occhi della sua Ab sparirono dietro la schiena di un paio di infermiere.
Sentendo il suo petto bruciare talmente tanto da desiderare di urlare.
Ma nessuno lo avrebbe sentito, quindi appoggiò la schiena al muro e chiuse gli occhi, lasciandosi andare ad una tristezza senza confini.

New Year, second part// N.HDove le storie prendono vita. Scoprilo ora