1. Steve Rogers

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Stati Uniti d'America, molto lontano dall'Italia
1942

Amelia aveva conosciuto Abraham Erskine molti anni prima, alla Stark Expo di New York. Aveva messo da parte dei risparmi per mesi e mesi pur di riuscire ad andarci, pagando il viaggio anche a Pietro e Margherita affinché la accompagnassero, promettendo anche al padre adottivo che gli avrebbe tradotto ogni cosa che dicevano in dialetto.

Abraham l'aveva notata subito, scorgendo la sua figura esile risaltare in mezzo alla folla di ragazzi e sorridendo ogni qualvolta la sua mano si alzava di scatto per fare domande sugli aerei da caccia militari (e non) e sui futuri progetti in quell'ambito. La sua passione per l'aeronautica spiccava come un'oasi nel deserto, così come la sua determinazione, il coraggio e anche quel briciolo di pazienza che le donava una certa eleganza, paragonata a coloro che non rispettavano i tempi d'attesa e pretendevano immediatamente delle risposte precise.

Certo lei non avrebbe mai immaginato che da quel casuale incontro sarebbe nata una forte amicizia, tanto stretta che il dottor Erskin chiedeva la sua presenza per i suoi primi "esperimenti", dandole successivamente un lavoro nell' S.S.R. e un posto sicuro nell'esercito, sebbene il colonnello Philips non le permise di entrar a far parte dell'aeronautica, mettendola semplicemente a controllare i vari allenamenti dei soldati.

«Sono loro?» chiese Amelia ad Abraham, guardando le nuove reclute posizionarsi in fila «È una mia impressione, o sono sempre peggio?»

«Mia cara, se ti riferisci a Steve Rogers, quello "piccolino", sappi che-»

«No no, lo stecchino ha solo bisogno di una buona bistecca, un succo d'arancia e un po' di Crinto per la pressione! Io parlo dell'altro, quello al suo fianco con la faccia da sbruffone. Perché sono tutti così... Pompati? Non mi piace, sembra un bullo. Uno spaccone»

Il dottore sorrise con un angolo della bocca, ringraziando il furgone che li copriva e pregando che il colonnello non la sentisse, sebbene anche lui fosse d'accordo con le parole della giovane.
Lei era molto diretta, diceva ciò che le passava per la testa senza tanti filtri o giri di parole, sebbene questa sua caratteristica fosse stata a lungo limitata dalla scarsa padronanza della lingua inglese.

Nel mentre, Amelia non si accorse di quel piccolo gesto dell'amico, troppo intenta a picchiettare due dita contro la bottiglia di vino che teneva in mano e tenere lo sguardo fisso sul gruppo di uomini che avrebbe dovuto controllare, sentendo un nodo allo stomaco farle venire la nausea.

Le piaceva il suo lavoro, per quanto monotono e ripetitivo stesse diventando, ma l'idea del suo Paese in guerra le toglieva il sonno.
Da quando era scoppiato il conflitto comunicare con Pietro e Margherita era diventato sempre più difficile, e l'idea che potesse succedergli qualcosa la faceva impazzire.
Aveva già perso suo padre nella Grande Guerra, aveva sentito il suo cuore spezzarsi mentre l'aereo dei Baracca cadeva al suolo, come se fossero sempre stati connessi. Da allora la sua famiglia erano i due coniugi, Pietro e Margherita, il suo tutto, e l'idea di perdere pure loro mentre lei era in America la faceva sentire inutile, quasi colpevole, sebbene fosse consapevole che quel ragionamento era alquanto irrazionale.
Molte volte si svegliava di soprassalto durante la notte, immaginando il suo piccolo quartiere in mezzo alle fiamme e il fiume Piave sporco di sangue, mentre i suoi coetanei con cui era andata a scuola cadevano uno dopo l'altro sotto il fuoco nemico. E in tutto quello lei era lì, al sicuro, viva e protetta.

«Melli,» la riportò alla realtà Erskin, salvandola da quel vortice di negatività «Sai che Rogers non è la mia prima scelta, vero?»

«Lo so» rispose lei a bassa voce, porgendogli la bottiglia che teneva e preparandosi a raggiungere gli altri uomini «Ma tu sai già la mia risposta. A me non interessa, non sprecare dosi preziose per me. Inoltre, sai bene cosa penso riguardo al mio carattere quindi... No. Non sono la scelta giusta, credimi. Togliti il mio nome dalla testa e pensa a convivere Philips riguardo al tuo "piccolo soldato", perché non sarà affatto semplice»

***

Nel frattempo, Steve Rogers si stava posizionando affianco a tutti gli altri, tenendo lo sguardo basso fino a quando una voce femminile non lo obbligò ad alzarlo e, per un istante, gli fece perdere un battito.

Una donna si stava avvicinando a loro, camminando con passo sicuro e incrociando le braccia al petto poco prima di parlare, mettendo così in risalto la piccola bandiera italiana che teneva legata al polso destro e i suoi abiti verde militare leggermente attillati. Al viso aveva un solo filo trucco, giusto quel che bastava per rendere i suoi occhi ancor più luminosi e le sue labbra più rosse, un tocco di colore che non passava certo inosservato sulla sua pelle abbronzata.

«Sull'attenti, soldati. Io sono l'agente Baracca, sì, la figlia del Maggiore Francesco Baracca (che mi auguro sappiate chi sia, o dovrò rimandarvi alle elementari), e a quanto dice il colonnello dovrò supervisionare questa divisione» disse lei sicura, passando lo sguardo su tutti i presenti

«Uh, una leggenda in mezzo a noi, quindi» interruppe il suo discorso il soldato più vicino a Rogers, facendo innervosire anche quest'ultimo «Cosa è successo, fanciulla, avete perso la strada di casa?»

«Boh, sinceramente penso di essere nel posto giusto, io» rispose con calma l'agente, facendo un passo verso di lui e tenendo una freddezza nella voce che era quasi inquietante «Ma temo che invece a voi sia caduta la dignità. Permettetemi di aiutarvi a raccoglierla»

Prima ancora che il giovane potesse rendersi conto di cosa volevano dire quelle parole lei lo colpì in pieno viso con un pugno deciso, facendolo cadere all'indietro e gemere dal dolore, mentre pure Steve sussultò leggermente a quell'attacco improvviso e si ritrovò a fare involontariamente un passo di lato.

Era stato tutto troppo rapido e violento per metabolizzare bene cosa era successo, come un proiettile che ti colpisce dritto nel petto e ti spezza il cuore, anche se nel caso in questione ad essere stato ferito era l'orgoglio.

«Stai già insegnando ai miei soldati le nuove maniere, agente Baracca?» intervenne il colonello Philips, ordinando subito dopo all'uomo di rialzarsi e ignorando quel filo di sangue che gli rigava il labbro

«No, ceh, io non ho fatto nulla, a dire il vero» partì in difesa la donna, alzando dapprima le mani ma poi iniziando a muoverle in modo scomposto, come per dare più enfasi alle sue parole «Diciamo che il mio braccio ha avuto una reazione solo in parte involontaria al tono di voce da lui usato precedentemente e il mio sistema nervoso ha fatto sì che la mia mano scivolasse con forza contro il suo viso, provocandogli una lesione e una conseguente umiliazione in pubblico. Ma, come ho detto, è stato tutto alquanto reattivo e non propriamente volontario»

Steve sorrise istintivamente a quella risposta, notando come il suo comportamento era cambiato notevolmente difronte a delle persone di grado diverso e che conosceva da più tempo, così come il suo accento italiano, che parve farsi meno marcato in vista del colonnello. Erano piccoli dettagli, certo, ma pareva quasi che lei volesse tenere alla larga ogni soldato lì presente, dimostrando il suo vero essere a chi già la conosceva e si era già fatto un'idea ben precisa della sua personalità.

Al contrario di quanto dimostrato prima, ora i suoi modi di fare sembravano quasi dolci e imbarazzati, come una fanciulla sorpresa a rubare i biscotti dalla dispensa. Le guance le si erano arrossate leggermente e le labbra piegate in una smorfia, un vano tentativo di sembrare totalmente innocente e innocua.

Philips negò leggermente con la testa alle sue parole, aggiungendo qualcosa riguardo al fatto che Erskin la stava aspettando e dicendole di andare immediatamente, mentre Steve perse un ulteriore battito quando la vide dirigersi verso di lui.
Le guance gli si scaldarono e si sforzò di tenere la mandibola serrata quando l'agente le si bloccò ad esattamente un passo dal suo viso, preparandosi mentalmente a ricevere un altro pugno. Lei, invece, non disse nulla, studiandolo velocemente con lo sguardo e allungando una mano per sistemargli l'elmetto, decisamente troppo grande.

«Dovremmo creare delle taglie più piccole» sussurrò la donna, dandogli una lieve pacca sulla spalla e poi allontanandosi in silenzio, con tutti gli occhi puntati addosso ma i suoi rivolti esclusivamente verso il cielo.

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