12. Gelosie e incomprensioni

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Melli si era svegliata tardi quella mattina, dato che durante la notte non era riuscita a chiudere occhio. Continuava a ripensare alla sera precedente, all'abito formale che indossava Steve, al modo delicato che aveva in cucina e soprattutto a quando si erano messi a parlare e lei lo aveva zittito facendogli mangiare uno dei suoi spuntini preferiti. 
Quella scena gli era entrata in testa come una canzone d'osteria, anche se ogni volta che ci pensava sentiva un formicolio allo stomaco che la portava a sorridere automaticamente, gesto che le dava il nervoso, sinceramente.
Non riusciva a capire cosa le stesse succedendo, e sperava vivamente che nessuno se ne accorgesse, anche se, parlando in tutta onestà, quello "stato d'animo" non era poi così male. 
Era "nuovo", certo, ma non tutto quello che è nuovo deve per forza essere malvagio.

Pensando a tutto ciò si vestì in fretta con le prime cose che trovò nell'armadio, finendo di sistemarsi la camicia mentre andava in contro a Stark, con cui aveva l'incontro per provare le divise e scegliere le armi.

«Problemi con l'outfit?» scherzò Howard, vedendola entrare nella stanza mentre lisciava i polsini e finiva di mangiare una fetta di pane

«Lo so, lo so, sono in ritardo» rispose lei, cercando di tagliar corto quella discussione

«A dire il vero sei perfettamente puntuale, è gli altri giorni che sei in anticipo. Dai, vai a chiamare Steve che sta aspettando qui fuori»

Lei per una volta non rispose, limitandosi ad annuire e uscire in corridoio, dato che le sembrava comunque di essere arrivata in ritardo ed essere, in un certo senso, "in errore". Odiava la mancanza di puntualità e di precisione, soprattutto a lavoro. 

Percorse in fretta quei pochi metri che la separavano dal capitano, sentendo una strana adrenalina metterle fretta e farla arrivare al posto d'attesa in breve tempo, con un mezzo sorriso che si spense non appena arrivò e vide con chi si stava intrattenendo il soldato.
Una delle agenti teneva Steve per i lembi della giacca, baciandolo appassionatamente e poggiandosi alla scrivania mentre lui la reggeva per i fianchi e la stringeva a sé

«Rogers!» lo chiamò, rendendosi conto di aver usato un'accento italiano un po' troppo marcato e dovendo concentrarsi per tornare a parlare in inglese, tenendo a mente di non far tremare la voce come le stava per capitare «Se per voi non è un problema Stark vi sta aspettando. Sempre se avete finito di fare i vostri comodi e non siete troppo impegnato, certo»

A sentire la sua voce il capitano fece uno scatto all'indietro, passandosi una mano davanti alla bocca e inseguendo la Baracca, che però accelerava sempre di più.

Le era parso di aver ricevuto un palo d'acciaio dritto in faccia, o di essere stata investita da un treno. Aveva provato una fitta al cuore, arrivata con la stessa velocità di un proiettile. 
Si sentiva strana, vuota, come se le avessero tolto qualcosa da dentro e ora le mancasse un pezzo importante per essere viva.
Tutta quell'adrenalina che provava prima, quello scarico di emozioni che la portavano a vedere il mondo di modo diverso era improvvisamente finito, facendola cadere nuovamente in uno stato di apatia e freddezza.
"Non deve importarmi" si ripeteva "Lui può avere la sua vita. È giusto così. Non è affar mio. Stop. Fine. Devo esser felice per lui, invece. Non è affar mio." 

«Amelia... Amelia, aspetta! Melli!» la chiamava nel frattempo lui, prendendola per l'avambraccio e obbligandola a fermarsi «Ti prego, non significava nulla, non-»

«No no, va bene. Non vedo perché tu debba darmi delle spiegazioni. Si tratta della tua vita, sei libero di fare ciò che vuoi. Insomma, non sono tua madre e neanche la tua ragazza, non devi darmi alcuna spiegazione. Siamo colleghi, dopotutto. Nulla di più. Certo, sei parecchio incoerente se vieni a dire che non riesci a trovare la "compagna giusta" e poi questa si trovava proprio dietro l'angolo, non trovi?» 

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