Capitolo 11 - Rabbia

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Ciao a tutti! Sono rimasta sorpresa dell'ottima accoglienza dello scorso capitolo (record di voti per MKoD 2 💕), e anche se so che mi odierete per questa parte (mi sono odiata parecchio pure io mentre la scrivevo 😒) vi ricordo che per avere i lieti fini che tanto ci piacciono, prima le cose devono andare male. Abbiate fiducia, ne varrà la pena 😌

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Non ricordo molto dei giorni successivi. 

Ho dei flash di quando sono a casa sola, mentre mi osservo la pancia allo specchio. Non è come in una di quelle stupide pellicole dove la protagonista ha un ventre ultra-piatto e se lo accarezza poeticamente. La mia ciccia c'è ancora, tutta. Ma quella avevo imparato a conoscerla, a comprenderla. A tollerarla (qualche volta). 

Mi immagino a perdere la mia indipendenza per colpa di quel qualcosa che sta crescendo dentro di me, di perdere Lando se avessi fatto la scelta sbagliata. Se quel qualcosa mi avesse fatto perdere la cosa più bella mai capitata in vita mia... il solo pensiero mi fa montare una rabbia incontrollata. Che dura poco, perchè quel qualcosa non ha colpa.

Ma alcuni giorni dopo succede. Sono a casa sola, e mi sveglio da un pisolino pomeridiano provando una sensazione che non provavo da quando ero una bimbetta. Sento umido sotto di me, e quando noto la mia mano macchiata di sangue mi sento mancare. 

Poi entra in funzione il pilota automatico. Mi copro come posso e vado in ospedale. Spiego la mia situazione e vengo accudita da un medico e due infermiere molto gentili e amorevoli, non avrei potuto chiedere di meglio. L'assistenza e i farmaci mi fanno rilassare, mi addormento. 

Quando mi sveglio è buio all'esterno, vedo il profilo di una persona contro la finestra, ci metto un secondo a riconoscere Lando. "E' tanto che sei qui?"

"Un po'." Non si avvicina, non si volta nemmeno a guardarmi. Io vorrei solo un abbraccio. "Dimmi che non l'hai fatto."

"Cosa?"

"Dimmi che non hai cercato di disfartene per conto tuo."

Quelle parole mi fanno l'effetto di una granata nel cervello. A fatica trattengo un conato che mi squassa lo stomaco. "Vattene."

"Voglio una risposta."

"Il solo fatto che tu abbia pensato una cosa del genere mi dà il voltastomaco. Non voglio averti qui."

"Io ho bisogno di..."

Non ascolto nemmeno come prosegue, uso il campanello per richiamare l'attenzione di un'infermiera. E lo faccio allontanare, chiedendo che non gli venga più consentito l'accesso alla mia camera. 

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Quando vengo dimessa torno dai miei genitori e parlo con entrambi, racconto tutto quello che è successo. 

Mia madre mi abbraccia per quelle che sembrano ore, mentre mio padre dice solo tre parole, tre parole che non gli ho mai sentito pronunciare in nessuna occasione, neanche per scherzo. "Io lo ammazzo." Ci metto diversi giorni a calmarlo, a impedirgli di partire armato per Maranello. 

Nel frattempo mia madre decide di restare a casa da lavoro per accudirmi. Ogni momento è accanto a me con un dolcetto, una tazza di tè, una carezza, una parola di conforto. 

Sono poche le persone con cui voglio parlare. Lando mi cerca alcune volte, ma appena vedo il suo numero comparire sullo schermo del telefonino lo devio sulla segreteria telefonica. Dopo circa due settimane desiste. Non sto neanche seguendo più il campionato, non so se qualcuno si è accorto della mia assenza. Non mi importa. 

Devo lavorare su me stessa a lungo per capire che questo aborto spontaneo non è stato un mio fallimento. Perchè sì, questo figlio non l'avevo effettivamente programmato o voluto. Ma non avere più il controllo del proprio corpo è una cosa che atterrisce.

Al di là del supporto della mia famiglia, ho alcuni colloqui con una psicologa che mi aiuta a fare chiarezza su diverse cose. 

Quella che mi terrorizza più di tutte è che mi fa capire quanto sia grande quella parte di me stessa che ho perso da quando ho incontrato Lando. Una cosa della quale non mi ero minimamente resa conto.

"Ognuno ha un proprio modo di amare e accudire qualcuno per cui prova dei sentimenti così forti. Per cui non esiste un modo giusto o sbagliato. Ma al di là di aiutare quel qualcuno, hai bisogno di un altro scopo nella vita. Alcuni curano quel vuoto con i figli, e non esiste nulla di più sbagliato. Ai più basta una professione, un hobby. Pensaci. Cosa hai fatto per te, soltanto per te, nell'ultimo anno?"

Il lungo silenzio che segue questa riflessione si spiega da sé. "Qui non stiamo più parlando del mio aborto però." Obietto poco convinta.

"Perchè tu quello l'hai superato. L'hai assorbito e accettato nel momento in cui hai affrontato la questione con i tuoi genitori, solo che ancora non te n'eri resa conto. Il vero problema qua, è la reazione di Lando a tutto questo." Ha ragione, ha maledettamente ragione. "Cosa hai provato quando ti ha chiesto se avessi abortito per scelta tua?"

"Delusione. Tristezza." Ma non era solo quello. "Ero arrabbiata, ma mi sono sentita come un bambino colto con le mani nella marmellata."

"E tu lo sai perchè ti sei sentita così."

Ovviamente lo so. Perchè io non ero mai stata pronta per mettere al mondo un figlio, e averlo perso mi aveva sorprendentemente risolto una situazione in cui ero bloccata. Avevo fiducia che Lando mi avrebbe aiutato, supportato, e la sua accusa mi aveva colto in fallo e buttata a terra. 

Per questo era così difficile perdonarlo, perchè prima di perdonare lui avrei dovuto perdonare me stessa. 

E io è da quando ho 11 anni che non riesco a perdonarmi nulla.

My kind of drug 2 // Lando NorrisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora