duh, i answered your prayer

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Avevo la testa appoggiata su qualcosa di poco familiare. Non era un cuscino, a giudicare dalla consistenza, ma non era neanche il pavimento, perché altrimenti sarei stata decisamente più scomoda. La luce sopra di me era così fioca che, quando aprii gli occhi, non fui neanche accecata.

"Ma che...?" mugolai e provai a mettermi a sedere, soltanto che mi cedettero i polsi e fui costretta a riallungarmi.

"Fai piano. Sei pur sempre sdraiata sul mio stomaco."

Mi voltai e incontrai lo sguardo di Natasha, che si limitò a farmi un sorrisino e poi tornò a socchiudere gli occhi, con la testa appoggiata contro il muro.

"Quanto tempo è passato?" chiesi, tentando di mettermi seduta per la seconda volta. Ci riuscii, e finalmente potei abbandonare anch'io la schiena al muro. Alla mia destra, la parete era di vetro, ma supposi che fosse antiproiettile. La cella nella quale eravamo ridava su un corridoio asettico, quindi non c'era molto da guardare se non il pavimento candido oppure la parete bianca davanti ai nostri occhi.

Nat soppresse un grugnito di dolore e strizzò le palpebre. "Se sono ancora in vita, non più di un'ora."

Mi piegai leggermente in avanti e notai che la sua tuta nera era bagnata all'altezza del petto. Sfiorai il tessuto e la punta delle mie dita si tinse di rosso. "Ti hanno sparato."

La rossa riaprì gli occhi e un angolo delle sue labbra si sollevò. "Sempre perspicace," disse con lo stesso tono che aveva usato Ophelia – con la differenza che lei la stava prendendo in giro. "Questo è il dannato giorno in cui muoio." aggiunse a bassavoce.

"Non ti permetto di dire una cosa del genere," ribattei mentre mi mettevo in ginocchio per premere il foro di proiettile col palmo della mia mano. Era troppo vicino al cuore. Ogni battito, ogni respiro della mia amica, era un passo in più verso la morte. "Non osare lasciarmi così, Romanoff."

Natasha prese un respiro profondo, ma che parve farla soffrire molto. "Andiamo, Zelda, guardami; ti sembro una persona che si riprenderà? Che arriverà agli ottant'anni come una qualunque altra persona normale e morirà di vecchiaia?"

Contrassi la mascella e la guardai negli occhi, dritto in quel pozzo verde smeraldo che erano le sue iridi. "Finiscila. Siamo entrate in due, usciamo in due."

"Uscirai da sola, stavolta."

"Maledizione, Natasha!" sbottai, forse a voce più alta di quanto avessi voluto. "Sei una Vedova Nera! Un'ex-spia russa che io stessa ho allenato! Questa non è la tua fine. Non morirai in una cella, dissanguata come un animale da macello."

La mia era ostinazione. Paura, anche. Natasha non poteva lasciarmi così, non dopo tutto quello che aveva fatto per me. Era l'unica persona dopo Bucky che capisse per davvero quello che provassi. L'unica che mi aveva consolato in quel momento di debolezza a Central Park. L'unica che mi aveva trattato come un essere umano quando ero arrivata per la prima volta alla Torre. Una lacrima di rabbia rotolò lungo la mia guancia, e Natasha non esitò ad asciugarla con il dorso della sua mano.

"Accanirti così tanto alla mia vita è ridicolo, Zelda. E se invece io voglio morire oggi?" continuò la donna, il suo tono serio ma con una punta di divertimento.

"Ti vengo a riprendere nel Valhalla – e poi sono cazzi amari."

"Non ne dubito," Natasha chiuse di nuovo gli occhi per un paio di secondi. Poi, tornò a guardarmi. "Hey, Zelda?"

Abbozzai un sorriso, ma la verità era che ero sull'orlo di piangere. Non potevo perderla, non me lo sarei mai perdonata. "Sì?"

"Se per davvero io non ne uscirò viva..."

𝒕𝒉𝒆 𝒆𝒏𝒅 𝒐𝒇 𝒕𝒉𝒆 𝒍𝒊𝒏𝒆 [✓]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora