LO SCONTRO

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Il giorno dopo, salgo in ascensore al volo mentre si stavano chiudendo le porte, avevo le borse della spesa e non avevo visto che dentro c'era Jack.

Ormai era tardi, era fatta, ed erano pure nove piani.

Mi saluta, io ricambio, eravamo pur sempre vicini di casa, lui prova a dire qualcosa e in quel momento va via la luce e l'ascensore di blocca.

Da non credere, eravamo chiusi dentro. Mi era già capitato in passato coi bambini e anche se soffro un po' di claustrofobia avevo mantenuto la calma, visto che c'era Lorenzo che stava già calcolando per quante ore saremmo potuti sopravvivere senza aria e quindi avevo dovuto prima, cercare di rassicurare lui.

Ma questa volta, ero già in ansia perché eravamo solo noi due, in più, l'ascensore era minuscolo e non si vedeva niente.

Lui sapeva della mia fobia del buio e mi chiede se potesse fare qualcosa, ma io non volevo cedere, mantengo i nervi saldi e rispondo che era tutto a posto.

Fui anche un po' acidina, come uno yogurt bianco andato a male.

Mi stavo trasformando in una di quelle vecchie zitelle sempre scortesi e pronte a vendicarsi sul prossimo. Un po' come la mia vecchia professoressa di fisica delle superiori, era il terrore della scuola, arrivava la mattina con quel sorrisino satanico e diceva che la notte prima aveva pensato ad un bel problemino da darci oggi in classe, ovviamente con il voto sul registro che non superava mai il quattro.

Ma torniamo a noi, dentro di me ero ancora così arrabbiata con Jack, invece lui faceva tutto il tenero e questo mi innervosiva ancora di più.

Poi con tono deciso, dice che a questo punto non avevo scelta e dovevo ascoltarlo!

Dopo il mio incidente, ogni notte si svegliava con gli incubi, gli mancava l'aria, si sentiva male, aveva degli attacchi di panico.

Sognava che al suo arrivo in ospedale, il dottore dicesse che non ce l'avevo fatta. Si sentiva, come se la sua vita non avesse più un senso.

Non poteva farcela, il dolore sarebbe stato troppo da sopportare ed era spaventato da tutto questo.

I brutti ricordi erano tornati a galla e questa volta sarebbe stato anche peggio. Non sapeva come gestire queste emozioni e la soluzione più semplice gli era sembrata di andare via per un po'.

"E allora perché non me lo hai detto?! Avrei potuto capire! Invece hai lasciato che le cose andassero così. Se davvero ti fosse importato, avresti fatto qualcosa, ti saresti fatto aiutare" gli rispondo.

Lui ripete che mi ama, che non aveva mai smesso di amarmi, che aveva sbagliato e che se solo gli avessi dato un'altra possibilità....

La luce finalmente torna e in un secondo ero fuori dall'ascensore, lo guardo e dico che non avrei potuto vivere con qualcuno, sapendo che se mi fosse successo qualcosa, non sarebbe neanche stato in grado di badare ai miei figli.

E che poi non mi sembrava così disperato visto che si vedeva con quell' antipatica di Erica.

Tenta di spiegarmi che non sapeva neanche come avesse avuto il suo numero, che l'aveva incontrata una sera al bar con tante altre persone. Prima di quella telefonata non si ricordava neanche chi fosse e che quella sera era andato a prendere sua sorella all' aeroporto.

Resto un po' spiazzata, non sapevo che dire, allora entro in casa e gli chiudo la porta in faccia.

Mi mancava il fiato, non credo fosse per l'ascensore, quanto per quello che gli avevo detto e come glielo avevo detto. Tutti quei mesi di silenzi, di cose tenute dentro. Mille volte nella mia testa avevo pensato a cosa gli avrei detto, se ce lo avessi avuto di fronte, ma ora che era successo, dentro di me sapevo di avere proprio esagerato.

AI CONFINI DEL CIELODove le storie prendono vita. Scoprilo ora