Sempre

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Sacrificare la propria vita per quella di un'altra persona: non c'è gesto d'amore più grande.
L'essere umano, così dannatamente attaccato alla vita per natura, raramente riesce a compiere gesti simili. D'altronde, l'istinto di conservazione detta legge all'interno del corpo, ponendo se stessi e la propria sopravvivenza al di sopra di quella di chiunque altro.
Per riuscire dunque a compiere un gesto simile, bisogna sostanzialmente mandare in tilt questo sistema. Come? Ritenendo la persona salvata necessaria alla propria sopravvivenza a tal punto da far percepire all'istinto che, senza quella persona, noi stessi saremmo impossibilitati a restare su quella grande giostra chiamata vita. Detta in parole più semplici, sapere che con quella persona saremmo morti anche noi.
Questo, è il punto più estremo e quasi inarrivabile dell'amore.
E lui ci era arrivato.
A me, però, di ciò poco importava. Non l'avrei mai e poi mai perdonato. In fondo, aveva infranto la promessa: tornare da me.

Quando mi svegliai, venni sferzata da una fortissima folata di vento. A causa del mio stato di stordimento, pensai ingenuamente di trovarmi ancora nel mio letto. Tuttavia, quando mi misi seduta e mi girai guardandomi un po' intorno, vidi di tutto tranne che la mia, o per meglio dire la nostra, camera.
Come un martello sulla tempia o come una coltellata in pieno petto, capii di trovarmi sopra le mura. Tutti gli eventi di poco prima tornarono alla mente come fossero accaduti da pochi secondi.
La fitta.
Le fauci.
Levi.

Appena quel nome, quel volto, mi apparirono nella mente, mi guardai intorno freneticamente, passando in rassegna un volto dopo l'altro delle persone radunate intorno a me.
Sapevo mi avrebbe fatto male il doppio illudermi fosse vivo, ma non ebbi altra scelta. Pregai di sbagliarmi. Pregai che, dopo aver perso i sensi, lui fosse miracolosamente riuscito a uscire dal gigante. Pregai che tra tutti quegli occhi che mi guardavano scossi, senza sapere cosa dirmi, incrociassi quelle gelide pozze blu che mi avevano sempre osservato, sia nei momenti peggiori che in quelli migliori.
Pregai, pregai e pregai ancora.
L'unica cosa che però arrivò fu solo un enorme schiaffo in faccia dalla realtà.
Mi aveva dato tutto. Mi aveva dato il suo cuore, il suo amore, il suo cognome, addirittura un figlio senza nemmeno saperlo. Solo per poi portarsi via tutto.
Lui, così come mi aveva raggiunto, se ne era andato. Per sempre.

Un dolore così forte non l'avevo mai provato. Prima che chiunque potesse dirmi qualcosa, le lacrime cominciarono a scorrere copiose sulle mie guance. Le braccia, con le quali prima ero riuscita a mettermi seduta, cedettero, facendomi piombare a terra nuovamente. Il mondo esterno fu come non esistesse, perché, nonostante fossimo con buone probabilità ancora nel bel mezzo della missione, l'unica cosa a cui riuscii a pensare fu lui, e lui solamente. Il suo volto, i suoi occhi, le sue mani, il suo corpo, la sua voce. Quando mi sorrideva, quando si arrabbiava, quando combatteva. Quando faceva l'amore, quando impartiva ordini, quando beveva il suo maledetto tè. Quando sussurrava una parola dolce all'orecchio, quando provocava, quando era semplicemente Levi.
Un milione di quando, un milione di scene a cui non avrei più potuto assistere.

Credevo l'unico modo per farlo uscire da lì, dalla mia testa, fosse urlare, e così feci. Urlai il suo nome e mille altre cose. Urlai così forte e così a lungo da sentire i polmoni prendere fuoco. Con le mie grida e con il mio dolore avrei potuto abbattere quelle maledette mura.
L'unica ad avvicinarsi a quell'ammasso di ossa e carne senza vita che era il mio corpo, fu Hanji. Io non lo sapevo, ma era stata lei a trarmi in salvo dopo che avevo perso i sensi.
Non disse nulla, semplicemente mi prese tra le sue braccia, lasciandomi tirare fuori tutto il dolore che avevo dentro.

Dopo minuti, forse ore, passati in quella condizione, non ebbi più lacrime da piangere, né parole da urlare al vento.
<Ziva> mi chiamò solo a quel punto la ragazza che mi era stata accanto. Prima di girarmi nella sua direzione, mi guardai intorno. L'unica cosa che riuscii a percepire dallo sguardo dei presenti, fu la pietà, in ogni sua forma. Alcuni tra i pochi rimasti avevano addirittura gli occhi pieni di lacrime dopo aver assistito a quell'orribile spettacolo.
<Devi essere forte per lui> mi disse poi la bruna, mettendomi una mano sulla pancia.
A quel punto, accecata dalla rabbia, la mia voce si incrinò.
<Essere forte? Come puoi anche solo pensare che riuscirò a donare la vita a qualcuno, se non voglio nemmeno più la mia? Sarei dovuta morire io lì, tra le fauci di quella bestia! Se lui è morto, allora lo sono anch'io>

Ombre - Levi AckermanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora