1. Neil

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Un'altra zanzara. L'ennesima.

Neil strizzò gli occhi nella penombra, puntando al soffitto segnato dall'umidità. Eccola lì, posata comoda sulle pareti ad assaporarsi la vittoria.

«Eh no! Stavolta me la paghi!»

Accese la lampadina appesa con un gancio al letto a castello; l'ombra che ora la zanzara proiettava accanto a sé dava l'impressione che questa avesse d'improvviso raddoppiato le sue dimensioni. Furtivo come un ladro, Neil si mise in piedi sul letto sfatto, piegandosi per non sbattere la testa; mezzo secondo dopo, il telefono prese a squillare ostinato.

Neil restò un momento nell'indecisione, poi si avviò imprecando verso la minuscola cucina. Odiava il telefono quasi più delle zanzare. Sollevò di malagrazia la cornetta, schiarendosi la voce impastata con un colpetto di tosse.

«Pronto?»

«Neil, sono io. Torno più tardi, stasera, lavoro fino alle nove.»

«Capito... Tutto ok, mamma?»

«Ti dico solo che, se tutto va bene, forse mi pagheranno gli straordinari.»

Il cuore di Neil perse un battito. «Oh, finalmente!»

«Almeno potremo fare qualche spesa extra. Scappo, ora. A stasera!»

«Buon lavoro!»

Neil riagganciò il telefono e tornò nella sua stanza. Evitò il grosso specchio nell'ingresso: gli avrebbe restituito l'immagine squallida di un ragazzo alto e allampanato, coi capelli fuori posto, le spalle curve, l'aspetto trasandato di chi non ha ancora preso il suo posto nel mondo. Per non parlare del naso! Grande, troppo per la sua faccia, e dalla forma davvero ridicola, schiacciato alla base e più lungo sulla punta. Lo odiava, come odiava quasi tutto di sé e del suo corpo sottile come un filo d'erba secca.

Non era certo come gli altri ragazzi della sua età: belli, con gli occhi verdi o azzurri, lo sguardo penetrante e il fisico pompato, di quelli che piacciono alle donne. Invece a lui le ragazze non lo degnavano di uno sguardo; anzi, ogni tanto qualcuna gli lanciava un'occhiata di sdegno a cui Neil rispondeva con l'immediato desiderio di essere inghiottito dalle viscere della terra.

Non era affatto facile essere brutti; non lì, in quel mondo perfetto dove chiunque poteva azzerare ogni difetto in meno di un secondo: il tempo di mandar giù una pillola.

Neil si arrampicò sul letto e si stese a pancia in su, gli occhi spalancati nella semioscurità delle persiane socchiuse. Dormiva nel letto di sopra: quello in basso aveva la rete sfondata e Neil lo usava come deposito di vestiti, dato che il suo armadio era troppo stretto per contenere tutte le sue cose. Quando si fu abituato alla poca luce, vagò con lo sguardo alla ricerca della maledetta zanzara che lo aveva svegliato, per ammazzare il tempo – oltre che la zanzara – in attesa che sua madre tornasse a casa.

Se la pillola avesse potuto donargli una vista laser o una fortuna sfacciata, non ci avrebbe pensato due volte. E invece, si limitava a rendere i corpi perfetti e in salute. Nessun superpotere: solo felicità, energia e bellezza divina, per sempre.

Non che fosse roba da poco. A Neil sarebbe bastato, per essere felice, anche solo che qualcuno lo considerasse. Ma aveva scelto di restare fedele a se stesso, al suo corpo imperfetto e al suo carattere difficile. Aveva scelto la via dell'emarginazione, e lo sapeva bene, ma almeno la sua vita non dipendeva da una pillola, com'era per la gran parte delle persone che incontrava sulla sua strada.

«La vera bellezza non è quella esteriore» gli diceva sempre sua madre, «ma quella che teniamo nel cuore e mostriamo a chi merita il nostro amore». E poi, a essere sinceri, Neil di certo non era un bel ragazzo, ma non era neanche così tanto brutto. Era normale, tristemente e terribilmente normale.

Rumore di clacson. Prima uno solo, poi altri due, tre, cinque, venti.

Neil balzò in piedi, curioso. Aprì appena le imposte e scrutò oltre i vetri incrinati della finestra. Non si vedeva niente. La spalancò, lasciando entrare i suoni e gli odori della città, e si sporse fuori.

Un semplice ingorgo. Un automobilista incapace di parcheggiare. E una macchina ferma in mezzo alla strada senza un motivo apparente.

Deluso, fece per tornarsene a letto, ma gli venne in mente che il lavandino della cucina straripava di piatti sporchi. Non aveva nessuna voglia di lavarli, ma se lo impose. Lo doveva a sua madre, che lavorava dodici ore al giorno per uno stipendio da fame, e quando tornava fingeva di star bene, ma in realtà a stento si reggeva in piedi.

Le sue giornate erano così, tutte uguali. Neil badava alla casa in assenza della madre, si sdraiava sul letto o sbirciava fuori dalla finestra, sperando di riuscire a vedere qualcosa di interessante. Ogni tanto accendeva la televisione, ma si innervosiva subito e la spegneva con un pugno.

Non aveva amici sani di mente con cui parlare, persone che non lo criticassero per le sue scelte; a parte Anandria. Ma anche Anandria lavorava tutto il giorno e non aveva quasi mai tempo per lui. Faceva la lavapiatti in un ristorante del centro: un mestiere già di per sé faticoso, che i suoi colleghi facevano diventare umiliante.

«Se si libera un posto, te lo faccio sapere!» gli diceva sempre, speranzosa. Neil la ringraziava, ma in fondo sperava che non accadesse. Non perché odiasse i lavori umili: era scontato che agli emarginati sociali come lui spettassero solo mansioni del genere. Ma Neil non era in grado di gestire l'ansia e lo stress come faceva Anandria, e il contatto con le persone non faceva al caso suo.

E poi detestava lavare i piatti. Tipo adesso: l'acqua ormai era diventata fredda da un pezzo, qualche goccia si era infilata sotto ai guanti e per terra, colpevoli le perdite dei tubi, si era già formata una piccola pozza di liquido schiumoso.

Quello di Anandria era un lavoro pietoso, ma almeno lei poteva mantenersi da sola. Anche se veniva sfruttata e sottopagata, riscuoteva regolarmente uno stipendio tutto suo. Neil invece non riusciva a trovare nulla che lo soddisfacesse. Subito dopo la scuola, aveva ottenuto un piccolo impiego in una ditta di ferramenta, e qualche mese dopo aveva lavorato nel retrobottega di un vecchio orafo; in entrambe le occasioni, era stato presto sostituito da giovanotti ben più forzuti e appariscenti di lui. L'ultima prova lavorativa che aveva avuto era stata fare il magazziniere in un grande supermercato; anche qui, il suo fisico minuto lo aveva penalizzato, costandogli un licenziamento inaspettato solo perché non era riuscito a sollevare una cassa piena di articoli da cucina, grossa il doppio di lui e pesante il triplo. Da allora, Neil era rimasto a casa quasi tutti i giorni, aspettando il nulla fino a sera, nella sua vecchia camera coi muri ammuffiti.

Quando finì di lavare i piatti, asciugare la pozza e stiracchiarsi la schiena, Neil si affacciò alla finestra del salotto. Sporse appena la testa in fuori e la cappa onnipresente di fumo e smog gli invase le vie respiratorie, facendolo tossire più volte.

La strada era ingombra di automobili, persone affaccendate e degrado. Il cielo minacciava un acquazzone: erano le prime piogge di settembre. Ma ciò che lo attrasse come una calamita fu il grosso cartello che pareva sbucato dal nulla sulla facciata principale della palazzina di fronte, con l'intonaco di un giallo acceso e gli infissi scuri e scrostati.

«Ieri non c'era...»

Era un manifesto pubblicitario, appiccicato in malo modo sul muro, che ritraeva una ragazza bellissima, con i capelli biondi che le ricadevano fluenti sulle spalle e denti sgargianti aperti in un magnifico sorriso. Con una mano aggraziata, la ragazza indicava una scritta enorme:

Il segreto del benessere: ora, nelle tue mani.

Alla sua sinistra, una capsula di un viola brillante risplendeva come se fosse dotata di luce propria.

Eccola. La pillola: la causa dell'abisso che separava Neil dal resto del mondo.

Era la pillola, la colpa di tutto. Un oggetto così piccolo, eppure così potente.

La pillola aveva diviso il mondo in due parti: chi ne faceva uso e chi no. Come lui, Anandria, sua madre e pochi altri sfigati che si ostinavano a condurre una vita di stenti, triste e miserabile, pur avendo a portata di mano la soluzione a tutti i problemi. Erano degli stupidi, derisi e discriminati ogni giorno per la loro chiusura mentale. Brutti, infelici e fieri di esserlo.

Neil lo sapeva, e conosceva il peso della sua scelta. Era quello il prezzo da pagare per restare se stessi.

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